Un primo importante risultato all’interno di Vinitaly il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida lo ha ottenuto ed è sotto gli occhi di tutti: uno spazio più ampio, suddiviso in due padiglioni; complice Coldiretti, che gli ha ceduto la postazione centrale proprio all’ingresso della Fiera. Ed è qui che lui ha portato i ministri delle altre nazioni, giunti in Italia per la prima Conferenza internazionale sul vino appena conclusa. Inoltre, rientrate le proteste degli agricoltori, Lollobrigida può sfoggiare a Verona anche i risultati ottenuti in sede europea sulle modifiche alla Pac. Sulle scelte nazionali, invece, sono parecchi i nodi da sciogliere: dal riconoscimento dei vini low e no alcol al tema degli espianti, senza dimenticare la spinosa questione dei fondi Ocm che quest’anno ha creato non pochi scontenti, ricorsi al Tar inclusi.
Questo è il suo secondo Vinitaly da ministro. Dopo la mostra su Bacco dello scorso anno, cosa dobbiamo aspettarci dall’edizione appena iniziata?
Quest’anno raddoppiamo. Anzi triplichiamo. Oltre al nostro tradizionale padiglione, dove abbiamo coinvolto anche il ministero della Cultura e quello dell’Istruzione, abbiamo anche il padiglione all’ingresso della fiera (quello che fino alla scorsa edizione è stato di Coldiretti, quest’anno in posizione più arretrata; ndr): 500 metri quadrati di esposizione antico-moderno, dal titolo Spazio divino. Anche quest’anno abbiamo portato delle opere d’arte in fiera, quelle del Museo di Torgiano della famiglia Lungarotti. Ma non ci fermiamo qua. È stata allestita anche una sala multimediale innovativa con proiezioni verso il futuro per raccontare il vino dal punto di visto del territorio, con la possibilità di guardarlo al microscopio, scoprendone anche caratteristiche in termini di espansione del colore che ne fanno un’opera d’arte.
Qual è il terzo elemento a cui faceva riferimento?
Quest’anno ricorrono i cento anni dalla fondazione dell’Oiv-Organizzazione internazionale della vigna e del vino, che vede l’Italia tra i fondatori. Per questo abbiamo portato nel nostro Paese una delegazione di oltre 30 nazioni che hanno partecipato con ministri, sottosegretari e ambasciatori in una tre giorni di lavori dal titolo Wine ministerial meeting, prima in Franciacorta (11 e 12 aprile) e poi a Verona, dove ieri abbiamo inaugurato insieme il padiglione del Ministero. La cosa paradossale è che nessuno dei ministri europei dell’Agricoltura era mai venuto a Vinitaly: abbiamo così dato loro l’occasione di conoscere la più bella vetrina del vino internazionale. Inoltre, tutti insieme abbiamo lavorato ad un documento condiviso sul tema della salvaguardia del vino e alle sfide di questo tempo, in merito a sostenibilità economica, reddito degli agricoltori, manutenzione dell'ambiente e del paesaggio, cose che a nostro avviso devono restare connesse.
A proposito di ministri e politica comunitaria, c’è un tema di cui si inizia a parlare in tutta Europa: l’estirpazione dei vigneti. Soprattutto dopo che la Francia ha avviato un piano nazionale in tal senso. È davvero un argomento all’ordine del giorno?
Ne abbiamo parlato anche all’Agrifish: è uno dei punti che abbiamo richiesto. Ma più che di estirpazione parlerei di sostituzione dei vigneti, per andare verso una maggiore qualità, magari garantendo anche la riscoperta dei vitigni storici.
Si tratterebbe comunque di produrre meno, in un periodo storico caratterizzato da un surplus di prodotto rispetto ai consumi…
Dobbiamo ricordarci che il vino non lo facciamo più solo noi in Europa, ormai ci sono molte nuove aree con vini mediamente importanti. Penso alla Georgia, agli Stati Uniti. L’Italia, quindi, non può competere con produzioni troppo elevate, perché la quantità non corrisponde al valore. Insomma: meno vino da taglio, più produzioni di qualità.
C’è, però, chi pensa che invece di ricorrere all’estirpazione si potrebbe puntare sui vini dealcolati. Anzi, il settore si attende scelte rapide per non perdere questa opportunità. A che punto è l’iter?
Lo dico in modo brutale ma chiaro: quando qualcuno sostiene che il dealcolato ci permetterà di aprire ad una nuova fetta di mercato, io guardo sempre a questa affermazione con un certo sospetto. Perché può anche aprire a una fetta di mercato, ma il rischio è che si vada ad abbassare il valore di un prodotto di eccellenza. Per questo serve tutta l’attenzione necessaria. Il mondo del vino è molto diviso nel dibattito interno, ma basterebbe ascoltare il presidente dell’Oiv Luigi Moio che spiega come l’alcol sia uno stabilizzatore del prodotto ed è intimamente connesso al vino.
Non ci saranno passi in avanti in questa direzione, quindi?
Sia chiaro: rispetteremo le normative europee che impongono di aprire a questo prodotto, ma da parte mia non ci sarà nessuna incentivazione alla sua promozione. Prima o poi l’ufficio tecnico procederà a decretare, ma io chiedo ai nostri imprenditori di fare una riflessione attenta su quali investimenti intendano realizzare in futuro: se investire su qualcosa che fa parte della nostra cultura o virare verso una produzione che probabilmente non ci farà brillare. Personalmente non comprendo e ritengo irragionevole dover chiamare vino una bevanda che cambia proprio il modo di produrre il vino stesso.
Rientrano in questo tema anche i vini naturali, ovvero quei vini che sono ormai dappertutto ma che non sono riconosciuti per legge?
Io considero il vino naturale quello che viene dall’uva pigiata, che fa il mosto, che poi fa la fermentazione: non conosco altri vini più naturali. Ovvio che, se si parla di abbassare qualche elemento aggiuntivo, allora ben venga, ma oggi ci sono elementi aggiuntivi che, con soglie minime, sono necessari per una buona vinificazione.
Però c’è tutto un trend legato alla salute che spinge verso consumi diversi e alternativi…
Riduzione dei consumi non significa riduzione del valore. E poi c’è la possibilità di aprire a nuovi mercati emergenti, come ad esempio l’India. Lo leggevo qualche giorno fa proprio sul sito del Gambero Rosso. Ciò significa che le opportunità ci sono anche tra i giovani.
Per andare all’estero e scoprire nuovi mercati servono, però, delle risorse economiche, come ad esempio quelle Ocm. Ma quest’anno qualcosa non è andato come avrebbe dovuto: il bando 2023-2024 ha presentato diverse criticità tanto da spingere molte cantine a far ricorso al Tar. Cosa è successo?
Lo scorso anno, ci siamo resi conto che c’erano criticità oggettive nella trasparenza dei percorsi col rischio di perdere fondi europei, così il nostro ufficio tecnico ha immaginato di andare incontro all’indirizzo di carattere generale: i soldi pubblici vanno spesi bene e seguendo le regole. Questo passaggio può aver creato criticità rispetto alla preparazione delle aziende a rispondere al meccanismo in modo corretto. Difficoltà direi soggettive. Magari non avevano previsto di dover lavorare con la dovuta attenzione. In più, probabilmente, nel cambio di passo ci saranno stati errori di comunicazione.
Come si potranno evitare certe dinamiche in futuro?
Non in futuro, ma da subito: il percorso è già iniziato. Abbiamo convocato al Ministero il mondo del vino per un’operazione di sportello. Un’azione preventiva di formazione per rispondere alle istanze delle imprese. Non ci arrendiamo ad avere criticità. Se i problemi fossero venuti dagli uffici del Ministero, me ne assumo le responsabilità, ma voglio anche assumermi la responsabilità di lasciare le cose migliori di come le abbiamo trovate.
A proposito, è soddisfatto dei risultati ottenuti in Europa nell’incontro Agrifish delle scorse settimane?
Il vero risultato di questi 18 mesi è il cambio di rotta: oggi abbiamo un’Europa che ricomincia a trattare l’agricoltura col rispetto che le è dovuto. Non si può considerare la qualità un elemento secondario rispetto ad altri, come ad esempio, la sostenibilità ambientale. La Pac, così come era stata scritta sotto la spinta del Commissario socialista Frans Timmeman, aveva fatto prevalere la sostenibilità ambientale rispetto a quella economica e sociale, portando a scelte irrealizzabili. Oggi, finalmente, ci si indirizza verso il principio della produttività e si rimette al centro la garanzia di reddito per gli agricoltori. Tra le misure ottenute, cito l’eliminazione della messa a riposo del 4% dei terreni e l’ottenimento delle stesse regole per i prodotti importati che spuntando prezzi più bassi, mettono in difficoltà le nostre produzioni. Tra le proposte che abbiamo fatto c’è, invece, un osservatorio sui prezzi per evitare che chi all’interno della filiera ha un’oggettiva posizione dominante possa approfittare dell’anello più debole, ovvero dei produttori.
Ma quindi avevano ragione gli agricoltori a protestare?
Gli agricoltori chiedevano solo di lavorare e creare ricchezza. La loro esasperazione ha portato anche i meno sensibili all’argomento a doversi occupare di questo tema e, su proposta del Governo italiano, a portare la discussione in Consiglio europeo. Poi certo, c’è modo e modo di protestare. Il nostro rapporto con il mondo agricolo è stato costante e possiamo affermare che nessuna associazione italiana ha aderito alle mobilitazioni violente. In altre nazioni i toni sono stati molto più accesi.
Concludiamo l’intervista in modo più goliardico. Dopo una dura giornata di lavoro, tornato a casa, qual è il vino che decide di stappare per concedersi un attimo di relax?
Da ministro devo essere imparziale. A giro prometto che li assaggerò tutti…ma non la stessa sera.
Allora parliamo di cibo. In casa Lollobrigida-Meloni chi cucina?
Sia Arianna che io amiamo cucinare. La mia prima maestra è stata mia nonna. Tra l’altro vengo da una famiglia che ha avuto esperienza in due nazioni africane, in Libia e in Eritrea, quindi c’è una miscellanea di contaminazioni che mi hanno fatto appassionare al diverso uso di prodotti. Mi incuriosiscono le trasformazioni. Oggi cerco di emulare i grandi cuochi.
Un esempio?
Cito un piatto orizzontale che accomuna tutta l’Italia e che, secondo me, è il più difficile da realizzare: lo spaghetto pomodoro e basilico. Una volta un cuoco casertano mi disse che vi sono cinque elementi cardine: una pasta eccezionale, un pomodoro saporito, un olio importante e il basilico fresco. E poi c’è un quinto elemento indispensabile: la passione e l’amore che ci si mette per farlo. E io devo dire che mi ci impegno.