Se l’obiettivo di Andrea Gabbrielli era ostentare le sue conoscenze, ci è riuscito benissimo. Se era di illustrare – come sarebbe dovere di ogni buon giornalista – il senso di una mostra che ha visitato (immaginiamo) per spiegarla ai suoi lettori, il risultato è piuttosto deludente. Ci siamo messi nei panni di un lettore e francamente non abbiamo capito nulla del senso di questa mostra: che idee suggerisce, come è organizzata, quale percorso segue. Noi, progettandola, abbiamo cercato di mettere in luce le dinamiche straordinarie del vino come “motore” della storia d’Italia che è, innanzitutto, la storia di una cultura (perché il nostro paese si è costruito così: nel segno della cultura). Abbiamo cercato di tracciare alcuni punti essenziali, rappresentati in modo simbolico (una mostra è soprattutto luogo di simboli e di immagini), a cominciare dal tema della varietà locale, di una “biodiversità” viticola ed enologica che appare un dato costitutivo della tradizione italiana e, a nostro avviso, l’elemento su cui scommettere per il futuro. Non siamo così presuntuosi da ritenere che su queste idee (e sulle altre che la mostra propone) non si possa discutere e confrontarsi. Ma Gabbrielli, invece di raccontare la mostra e di discuterla nel merito, ha preferito dilungarsi su una serie di “imprecisioni” che, evidentemente, ritiene essere l’unica cosa degna di nota, visto che non ha parlato d’altro. Evidentemente la mostra non gli è piaciuta, ma di questo dovremo parlare un’altra volta, quando egli stesso ci spiegherà perché. Al momento non possiamo che rispondere alle sue osservazioni sulle “inesattezze” che ha rilevato nei testi.
I greci non hanno portato in Italia la vite. Verissimo. Gabbrielli ha ragione a notarlo, anzi, a dirla tutta, è lui stesso impreciso a definirla un’imprecisione, giacché si tratta di un madornale errore, presente nel testo introduttivo a firma Massimo Montanari nonché nella quarta di copertina del catalogo, da lì ripreso. Correggeremo al più presto questa svista, nata nel clima di entusiasmo di chi stava lavorando a tempo pieno attorno all’idea della cultura del vino. Ovviamente, i greci non hanno portato in Italia la vite, ma la cultura del vino. Per questa doverosa precisazione, su cui tutti siamo d’accordo, era abbastanza inutile fare sfoggio di citazioni omeriche e di bibliografia specialistica.
Qui potremmo fermarci, ringraziando Gabbrielli del contributo di attenzione che ci ha dato. Sulle altre “imprecisioni” non varrebbe la pena soffermarsi perché sono veramente quisquilie, ma preferiamo comunque farlo perché il nostro, tra una precisazione e l’altra, lascia intendere al lettore che i testi della mostra sono stati scritti in modo frettoloso – il che, indirettamente, coinvolge tutti coloro che a vario titolo hanno lavorato, con passione e competenza, alla realizzazione dell’evento. Meglio allora chiarirsi, a scanso di equivoci.
Gabbrielli sembra scandalizzato perché nel catalogo (e in mostra) si parla del fragolino. Lo sappiamo bene: è una realtà marginale, limitata all’ambito familiare, e in effetti non può chiamarsi vino o essere commercializzato. Infatti diciamo: “qualcuno continua a produrre fragolino…”. Ciò non toglie che il fragolino faccia parte della nostra cultura, che attorno ad esso resista un immaginario ricco di valori e sinonimo d’orgoglio: il segno di una resistenza contro il flagello della fillossera, la rivendicazione di una produzione famigliare, domestica e personale. È vero: il fenomeno è limitato e non conta nulla sul piano commerciale. Ma nei ricordi e negli orti degli anziani il fragolino continua ad avere un posto. Vogliamo occuparci solo di ciò che vale sul mercato o anche di ciò che riempie i cuori della gente?
Sul sapore foxy: “muffa” non è forse il modo più adatto per tradurlo, ma che significa “sapore volpino”? Qualcuno ha familiarità col profumo delle volpi? A noi piace usare termini comprensibili e crediamo che non ci si debba scandalizzare a parlare di muffa: sia perché le muffe non sono sempre sgradevoli (anzi, esistono muffe nobilissime, come tutti sanno), sia perché, se anche ammettessimo che sono sgradevoli, è un fatto che molti trovano il sapore dei “vini foxy” un po’ stucchevole e nauseabondo. In ogni caso, il linguaggio enologico è sempre discutibile, perché sempre creativo: a noi piace proprio per questo, e non ci piace chi pretende di interpretare anche i gusti altrui, censurando le espressioni che non condivide.
Un altro passaggio viene citato fra le “imprecisioni”: là dove si dice che “a determinare la data ‘giusta’ per la vendemmia saranno l’esperienza e l’intuito del vignaiolo”. Dopo aver ricordato al nostro recensore che questa mostra e il relativo catalogo non sono un manuale di viticoltura o di enologia e non presumono di entrare nel dettaglio su ogni aspetto tecnico, rimane il fatto che determinare il giorno della vendemmia, da sempre e tuttora, rappresenta il momento fatidico dell’anno per un produttore, il momento critico per eccellenza. Si cerca il giorno perfetto senza mai trovarlo tant’è vero che alcuni produttori scandiscono la vendemmi in vari giorni. Di questo parlano anche le fonti storiche. È evidente che oggi tanti si appoggiano (giustamente) alle tecnologie più avanzate per definire i giorni di vendemmia. Ma questo deve per forza togliere ai vignaioli la loro capacità di osservazione, la loro esperienza, il loro intuito? Di che cosa si scandalizza Gabbrielli?
Circa le denominazioni d’origine dei vini frizzanti e spumanti, la nostra intenzione non era certo quella di elencare il grande patrimonio di DOC e DOCG presenti sul territorio italiano. Chiunque si sarà accorto che le nostre citazioni sono semplici “esempi” per introdurre idee e concetti che ci paiono importanti. Per una cosa citata, tante altre mancano.
Sul vino biologico, è evidente che Gabbrielli voglia cercare il pelo nell’uovo. Per la precisione non avremmo dovuto dire “proveniente da agricoltura biologica” ma “ottenuto da materie prime biologiche”, come dice il regolamento europeo in vigore (consultabile al sito http://eur-lex.europa.eu).
Per quanto riguarda la pratica che consiste nel lasciare invecchiare il vino al calore del sole, essa è sicuramente molto insolita e circoscritta a pochi territori e a pochi produttori. Ma l’abbiamo potuta osservare con i nostri occhi, per esempio in Toscana e nel Roussillon. Gabrielli critica il riferimento e ritiene “inutile” un commento. Sarebbe opportuno che argomentasse meglio.
“La lista delle inesattezze, purtroppo, potrebbe continuare ancora a lungo”. Che dire di questo inciso generico e vagamente minaccioso? Restiamo in attesa di qualcosa di più serio, su cui valga la pena riflettere. Di inesattezze siamo circondati e non crediamo di esserne immuni. È giusto correggerle, quando deformano la realtà e i pensieri. Ma se vogliamo giocare di pignoleria e pedanteria, giusto per far vedere quanto siamo bravi a scoprire i difetti altrui, il gioco diventa meschino e non ci interessa più.
Massimo Montanari e Yann Grappe
La controreplica alla lettera di Massimo Montanari e Yann Grappe
Davvero un’ottima notizia. “Il madornale errore”, come scrivono i curatori, di attribuire ai Greci l’introduzione della vite in Italia, presente nel testo introduttivo e nella quarta di copertina del catalogo, sarà corretto. Presentarsi così all’Expo 2015 non sarebbe stato proprio geniale. Quanto al resto, i lettori del Gambero Rosso sono molto più smaliziati ed esperti di altri. Leggeranno e si faranno una loro opinione. Certo che se nella mostra e nel catalogo ci fosse stata anche la narrazione del cambiamento, culturale e produttivo, del vino italiano negli ultimi 40/50 anni, sarebbe stato di grande utilità per spiegare la realtà odierna. Il mancato coinvolgimento nella mostra di ricercatori e di storici della vitivinicoltura, si fa sentire.
PS. Sul Gambero Rosso la presentazione e il senso della mostra, l’illustrazione dei suoi percorsi c’è stata una prima volta 27/8/2013 (La cultura del vino in Italia va in mostra al Vittoriano di Roma. Sei sezioni per un excursus in ottica Expo 2015) poi una seconda il 23/10/2013 (Anche il Vittorianocelebra Bacco: dal 26 ottobre 2013 a Roma la mostraVerso il 2015 - La cultura del vino in Italia) e infine anche sul settimanale Tre Bicchieri (n°39/2013). Le osservazioni del 30 ottobre vengono dopo tutto questo.
Andrea Gabbrielli
Foto in apertura: Askos, lamina bronzea, Italia meridionale, sec. I d.C. MUVIT Museo del Vino – Fondazione Lungarotti, Torgiano
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