Cinquantanove anni, beneventano di Solopaca, di professione: oncologo e già pensi, con questo è inutile parlare di vino. E non è nemmeno un oncologo qualsiasi. Scrivendo il suo nome su Wikipendia salta fuori che è il numero uno al mondo per la cura del melanoma, uno dei tumori più maligni della pelle. Il suo nome, sempre su Wikipendia, ritorna, anche per la felice intuizione di aver curato con un farmaco antiartrite la polmonite interstiziale da Covid. Quell’intuizione che secondo, non Wikipendia, ma l’Aifa e l’Ema, le agenzie italiana e europea dei medicinali, ha salvato, durante la pandemia, un buon 13 per cento di pazienti pronti là là per essere intubati.
- L'oncologo Paolo Ascierto mentre interviene a un convegno medico. Ha deciso di riprendere in mano la vigna del nonno
Dottor Paolo Ascierto con questo curriculum cosa c’entra lei con una bottiglia di vino che porta il suo nome?
Produrre vino è un’idea che mi accompagna da quando ero ragazzo. Colpa di mio nonno Paolo che aveva la terra e lì d’estate, lontano dalla scuola, passavo interi pomeriggi.
Lei non sembra, tuttavia, uno che beve.
È vero, non sono un grande bevitore, mi piace bere giusto un bicchiere quando sono in compagnia, ma quel bicchiere deve essere buono. Tra l’altro essendo un oncologo sono consapevole di come l’alcol costituisca un fattore di rischio soprattutto per alcuni tumori come quelli della testa collo.
Eppure lei ha deciso di produrre vino. Non è contraddittorio tutto questo?
No. Il vino fa male solo se bevuto in eccesso, per me l'eccesso è più di un bicchiere, e se è di pessima qualità. Per il resto ritengo che davanti a un calice di prosecco, io lo preferisco fruttato, un Amarone o uno Sforzato di Valtellina ci si racconta meglio.
Lei però produce la Falanghina...
Si, non volevo essere di parte (sorride, ndr). In Italia ci sono vini di altissima qualità.
Come il suo?
Ho la presunzione di dire che è un ottimo prodotto. È una Falanghina del Sannio Doc, 13 gradi, nemmeno tanto leggero, un vino bianco fermo che si presenta di colore giallo paglierino chiaro con riflessi dorati. Il suo profumo è fine, la mineralità prevale ma è anche floreale e fruttato; sa soprattutto di frutta bianca, ananas e pera, e agrumi. Al gusto, questo vino è secco, fresco, equilibrato e armonico.
Lei ha un’azienda?
Ho 3 ettari di terra, due ereditati da mio padre in contrada San Pietro a Sant’Agata dei Goti, che divido con mio fratello Mario, e un altro ettaro che ho ereditato da mia madre a Solopaca e di cui sono unico proprietario. Insieme con Mario abbiamo creato un’Azienda, l’azienda Fratelli Ascierto, ma il vino porta solo il mio nome. Per ora per la vinificazione ci siamo rivolti a un’azienda del Sannio, l’azienda di Nifo Sarrapochiello. Poi, vedremo.
Se c’è un poi vuol dire che fa sul serio? Pensa di lasciare il camice bianco per dedicarsi alla produzione di vino?
Nell’immediato sicuramente no. Ho ancora troppi progetti nel campo della ricerca da portare avanti e i pazienti riempiono ancora troppo la mia vita. Tra una decina di anni, però, quando andrò in pensione, forse, chissà. Vorrei che i miei figli mi seguissero in questo progetto.
Ma lei vive ancora a Solopaca?
No, a Solopaca ci sono soltanto nato. Ho vissuto fino a 18 anni a Campobasso dove mio padre, carabiniere, lavorava. Poi mi sono trasferito a Napoli per gli studi universitari. Al paese ci tornavo nei fine settimana e fintanto che i miei genitori, che nel frattempo si erano ritrasferiti da Campobasso, erano vivi. Da anni vivo a Marano di Napoli, una cittadina a nord di Napoli.
Come nasce questa passione?
Al vino, e più in generale alla cultura del vino, sono legato da quando ero bambino. Anche qui nulla nasce per caso. Mio nonno, nonno Paolo, il padre di mia madre, di professione faceva il ferroviere ma campava soprattutto sulla vigna, sull’uva che lui vendeva. Faceva anche il vino nonno Paolo, ma le bottiglie che produceva se le beveva lui e la sua famiglia. C’è tutto un vissuto dietro a quelle bottiglie e alle sue vigne che ora sono mie. Vigne di Sangiovese e Montepulciano che io e mio fratello abbiamo deciso di convertire in un vitigno più innovativo e importante come la Falanghina del Sannio. Dietro un bicchiere di vino io so cosa c’è. A cominciare da certi termini come il ramato P1, la pompatura, la sfronnatura, le barbatelle. E per saperne ancora di più sto seguendo un corso di sommelier, sono al terzo anno, a maggio spero di superare l'esame e diplomarmi. Seguo i corsi una volta a settimana, al di là di acquisire competenze, parlare di vino mi rilassa.
Nonno Paolo sarebbe orgoglioso di lei…
Eravamo molto legati. È morto il primo anno che mi sono iscritto a Medicina. Quando ero ragazzo lo aiutavo nelle vigne. A me toccava il lavoro più duro, scaricare le cassette piene d’uva dalla vigna al trattore. Raramente mi faceva vendemmiare. Ricordo il suo scetticismo quando, avrò avuto 18 anni, gli regalati un primissimo esemplare di mostimetro, lui che, come tutti d’altra parte a quei tempi, misuravano il vino col solo senso del naso.
Il suo primo bicchiere di vino a che età?
A 12 anni, ma giusto due dita la domenica a pranzo e con la pesca dentro. Su questo i miei non transigevano. E nemmeno nonno Paolo.
E parliamo di questa prima annata di Paolo Ascierto. Bella etichetta!
Si, ci tengo assai. Nulla è stato lasciato al caso. La bottiglia è una borgognotta e per l’etichetta mi sono affidato a una professionista di Moltepulciano che ha sviluppato un vero e proprio studio sul Sannio, la contessa Caterina De Renzis. Devo dire che sono molto soddisfatto del prodotto. Per ora abbiamo imbottigliato tremila bottiglie, è un bianco fermo, già l’anno prossimo puntiamo di produrre bottiglie di mosso che mi piacerebbe destinare al mercato americano. Per il mio lavoro vado e vengo dagli States. Agli americani piacciono le bollicine. E anche a me. Quest’anno non abbiamo fatto in tempo. Ci rifaremo l'anno prossimo. Ho grandi aspettative su questo vino.