La storia
Joško Gravner nasce tra le vigne dislocate nella località Lenzuolo Bianco in Oslavia. Questa zona di confine causa durante la Prima Guerra Mondiale l’evacuazione del goriziano di tutta la popolazione. A quei tempi l’azienda di famiglia comprendeva circa 2,5 ettari e oltre all’uva si producevano frutta: ciliegie e albicocche. Tornati dal fronte, i Gravner nel 1919 piantano i primi vigneti, sono quelli esclusivi del terroirgoriziano come la ribolla gialla e il pignolo affiancati da quelli internazionali. Il vino prodotto viene per la prima volta imbottigliato nel ’73, anno che consolida il successo del giovane Joško e colpisce il mercato nazionale ed estero per la sua peculiarità. Arrivano gli anni ’80 e Francesco, questo il nome italiano di Joško,inizia a prendere in mano le sorti dell’azienda. Iniziano così le vinificazioni in acciaio, l’affinamento e le fermentazioni in barrique francesi e tutte quelle procedure di produzioni che dureranno fino alla prima metà degli anni ’90. Ma questa è una vecchia storia... Oggi tutti conoscono Joško Gravnerper la Ribolla Gialla vinificata in anfora, per i suoi vini intensi, succosi, bevibili, che trovano l’equilibrio sulle tavole con quasi tutte le pietanze.
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Il libro
La presentazione del libro Gravner – Coltivare il Vino, edito dal Cucchiaio d’Argentoci ha fornito un’occasione unica: quella di incontrare questo grande uomo, non un semplice produttore ma uno dei padri della viticoltura rigorosa in Italia e all’estero. Il volume è un viaggio nel tempo e nello spazio di Gravner attraverso le parole di Stefano Caffarri, direttore delle iniziative speciali de Il Cucchiaio d’Argento, e le fotografie di Alvise Barsanti. La scrittura di Stefano (riportata in italiano, inglese, sloveno) cerca un’intimità con il suo soggetto, è evocativa, non indulge in tecnicismi, ma invoglia nella lettura anche il lettore non specializzato nel settore.
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Il tempo
Il libro ha una sua struttura circolare, in cui la parola temporitorna in maniera programmatica dall’inizio alla fine e diventa un ingrediente fondamentale nelle mani Gravner per il confezionamento del suo prezioso nettare. “Noi mettiamo nel bicchiere ciò che la Natura concede attraverso l’autocontrollo e l’attesa di vendemmiare nel momento giusto” dice Joško “il tempo è fondamentale e necessario per fare in modo che la pianta possa nutrire il grappolo di tutte le sostanze e che io non debba fare interventi in cantina. Nel lavoro degli enologi c’è spesso un’ossessione della sicurezza, come se si volesse sanare qualcosa prima che accada, ma il segreto è il non fare che è un’azione potente almeno quanto il fare e il tempo è lo strumento affinché la Natura compia il suo corso”. Un pensiero che sostiene tutta la filosofia produttiva di Gravner e che matura dopo il suo viaggio in California. Qui Joškotrova solo una certezza: questo non è il suo modo di fare. E così ritorna a cercare, come lui stesso afferma, “l’acqua pulita”, e compie un secondo viaggio, in Caucaso, dove il vino è nato e dove comprende le modalità classiche di fermentazione e maturazione in grandi anfore di terracotta.
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Il lavoro in vigna
“La grandinata del ’96 ha influito nella mia condizione di stare al mondo” afferma Gravner “ la sua ferocia ha azzerato il raccolto e solo a quel punto mi sono reso conto di lavorare in un’azienda senza tetto. Per questo che ho compiuto come primo passo quello di ricercare la mia serenità, la strada giusta per restituire al vino l’integrità del territorio. Il vino è nel pensiero e nell’attesa e nasce sempre a partire da una grandissima uva”. Il lavoro per un ottimo vino nasce in vigna e qui si progetta. Già nei mesi invernali la mano sapiente del contadino si appresta a potare la pianta per educarla e fare in modo che al suo risveglio primaverile le sue energie vengano convogliate verso il grappolo. E quando arriva la vendemmia qui finisce il frutto e comincia il vino dell’anno prossimo.
Il ritorno al passato
“Questi ultimi anni sono stati caratterizzati dal dispiacere di vedere come la terra abbia acquistato sempre meno importanza, dando spazio al lavoro dell’uomo, alla tecnologia e all’uso di diserbanti” ribadisce Joško “Rifiuto questo modo di lavorare e per questo ho cercato di guardare al passato, di tornare all’origine per vedere come sono stati fatti i primi vini. Questo significa dare voce al territorio. 6000 anni fa nasceva il vino e io ho avviato questa tipologia di produzione in anfora nel 2001. Qui il vino non deve essere trattato ma educato. Sosta sei mesi a contatto con le bucce e fa sei mesi di affinamento sempre in anfora, contatto continuo con la terra. Dopo un anno il succo d’uva è diventato vino, ora si libera delle anfore e si traduce nelle grandi botti. Oggi però il mio numero è sette e dal 2007 rappresenta la durata del tempo per fare diventare adulto un vino”.
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Sette anni di attesa
Ma perché attendere sette anni? Gravner sa che questa sosta presuppone una serie di rischi: lavoro, impegno ma soprattutto una perdita commerciale visto che i suoi vini non sono in commercio da subito. A questo si aggiunge la selezione in vigna di non più di tre grappoli per pianta e di poche bottiglie immesse sul mercato. Nonostante tutto la certezza di Joško risiede nella Natura, nella giusta fase di maturazione dell’uva e nelle annate che suggeriscono il modo di lavorare.
“Il punto più importante per un contadino è di non essere soddisfatti di quello che si fa, perché quando lo si è succede che ti fermi e non ti interessa la ricerca” termina Gravner “ad esempio il mio prossimo progetto prevede di fare vini non diraspati per tornare all’origine della produzione. Il bello di fare il vino è di non essere mai contenti. Il pensiero deve risiedere nella volontà di fare meglio”.
Gravner – Coltivare il Vino | Stefano Caffarri | Ed. Cucchiaio d'Argento | 64 pp. | prezzo 19 euro
acura di Stefania Annese