Cinquant’anni sono un traguardo importante per tutti, anche per una denominazione di origine e la Vernaccia di San Gimignano, il 6 maggio 1966, fu il primo vino italiano ad ottenerla. Da allora di strada ne ha fatta davvero tanta. Pur avendo una tradizione ultra secolare - era già famosa alla fine del 1200 - ha vissuto gli alti e bassi della storia, alternando periodi di grande successo - insieme alla malvasia è stato il vino di riferimento per almeno quattro secoli - ad altri più difficili.
Fortune e sfortune nel Novecento
Nel Novecento, le malattie della vite, il cambiamento dei gusti, e soprattutto la predominanza del Chianti nel commercio vinicolo, resero quasi marginale la sua produzione. Nel 1931 Carlo Fregola, reggente della Cattedra ambulante di Agricoltura di Colle Val d’Elsa, scriveva che “Gli agricoltori di San Gimignano debbono comprendere l’importanza del tentativo di riconquistare alla Vernaccia l’antica considerazione. Lo scopo si dovrebbe raggiungere perché il prodotto è veramente pregevole”.
Gli eventi bellici e il difficile periodo della ricostruzione, limitarono le possibilità di rinascita tanto che, alla fine degli Anni Sessanta, la Vernaccia di San Gimignano era quasi scomparsa, come ricorda il principe Girolamo Guicciardini Strozzi, della storica azienda Cusona: “All'epoca le aziende, come la nostra, che si ostinavano a mantenere la tradizione della Vernaccia di San Gimignano, erano davvero pochissime. Il vino poi era molto diverso dall’odierno perché veniva vinificato con le bucce, come fosse un rosso, mentre le uve spesso venivano impiegate per l’uvaggio del Chianti. Nel 1966 con la creazione della Doc e successivamente del Consorzio di tutela (1972), si crearono nuove opportunità per tutte le aziende, vecchie e nuove”. Iniziò così la rinascita della Vernaccia di San Gimignano. Un percorso lungo durante il quale spesso ha patito la confusione con la Vernaccia di Oristano, all’epoca assai diffusa: “L’accostamento non giovava perché i consumatori meno attenti erano convinti che la nostra Vernaccia fosse altrettanto alcolica e strutturata come quella sarda” racconta Guicciardini Strozzi “ora, forse per effetto della nemesi storica, la nostra ha un proprio autonomo spazio, mentre la Vernaccia di Oristano deve riconquistare le posizioni perdute”.
La Vernaccia di San Gimignano oggi
Nel 2015 il giro di affari della produzione vinicola di San Gimignano (rttari vitati: 730, viticoltori: 160, imbottigliatori: 91) è stato stimato in 41,5 milioni di euro, di cui 16,5 dalla commercializzazione della Vernaccia di San Gimignano. L’export attualmente è pari al 52% del fatturato totale. Le destinazioni europee, in ordine di importanza, sono Germania, Svizzera, Inghilterra, Olanda e Belgio, ma da solo il mercato Usa assorbe oltre 1 milione delle 5,5 milioni di bottiglie prodotte nell’anno. Nel mercato domestico il 19,2% della produzione totale del 2015 è stato venduto direttamente dalle aziende ai consumatori finali, mentre il 16,5% è andato agli esercizi commerciali di San Gimignano. Questo significa che il 35,7% della produzione è stato assorbito dal commercio locale e poco più del 12% è stato destinato al territorio nazionale.
Un discorso a parte occupa la voce del turismo enogastronomico legato alla città delle belle torri (16) e con il centro storico medievale dichiarato Patrimonio dell'umanità dall'Unesco. Infatti, nel 2015 gli agriturismi hanno registrato un fatturato di 3 milioni di euro, le enoteche quasi 7 milioni, mentre la ristorazione ha superato i 24 milioni di euro. Oggi, recita lo studio “A Cent’anni” commissionato dal Consorzio di tutela al prof. Alberto Mattiacci, ordinario di Economia e Gestione delle imprese dell'Università La Sapienza di Roma, la Vernaccia di San Gimignano è al decimo posto nella top ten dei vini bianchi autoctoni italiani, è al terzo per prezzo medio alla produzione del vino sfuso tra i vini bianchi di fascia media, al terzo per notorietà presso il consumatore, e al nono nella vendita in Gdo a maggiore crescita. “La nostra ricerca descrive una denominazione il cui stato di salute effettivo è molto migliore di quello percepito, addirittura dagli stessi produttori” dice il prof. Alberto Mattiacci “Ci è bastato esplorare a mente aperta il panorama di mercato, infatti, per intravedere una prospettiva di rivitalizzazione del più nobile fra i bianchi del centro Italia (e che mi piace definire "bianco maschile"): una nicchia, popolata da wine lover, con interpretazioni - biologiche e non - che parlano alla mente e ai sensi”. In conclusione. “Un vino non per tutti, ma per molti; una nicchia attiva, che la denominazione deve costruire intorno ai propri punti di forza, non una nicchia passiva, quella dove il mercato relega chi non riesce a comprendere. La Vernaccia di San Gimignano ha tutto ciò che serve per divenire, nel suo secondo cinquantennio di vita, un caso di successo: una denominazione con forte identità, ottima notorietà, buona presenza distributiva, un Consorzio che ha voglia di fare, sempre più ottime interpretazioni di prodotto”
La festa dei 50 anni
Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, che interverrà al convegno di celebrazione dell’anniversario, sostiene che “La Vernaccia di San Gimignano è un vino che richiede tempo per esprimersi: inizialmente è quasi rude poi acquista personalità e carattere. Si deve considerare come un vino bianco classico che riesce a 'galleggiare' bene nell’attuale situazione di mercato anche grazie a un Consorzio che funziona”. Letizia Cesani, presidente del Consorzio di tutela, promotore dei festeggiamenti spiega che “Questi 50 anni li stiamo vivendo come un compleanno che celebreremo con un convegno che riguarderà la nostra denominazione ma sarà anche una riflessione sull’intero sistema delle Doc in Italia”.
I primi cinquant’anni della Vernaccia di San Gimignano si festeggeranno il 7 maggio con tre eventi: alle ore 9,30 il Convegno “A cent'anni” al Teatro dei Leggieri in Piazza del Duomo; alle 16 nella Rocca di San Gimignano il gemellaggio con la Vernaccia di Oristano e con quella di Serrapetrona, a cui segue, alle ore 16,30, l'inaugurazione della mostra fotografica “1276 – 1966 – 2016. Documenti e Immagini della Storia della Vernaccia di San Gimignano”.
Il convegno
Nello specifico la parte dedicata al futuro della Vernaccia sarà appannaggio del professor Mattiacci che presenterà una ricerca di mercato per capire quali sono le cose da fare nei prossimi anni, mentre il professor Michele Antonio Fino affronterà l’annosa questione delle denominazioni che hanno il vitigno come parte integrante del nome. “Di fatto queste Doc hanno le armi spuntate e bisogna pensare a come tutelarle in futuro” commenta Cesani “In questo senso una soluzione potrebbe essere di chiamare il vino, solo San Gimignano, eliminando il nome del vitigno che tanti problemi comporta: è una delle ipotesi su cui lavoreremo”.
Il convegno tratterà anche dei problemi generali delle denominazioni con l’intervento di Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc: “La storia del successo di un vino a Do è strettamente legata alla presenza di un Consorzio attivo ed efficiente. Ciò vuol dire fare riferimento a quei Consorzi che hanno fatto nascere i piani di controllo e che svolgono attività di informazione, promozione e tutela, in Italia e nel mondo. È necessario, però, arrivare sia a una razionalizzazione del sistema composto da 525 vini a denominazione, sia uno sforzo di aggregazione con denominazioni più grandi (per es. Doc Sicilia) con al loro interno le Denominazioni più piccole che diventano sottozone o tipologie (per es. Romagna) e con Consorzi che aggregano Do diverse”.
Conclude la presidente Cesani “La Vernaccia è un vino molto particolare che richiede un approccio mirato. Proprio per rafforzare questi legami con il territorio e con i consumatori a breve apriremo un centro didattico dove sarà possibile approfondire tutte le tematiche ad essa legate, dalla storia del vino a quella del vitigno, dalla conoscenza del territorio, alla degustazione, e così via. Se abbiamo un difetto è che spesso non abbiamo la consapevolezza di essere una comunità che deve lavorare insieme per raggiungere degli obiettivi comuni. Anche il centro è un modo per iniziare un nuovo percorso”.
a cura di Andrea Gabbrielli
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 5 maggio
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