«Il vino dealcolato? Chiamatelo succo d’uva di ritorno». A schierarsi contro quello che ormai sembra un trend inarrestabile è Joe Bastianich dalle colonne del Gusto di Repubblica. L’imprenditore italo-americano (nonché da poco produttore di vino in Sicilia e in Toscana) cita anche la prima guida del Vini d'Italia del Gambero Rosso (1988), in cui si legge che il vino «è una soluzione idroalcolica ottenuta attraverso la fermentazione degli zuccheri contenuti nell'uva». Adesso, però, sostiene il ristoratore, c'è chi metterebbe a repentaglio l'intima essenza del vino, sino a «minarne la sua stessa definizione». In questo calderone, secondo Bastianich, ci sarebbe in primis la «campagna dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha mandato in soffitta il mito del salutare mezzo bicchiere a pasto». Da qui la corsa a trovare un sostituto del vino nel calice.
La doppia operazione per dealcolare il vino
Bastianich riconosce che l’industria alimentare sia avvezza alle operazioni in levare, però, al contrario del caffè decaffeinato o del latte senza lattosio, dove il principio attivo è contenuto fin dalle origini, nell’uva l’alcol non c’è, ma si ottiene tramite fermentazione. Dunque, con il vino dealcolato si andrebbe a sottrarre il plus che è già frutto di un’operazione dell’uomo e non della natura. Da qui, la sua proposta: «Il nome trae in inganno. Forse sarebbe più corretto chiamarlo succo d’uva di ritorno».
Il ritardo italiano
Un assist perfetto per il Ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida che, nonostante le tante sollecitazioni da parte delle aziende vitivinicole, è ancora tentennante sul mantenere il nome vino per i dealcolati e continua a rinviare il momento di recepire la normativa europea che autorizza già da anni la produzione dei cosiddetti vini "Nolo" nel Vecchio Continente. Non a caso molti produttori italiani, per non essere tagliati fuori, hanno già iniziato a produrre i no alcol fuori dai confini nazionali. D'altronde se l'Italia non autorizza la dealcolizzazione, Germania e Francia si sono già lanciati ampiamente nel business.
La stabilizzazione del vino dealcolato
La crociata dell’ex star di Masterchef contro il vino dealcolato, non si ferma qui. «La bevanda risultante dalla dealcolazione - dice - si rivela piena di zuccheri, quelli aggiunti al termine del processo produttivo, insieme a una gamma variabile di aromi, per restituirgli un po’ del corpo volato via con lo spirito! Ma la medicina non insegna che lo zucchero fa male? Già… né sarebbe questa la sola controindicazione da citare in un ipotetico bugiardino allegato». Forse, però, al conduttore sfugge che la tecnologia è andata molto avanti e che proprio negli States – da dove viene lui - questo genere di prodotti non li chiamano più no alcol, ma low sugar.
Chi vuole i vini dealcolati
Bastianich propone, poi, una soluzione di compromesso: procedere letteralmente per gradi con una riduzione non totale della gradazione alcolica, come già previsto per legge. Infine, conclude l'imprenditore «resta da chiedersi perché tanta enfasi nel volere i vini dealcolati sul mercato, in fondo non ce l'ha ordinato il medico ...». La risposta potrebbe essere un semplice "perché no"? D'altronde funziona come per i diritti: concederli, non significa obbligare nessuno, ma includere. Per citare la stessa conclusione del pezzo di Repubblica: «Non sarà la fine del mondo, tutt'al più, come cantavano i Rem, it's the end of the world as we know it».