Un rosso da Oscar. Il produttore di Vermiglio e la sua cantina: "Vino e cinema, il rischio è lo stesso: le multinazionali che annullano le identità"

28 Ott 2024, 16:04 | a cura di
Il viaggio del produttore e regista cinematografico per riportare in vita Borgo d’Asso, un angolo di Toscana di soli tre abitanti, luogo delle vacanze con nonno Enzo

Quando non scrive storie per il cinema, Leonardo Guerra Seràgnoli, regista e produttore cinematografico, coltiva vigne a Montalcino. Nel borgo toscano del paese di Lucignano d’Asso, a metà strada tra le vie tortuose e sterrate di Montalcino e della Val D’Orcia, Leonardo ha dato vita a Ser’Enzo, azienda agricola dedicata al nonno, circondata da un bosco di 650 ettari. È nel caos di un aeroporto che il produttore di Vermiglio, fresco di Leone d’argento a Venezia, ci racconta come è nato il suo progetto in Toscana; lo raggiungiamo al telefono mentre è in fila per il check-in a New York, pronto a prendere il volo per Los Angeles: con un entusiasmo che sfida l’indaffarata attesa in sala d’imbarco, condivide la storia di Borgo d’Asso e dell’avventura vinicola e artistica che ha iniziato a prender forma nel 2018.

Il piccolo borgo tra la val d’Orcia e le crete senesi

Nato a Roma nel 1980, Seragnoli ha sempre avuto un legame speciale con Borgo d’Asso, una piccola frazione di Lucignano d’Asso, ad oggi di soli tre abitanti ufficiali. Era il borgo in cui trascorreva le estati e che considera «la base della mia creatività». Negli anni Sessanta, suo nonno Enzo acquistò qui i primi appezzamenti e appartamenti, un’iniziativa che la famiglia ha mantenuto negli anni, fino a far crescere la tenuta a circa 650 ettari, tra bosco, vigne, campi seminativi, ulivi e una tartufaia. «Il progetto Ser’Enzo è un omaggio a mio nonno Enzo e a un luogo che è sempre stato parte della mia vita», spiega Leonardo, che vive a Londra ma continua a tornare regolarmente in Toscana. C’è qualcosa, infatti, che rende questa cittadina arroccata speciale: «Ormai ci vado da più di quarant’anni, e quasi nulla è cambiato da allora», racconta.

«In questa sua immobilità esteriore c’è un senso del tempo preservato e la cristallizzazione di ricordi che si accumulano uno sopra l’altro», così continua il racconto Leonardo lasciandosi andare, con evidente emozione: «Oggi, se chiudo gli occhi, vedo ogni singolo dettaglio del borgo: il fumo delle strade sterrate, sento gli odori della terra, dell’orto e il silenzio assordante della notte. Ricordo giocare a pallone la sera, e, venendo dalla città, accorgermi improvvisamente del silenzio. Ricordo le camminate dopo la pioggia nel fango, e sempre le persone che si sono dedicate una vita per la terra di questo luogo».

In effetti, pare impossibile non innamorarsi di questo posto: il paesaggio che circonda l’azienda - e quindi gran parte del borgo - è un mosaico di terreni coltivati e boschi, non c’è la frenesia della città, neanche il vociferare del paese. Qui tutto è dettato dai rumori e dai tempi della natura. Le vigne si alternano ad alberi da frutto e a coltivazioni di cereali e leguminose, creando un ecosistema che rispetta i ritmi della natura. «Abbiamo iniziato a lavorare in biodinamica cinque anni fa, anche se non abbiamo ancora la certificazione Demeter. La nostra è una "biodinamica scientifica": conoscere il terreno, tracciarlo, capirlo, e poi agire», continua a raccontarci Leonardo.

Le vigne e i vini di Ser’Enzo

Con 15 ettari di vigne, tra cui filari di sangiovese, trebbiano, cabernet franc e altri vitigni autoctoni meno conosciuti come il sanforte e foglia tonda, il progetto di Ser’Enzo, che da poco è entrato a far parte di Triple A (Agricoltori, artigiani, artisti), cresce insieme alle persone che hanno creduto nel progetto di Leonardo. Dal 1994 (anno dei primi innesti) a oggi, gli impianti si sono ampliati, e la cura per ogni singola parcella è diventata parte dell’identità dell’azienda. A prendersi cura di tutto questo oggi ci sono Monica, l’enologa grintosa e preparata, Valentina, la direttrice dell’azienda agricola, e due giovani ragazzi, Francesca e Mattia. «Non vogliamo fare vini che abbiano un gusto standardizzato», racconta Monica Rossetti, che ha alle spalle ben 46 vendemmie, tra Italia e Brasile. «Ho cominciato a fare l’enologa negli anni Duemila quando Robert Parker dettava le regole con vini colmi di legno, e io pensavo, "che noia!" Il vino deve sapere di uva», e continua: «A Borgo d'Asso il vino parla la lingua del luogo, non di una moda».

Con un approccio lento e artigianale, la cantina di Ser’Enzo segue un metodo di vinificazione che privilegia terracotta e cemento, materiali che mantengono la purezza del frutto. «Usare legno ci sembrava una forzatura; abbiamo optato per la terracotta e il cemento perché vogliamo che il nostro vino ricordi a chi lo assaggia il paesaggio da cui proviene. Chiudere gli occhi e sentire la terra sotto i piedi, anche se non ci si è mai stati», E aggiunge Seragnoli: «Il nostro obiettivo non è fare tante bottiglie. Nel 2022 abbiamo prodotto circa 5mila bottiglie, e non è nostro interesse aumentare». Per ora, le etichette prodotte sono tre: CCC, un blend di cabernet franc, cabernet sauvignon e carménère, e il sangiovese SA nella sua prima annata, la 2021: elegante, deciso e definito; mentre un ettaro è riservato a un trebbiano, di buona consistenza e freschezza. Ogni etichetta rappresenta un frammento del territorio: «Abbiamo scelto come simbolo le lune del toscano Galileo, che per noi rappresentano l’ignoto e la scoperta, quello che per noi devono rappresentare i vini», confessa Seràgnoli.

C’è un po’ di Borgo d’Asso anche in Vermiglio

Oltre ad occuparsi di vino in Toscana, Leonardo è impegnato con il suo lavoro da regista e produttore. Nel 2024 ha prodotto Vermiglio, il film diretto da Maura Delpero che ha ottenuto il Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia e ora è candidato agli Oscar 2025. «Per me, Vermiglio è molto più di un progetto cinematografico; in esso c’è una parte della mia visione di Ser’Enzo», dice deciso. Il film racconta una storia intima e toccante, e Seragnoli ha contribuito a dargli una dimensione autentica e vissuta, influenzato dal contesto rurale di Montalcino. «Fare vino, come fare cinema, è un atto creativo: è come costruire un racconto, anche se il protagonista è la terra. La mia formazione nel cinema mi ha aiutato a guardare alla viticoltura in modo diverso, portando un approccio estetico e narrativo, per questo volevo che il progetto fosse un racconto coerente».

Ser’Enzo è un tentativo di preservare l’identità del borgo e di resistere all’omologazione imposta dalla crescente pressione dei potenti investitori. «In questo territorio, le grandi aziende vedono solo un investimento, ma noi vogliamo mantenere il paesino il più naturale possibile. L’agriturismo che stiamo costruendo sarà lontano dal lusso artificiale», spiega Seragnoli. Oltre ai vini, infatti, Borgo d’Asso include una serie di appartamenti ristrutturati con attenzione per conservare l’anima originaria del luogo: «Abbiamo cinque appartamenti e un casale, e ne stiamo sistemando altri otto. Ci sono artisti e giovani residenti che contribuiscono a creare una comunità viva, che non ha bisogno di superflui extra di lusso». Ed è qui che troviamo Stefano, che gestisce una piccola bottega nel centro, mentre una giovane di origini asiatiche vive stabilmente nel borgo e si occupa di organizzare cerimonie del tè.

«Per la Montalcino vitivinicola, come per il cinema, il rischio è che le grandi multinazionali annullino l’identità. L’unione dei piccoli produttori è l’unica via», dice con serietà Leonardo. «Questo non è solo un progetto di produzione vinicola», conclude, «Ma una forma di rispetto per la terra e per ciò che rappresenta per me, una celebrazione di valori autentici, di tradizioni, e di un sogno che continua a crescere, senza perdere il legame profondo con ciò che è sempre stato e con la terra che lo ha ispirato».

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