È tra i vini italiani più conosciuti, venduti e imitati al mondo. E si conferma il più acquistato in Gdo anche nel 2013, davanti a Chianti e Bonarda. Tra Doc e Igt se ne producono oltre 165 milioni di bottiglie, considerando la zona concentrata nelle province di Modena, Reggio Emilia e Mantova. Per il Lambrusco, uno dei simboli del Made in Italy, il 2013 appena concluso segna una tappa ulteriore nel cammino verso un posizionamento qualitativo e d'immagine più alto, rispetto al passato. Lo dice in primis il Consorzio di tutela vini Emilia e lo fanno notare i produttori della provincia di Mantova. Percorso che, in particolare per Modena e Reggio, si lega alla volontà delle aziende produttrici di riqualificare la versione tradizionale, quella secca, rispetto a una tendenza che negli anni passati ha visto prevalere sul mercato la versione amabile, quella più commerciale. I numeri dicono che all'estero più dell'80% del Lambrusco è consumato nella versione amabile, percentuale che scende al 50% in Italia. "Dobbiamo riconoscere a questa tipologia il merito di aver fatto entrare il Lambrusco nei vari mercati stranieri" spiega al Gambero Rosso Anselmo Chiarli, titolare assieme al fratello Mauro della storica azienda Cleto Chiarli, tra i fautori del ritorno alla tradizione: "Occorre, tuttavia, lavorare per far affermare il classico. E devo dire che il cambiamento nei consumatori finalmente si nota, anche grazie alle nuove generazioni che cominciano ad apprezzare questo Lambrusco Anni 70". Una riscoperta dell'ortodossia che coinvolge l'intera filiera e si muove di pari passo con la decisione di migliorare anche la base del Lambrusco. Quella Igt Emilia il cui controverso disciplinare è stato modificato, con un iter non ancora concluso a livello europeo, prevedendo la presa di spuma esclusivamente all'interno dei nuovi confini di produzione e non più anche in altre regioni limitrofe. La pratica è da molti mesi Bruxelles in attesa del via libera dagli uffici della Dg Agricoltura. "Rispetto a molte altre Igt italiane siamo riusciti a costruire una filiera integra e certificata" sottolinea Ermi Bagni, direttore del Consorzio tutela vini Emilia "in cui il vino prodotto da 1,2 milioni di quintali di uve rivendicate viene imbottigliato tutto. Si pensi che da quando abbiamo messo in campo questa strategia tutta la filiera, compreso l'indotto, ne ha beneficiato. Ad esempio, la liquidazione delle uve da parte delle cantine ai conferitori è stata di 50 euro nel 2012, rispetto ai 25 euro a quintale del 2008. Inoltre, la produzione lorda a ettaro, pari a circa 13-14 mila euro è la più alta di questo territorio considerando tutti i prodotti agricoli".
Tra gli effetti delle nuove norme in vigore, l'ingresso nel Consorzio Vini Emilia della spagnola Bautista Marti. L'azienda della provincia di Valencia (che fattura in media 10 milioni di euro), che da dieci anni è cliente delle cantine sociali in provincia di Modena, tra cui Carpi e Sorbara, ora potrà essere sottoposta ai controlli di filiera, che daranno maggiori garanzie di tracciabilità al vino (stimato in circa 5 milioni di bottiglie) che varca il confine verso la Penisola Iberica. "La revisione del disciplinare" commenta Bagni "sta dando i suoi primi effetti". Gli altri effetti sono i ricorsi presentati alla giustizia amministrativa contro il disciplinare da parte di cinque grandi storici imbottigliatori di Lombardia, Veneto e Piemonte (pari al 30% dei volumi sui 120 milioni di Igt) che rivendicano la possibilità di frizzantare il prodotto non solo in provincia di Modena e Reggio. "Sono sicuro che il valore aggiunto derivante dalla scelta del nuovo disciplinare" aggiunge Bagni "si riverserà su tutta la filiera, compresi gli imbottigliatori fuori zona".
Contese a parte, il consorzio storico ha chiuso il 2013 in linea con l'anno precedente, con una flessione delle vendite in Italia del 3,4% (soprattutto nella grande distribuzione), compensata da un aumento dell'export in Giappone, Europa dell'Est e Messico; le fascette distribuite ai soci sono passate da 32,2 a 35 milioni (sono 4,5 milioni le bottiglie fuori dal marchio storico) mentre la produzione di uve è aumentata del 4% sul 2012. Segnali positivi anche dalla risalita delle quotazioni dei vigneti Lambrusco iscritti agli albi Doc e Igt: secondo Assoenologi, si registra un +20% rispetto al 2009, con una media che oggi oscilla tra 80 e 90 mila euro per ettaro.
Analogamente, i dirimpettai della provincia di Mantova, che con 15 aziende su mille ettari sfornano 6 milioni di bottiglie l'anno (5 di Igt e 1 di Doc, metà vendute fuori confine), chiudono una buona annata, forti di un prezzo medio franco cantina più alto (tra 2,5 e 3 euro) rispetto alla media del Lambrusco: "Siamo cresciuti soprattutto sul fronte della redditività, passata dai 35 euro a quintale del 2012 ai 45 euro del 2013" afferma Luciano Bulgarelli, presidente del giovane Consorzio vini mantovani e della Cantina di Quistello, che mette l'accento sullo spinoso tema della contraffazione all'estero (nel 2013 il Consorzio di tutela vini Emilia ha speso 123 mila euro per la difesa del marchio Lambrusco): "Abbiamo fatto notevoli sforzi per far sapere che esiste un Lambrusco mantovano, e ora stiamo lavorando insieme ai reggiani e agli emiliani per tutelare il Lambrusco nel mondo. Ma le difficoltà non mancano, perché in ogni Paese troviamo norme differenti che complicano molto il nostro lavoro".
a cura di Gianluca Atzeni
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 6 marzo. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.