Barbera d’Asti. Millenni di storia e un terroir unico
Il vitigno Barbera, pur avendo dimostrato nel corso del tempo una adattabilità notevole - basti pensare alle coltivazioni presenti in Argentina e California, oltre che in numerose regioni italiane - è però indissolubilmente legato a un territorio, a un’area geografica unica e affascinante e non ancora compiutamente raccontata, che si chiama Monferrato Astigiano. Ci troviamo nel Piemonte sud-occidentale, in quella zona collinare compresa tra l’Appennino Ligure, le Langhe con le Alpi Cozie all’orizzonte e la Pianura Padana: un territorio emerso dalle acque marine tra 2 e 3 milioni di anni fa. Qui il lavoro dei fiumi nel corso dei millenni ha quindi dato luogo alla creazione di alture e valli che costituiscono il paesaggio di cui oggi ci occupiamo, ad altitudini che vanno mediamente dai 150 ai 450 metri, all’interno di un disciplinare che prevede la possibilità di coltivazione dell’uva Barbera sino a 650 metri di quota. I terreni così creatisi sono generalmente poco ricchi di materia organica e quindi di contenuta fertilità, ulteriormente ridotta da precipitazioni decisamente scarse che portano spesso a sfiorare la siccità: condizioni non facili, eppure ideali per la concentrazione di zuccheri, minerali e sostanze aromatiche nell’uva.
Barbera d’Asti. Tutto comincia con i Romani
In quest’area la presenza della vite risale all’epoca degli antichi Romani, con testimonianze e documenti ufficiali che iniziano a essere rilevanti a partire dal Medioevo. I vitigni storicamente utilizzati sono essenzialmente il Cortese e il Moscato per i bianchi; il Dolcetto, la Freisa, il Grignolino, le Malvasie a bacca rossa, il Nebbiolo, il Ruché e la Barbera per i rossi. Nel corso dei secoli è costantemente cresciuta l’attenzione dei vignaioli verso due tipologie principali, il Moscato e la Barbera, che oggi costituiscono la parte dominante della superficie vitata. È proprio su questi due vitigni, con una determinazione che è cresciuta soprattutto negli ultimi anni, che si sono concentrate le ricerche pedologiche, al fine di individuare i luoghi maggiormente vocati per la loro coltivazione.
Le zone della Barbera
Per quanto riguarda la Barbera, tre sono gli areali in cui i risultati sono stati particolarmente prestigiosi per cui il disciplinare di produzione ha espressamente previsto la possibilità di indicare in etichetta, per la tipologia Superiore, le seguenti menzioni geografiche: Nizza (poi divenuta autonoma Docg nel 2014), Tinella e Colli Astiani (o Astiano). Si tratta comunque di un processo aperto, in quanto la Barbera ha ampiamente dimostrato di dare ottimi risultati anche in numerosi altri areali. Va inoltre sottolineato che le aree vitate sono esclusivamente collinari, con l’espresso divieto contenuto nel disciplinare di impiantare vigneti nelle zone pianeggianti dei fondovalle, per cui la lavorazione richiede un alto numero di ore/uomo per ettaro, con la presenza di appezzamenti in cui, a causa della ripidità del terreno, ogni intervento deve essere svolto manualmente.
La Barbera e la sua evoluzione
Confusa probabilmente per secoli nella più generica famiglia di vitigni rossi denominata Grisa, la Barbera acquista una sua autonomia terminologica e inizia a essere chiaramente distinta dalle altre varietà rosse a partire dalla fine del Settecento. Le sue caratteristiche peculiari sono: una buona produttività, una consistente acidità e una buona alcolicità, accompagnata a una bassa presenza di tannini e a un’invidiabile ricchezza di aromi fruttati. Sul fronte della resa, c’è da rilevare che l’alta produzione per ceppo ha contribuito nei secoli a diffonderne l’ampio utilizzo da parte dei contadini in quanto garantiva un certo introito per sfamare la famiglia, oltre a un buon contenuto di calorie per il fabbisogno quotidiano. La situazione è ovviamente cambiata: i disciplinari di produzione sono oggi ben allineati con i quantitativi previsti per le uve di maggior pregio a livello nazionale, imponendo di non superare la soglia dei 90 quintali per ettaro nella Barbera d’Asti e i 70 quintali nel Nizza. Un elemento,
questo, che ha contribuito in modo sostanziale a trasformare i prodotti da uve Barbera da vini popolari e quotidiani in vini di grande qualità.
L’acidità è stato un elemento che ne ha favorito la diffusione tra i produttori della zona, in quanto ha contribuito, assieme alla notevole componente alcolica, a garantire la possibilità di una felice conservazione e una buona evoluzione negli anni; la freschezza gustativa che ne deriva è stata altresì garanzia di ottima adattabilità al cibo. Nonostante i problemi produttivi che si sono verificati negli ultimi anni, in particolare a causa della massiccia presenza di flavescenza dorata, il vitigno Barbera resta sicuramente quello a cui è maggiormente legata l’intera comunità di vignaioli dell’Astigiano e del Monferrato, il più significativo per tutta l’area.
Versatilità e interpretazioni diverse
Nel corso di secoli di vinificazione, è venuto palesemente alla luce uno dei caratteri peculiari di questo vitigno, ossia la versatilità: caratteristica che consente diverse interpretazioni e versioni dei vini che ne derivano. Sono infatti presenti sul mercato sia versioni più fresche e immediate – vinificate esclusivamente in acciaio e giocate su agili toni fruttati e rinvigorite da una sferzante acidità – sia interpretazioni più articolate, dove l’affinamento in legno e il riposo in bottiglia attribuiscono una complessità e una profondità di beva in grado di sfidare il tempo. Si delinea così un quadro che rende la Barbera d’Asti in grado di entrare di buon grado nell’élite enologica mondiale.
Sulla base di queste diverse tipologie, si può quindi affermare che il vino Barbera ha qualità ottimali per essere apprezzato dal consumatore medio, quello cioè che determina l’andamento del mercato, in primo luogo come compagno ideale della tavola. Si sta però al tempo stesso evidenziando un crescente interesse da parte dei consumatori che ne apprezzano invece soprattutto la longevità e la pienezza gustativa. Sintetizzando, si può sicuramente affermare che il vino Barbera è fruttato e fresco, quindi ben rispondente alle principali richieste del mercato: un vino deve essere piacevole e godibile, privo di astringenza, di eccessive complessità, di durezza. In questo senso, c’è una sicura attenzione dei produttori a realizzare con precisione tecnica e stilistica anche il vino Barbera cosiddetto “base” o d’annata, quello che non necessita di affinamento in botti di rovere.
Gli altri vitigni del Monferrato
CORTESE
L’uva Cortese, a bacca bianca, è principalmente coltivata nella parte meridionale del Monferrato ed è utilizzata per la produzione del Cortese dell’Alto Monferrato Doc, con vigneti che possono essere impiantati in 35 comuni in provincia di Asti e 51 in provincia di Alessandria. È un vitigno sicuramente autoctono, privo di parentele con le altre uve bianche della regione, con una presenza testimoniata da documenti che risalgono al XVII secolo. La tradizione locale lo vede utilizzato come completamento della gamma produttiva delle aziende, che resta incentrata sulla Barbera, ed è quindi il classico bianco da inizio pasto, adatto ad accompagnare salumi e frittate di verdure. Il vino è caratterizzato da aromi freschi e immediati in cui prevalgono fiori e frutti bianchi, mentre il palato è dotato di un’agile e consistente acidità, oltre che di un finale lievemente ammandorlato, che ne garantisce una facile bevibilità. La produzione annua, con un trend in discesa nelle ultime vendemmie, si aggira tra le 700 e le 900.000 bottiglie.
GRIGNOLINO
Testimonianze scritte ne attestano la presenza locale almeno dal XIII secolo, mentre il nome deriva dalle grignòle, termine dialettale con cui si indicano i vinaccioli. Il vino che se ne ricava è di coloro rubino piuttosto scarico, con aromi sia di frutta rossa sia di spezie, giungendo spesso a ricordare il pepe bianco. Il palato è piuttosto sottile e mai troppo alcolico, caratterizzato altresì da una percepibile tannicità. L’uva coltivata in quest’area è impiegata nelle Doc Grignolino d’Asti e Piemonte Grignolino, con una produzione annua che si avvicina in entrambi i casi al milione di bottiglie. Pur essendo coltivato in tutto il Monferrato, i terreni più vocati alla realizzazione del Grignolino d’Asti, all’interno dei 35 comuni previsti dal disciplinare, si trovano sulle colline nella zona a nord-est del capoluogo su terreni piuttosto sabbiosi quali quelli, per citare alcuni comuni, di Migliandolo, Portacomaro, Refrancore e Scurzolengo: l’area è nota per l’espressione aromatica decisamente intensa, ricca e aperta, mentre la bocca tende alla delicatezza.
FREISA
La denominazione Freisa d’Asti riguarda l’intero territorio collinare dell’omonima provincia, ad eccezione di due comuni totalmente pianeggianti. È un’uva che matura quasi contemporaneamente alla Barbera e dà vini di buona colorazione, importante freschezza e percepibile tannicità, con un fi nale che volge spesso verso note ammandorlate o appena amarognole. La produzione annua di Freisa d’Asti Doc si attesta mediamente sul mezzo milione di bottiglie, cui si sommano minori quantitativi di Monferrato Freisa Doc e di Piemonte Freisa Doc. Nell’antica tradizione contadina era usuale consumare una tipologia di Freisa lievemente frizzante, con moderate bollicine da rifermentazione in bottiglia, mentre oggi si tende a privilegiare la versione ferma, a volte anche con affi namento in legno. L’attuale disciplinare di produzione prevede, oltre alla Freisa d’Asti ferma, anche le tipologie Superiore, Spumante e Frizzante.
RUCHÉ
Un’uva che dà vini particolarmente ricchi di aromi, in cui spiccano la rosa e le fragoline di bosco, mentre la bocca è sempre piuttosto gradevolmente contrastata, grazie alla buona alcolicità e alla contenuta acidità da una parte e da una sensibile tannicità dall’altra. Il successo riscontrato dal Ruché di Castagnole Monferrato negli ultimi anni è pienamente testimoniato dal costante incremento sia degli ettari vitati sia del numero delle aziende produttrici di questa tipologia, che possiamo tranquillamente defi nire “di moda”. La zona di produzione è situata a nord-est del capoluogo e comprende l’intero territorio dei comuni di Castagnole Monferrato, Grana, Montemagno, Portacomaro, Refrancore,
Scurzolengo e Viarigi, tutti in provincia di Asti. Le bottiglie prodotte annualmente, in costante crescita negli ultimi anni, sono vicine al milione.
L’intervista. Ora la Barbera ha più valore e molti giovani tornano in vigna
Parliamo con Filippo Mobrici, Presidente del Consorzio di tutela Barbera d’Asti e vini del Monferrato, di come stanno andando le cose per questo importante territorio che ha un ruolo importante nel trend del vino piemontese e che sta vivendo un signifi cativo cambio di pelle e allo stesso tempo conquistando nuovi mercati…
Come si colloca il Consorzio che lei dirige all’interno della vitivinicultura piemontese?
Il Consorzio di tutela Barbera d’Asti e vini del Monferrato rappresenta un ampio e variegato territorio che, con circa 11.500 ettari vitati, ricopre quasi un terzo del vigneto regionale Doc, mentre i 57 milioni di bottiglie venduti in un anno ammontano a più di un quarto dei 250 milioni totali. Quindi in assoluto siamo una cospicua parte del vino piemontese.
Come vede il futuro per il vino del Monferrato Astigiano?
Lo vedo non solo roseo ma addirittura rosso, come la Barbera. Scherzi a parte, penso che questo territorio abbia imboccato la strada giusta. In particolare tenendo conto di questi fattori: la qualità del prodotto è cresciuta moltissimo, infatti non ci sono più vini difettosi, è aumentato il reddito per i viticoltori e stanno nascendo nuove aziende agricole.
Ci dà qualche elemento particolarmente significativo di questo successo?
L’elemento centrale è dato dal continuo incremento di richiesta della Barbera d’Asti da parte dei mercati, sia in Italia che all’estero. Ciò ha consentito in primo luogo un buon aumento del prezzo delle uve quasi raddoppiato negli ultimi sette anni: cosa che come ricaduta immediata ha avuto il miglioramento delle disponibilità fi nanziarie dei viticoltori, che sono quindi sempre più in grado di fare investimenti sia nei vigneti che nelle cantine. Il che ha incontrato un felice momento anche psicologico ed emotivo negli abitanti della zona, tanto che molti giovani – e tra questi i figli di produttori – stanno decidendo di tornare nel mondo del vino. E posso aggiungere che anche il rinnovato interesse per alcune tipologie un tempo considerate minori, dal Ruché di Castagnole Monferrato al Grignolino d’Asti all’Albugnano, sta stimolando molti giovani a tornare in vigna. L’aumento di redditività dei vigneti ha inoltre richiamato l’interesse di nuovi investitori, tanto di aziende vinicole già attive in altre
aree quanto di investitori esterni.
Questi recenti successi non vi stanno un po’ dando alla testa? Volete imitare la strada del Barolo?
No, non dobbiamo inseguire nessun modello. Tanto che nel logo del nostro Consorzio abbiamo voluto inserire l’immagine di un’impronta digitale,
per indicare nel modo più chiaro che rappresentiamo l’identità del nostro territorio. Mi fa ovviamente piacere che si stia valutando la Barbera
d’Asti come vino da invecchiamento e che la si riconosca come un prodotto di alta qualità, ma non dobbiamo dimenticare che i nostri 5.500 ettari
vitati a Barbera non possono e non devono essere solo della tipologia Nizza, dovendo continuare a rappresentare al meglio le caratteristiche
di freschezza, di immediatezza e di bevibilità che hanno reso famoso questo vino. Certo, siamo riusciti a lasciarci alle spalle l’idea di Barbera come
generico vinello da osteria, ma vogliamo continuare a essere un vino popolare, quindi ben conosciuto e non troppo costoso, adatto ad un consumo continuativo e fedele nel tempo.
IL CONSORZIO IN CIFRE
- 400 aziende associate
- 66.023.512 bottiglie prodotte
- 13 Denominazioni tutelate
- 4 Docg: Barbera d’Asti, Nizza, Ruché di Castagnole Monferrato e Terre Alfieri Barbera D’Asti Docg
- 4.142 ettari
- 20.031.693 bottiglie
Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato
Costigliole d’Asti (AT) - piazza Vittorio Emanuele II, 10 - 0141324368 - viniastimonferrato.it