Ibiscus e ha un programma tv tutto suo che si chama "Quella pazza donna francese".
Soprattutto Isabelle ha studiato molto per rinnegare ogni dogma enologico. Lei, che nel 2009 è salita nell'"Olimpo" della degustazione - The Institute of Masters of Wine - ha detto basta alle considerazioni visive e gusto-olfattive. In occasione di Vivit - il primo salone dedicato ai vini biologici e biodinamici all'interno di Vinitaly 2012 - l'esperta francese ha spiegato la sue idee, ma ha anche selezionato alcune bottiglie a suo avviso esemplari di un modo non convenzionale di fare vino. E' stato proprio attraverso il prestigioso istituto londinese che Isabelle ha capito che la sua passione rischiava di rimanere sterile e intellettualistica. L'approccio tecnico scandagliava ma non conduceva alle emozioni. La relazione vino/territorio non prendeva mai forma. Gli unici "brividi enologici" arrivavano da etichette di vino prodotto da agricoltura biologica.
E' talmente convinta della sua scelta che anche la carta dei vini del ristorante bistellato dove lavora, è fatta quasi interamente da bottiglie naturali. D'altro canto la più classica bevanda inglese, il tè, viene presentata come tè di terroir e servita in calici di cristallo. Isabelle parla, durante l'incontro, spesso di libertà o meglio di quella che ci manca quando giudichiamo un vino, ossessionati come siamo dai dati tecnici - temperatura, millesimo, botti grandi o barrique. La natura del vino - che è poi il nome scelto per la serie di incontri organizzati da Vivit - secondo la Legeron è nella sua totalità. Vivisezionarlo per lei significa fare di tutto per non capirlo. Certo è che, con la scelta delle bottiglie fatte per il seminario, non ha reso facile il compito degli appassionati. Etichette non semplici, di difficile interpretazione, a tratti anche complicato decidere solo se fossero buone o cattive.
S'inizia con il Puro di Movia e la domanda che Isabelle porge al pubblico è: "Voi servireste mai un vino torbido ai vostri amici o clienti?" Lei sì e lo fa nel ristorante dove lavora. Si continua con un Zélige-Caravent del Languedoc Roussillon, forse il migliore della batteria. Un bianco "primaverile" che sa di erbe e di miele di acacia. E' il momento dell'anfora rappresentata dall'azienda Paraschos. Qui Isabelle parla di azienda greca. Giustamente dal pubblico la correggono: siamo a San Floriano del Collio, ovvero in Italia. E' una malvasia, di un bel giallo dorato intenso e di un naso di albicocca e dattero, la cui morbidezza è stemperata in bocca da un'acidità e da una lunghezza notevoli.
Rimaniamo in Italia e sull'uso delle anfore con Elisabetta Foradori e il suo Teroldego che colpisce per limpidezza e vivacità fin dal colore. E' senza dubbio un bicchiere vibrante. Si chiude con una bottiglia che arriva dal territorio più "odiato" dalla Legeron, Bordeaux (l'altro è lo Champagne), accusato di aver falsificato ogni cosa in nome delle vendite e del tanto denaro. Il vino è Chateau Le Puy 2006, un "Triple A" non chiarificato e senza aggiunta di solforosa. 85 per cento di merlot, tutto il resto cabernet sauvignon. Dei cinque è quello meno potente, piuttosto magro in bocca, a dispetto di un naso che sembrava promettere qualcosa di più. Affascina per le note salmastre.
A moderare l'incontro c'era Saverio Petrilli, il bravo enologo dell'azienda toscana Tenuta di Valgiano che da anni segue e mette in pratica i principi della biodinamica. Con lui abbiamo chiacchierato un po' del senso dell'incontro e delle posizioni della degustatrice francese, condivisibili o meno, ma senza dubbio nette.
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Francesca Ciancio
28/03/2012