Adesso l’Italia preferisce produrre vini bianchi e bollicine anche con i vitigni a bacca rossa. La destinazione finale è lo Spritz

3 Set 2024, 10:18 | a cura di
La crisi dei rossi spinge i produttori a vinificare in bianco anche varietà come barbera, sangiovese e primitivo. Il professor Attilio Scienza: "Una riconversione più semplice e rapida rispetto alla ristrutturazione varietale"

Si vende poco vino rosso? Nessun problema: gli stessi vitigni destinati alla produzione rossista si possono sempre utilizzare per bollicine o rosati. Non si tratta solo di espiantare alcuni varietà per impiantarne di nuove in base ai gusti del mercato (pratica comunque utilizzata, sebbene richieda diversi anni), ma di utilizzare la vinificazione in bianco anche per le uve a bacca rossa. Un trend molto in voga in questo momento, in cui le cantine  - in attesa dei numeri della vendemmia in corso e con la crisi dei consumi in atto - stanno ripensando alle tipologie di vino da produrre.

Varietà rosse vinificate in bianco

A raccontare questo riposizionamento dell'offerta è il professor Attilio Scienza in un pezzo del Sole24ore sui trend dell'annata 2024: «In varie parti del Paese sta crescendo la tendenza dei produttori a vinificare in bianco uve a bacca rossa – spiega Scienza – Nulla di nuovo, basta evitare il contatto dei mosti con le bucce che donano loro colore». Una pratica molto diffusa che può ritornare utile per riposizionarsi sul mercato. Come spiega il docente di Viticoltura ed enologia, non c’è da scandalizzarsi, d’altronde è quello che avviene con il pinot nero, da sempre utilizzato per gli spumanti, Champagne compreso. Ma ci sono anche altre varietà italiane che si stanno dimostrando particolarmente adatte a nuove “destinazioni”. «Ad esempio – continua Scienza - la barbera si sta rivelando una varietà perfetta per produrre una base spumante. Molte produzioni della dorsale Adriatica, dal sangiovese di Romagna al bombino nero e al primitivo in Puglia, sono utilizzate per produrre basi spumante o vini frizzanti». In generale si tratta di quelle tipologie poco tanniche e strutturate, ma con una buona acidità.

La destinazione finale è la mixology

Se in questo modo si sposta la produzione verso bianchi frizzanti, rosati e bollicine, l’obiettivo finale è produrre vini “prestati” alla mixology o, per dirla con Scienza: «Garantire a queste fette di produzione una domanda di mercato, nella mixology nei cocktail o negli aperitivi. E così – spiega il professore al Sole24ore - prodotti che fino a qualche tempo fa stentavano a trovare mercato si ritrovano a fare concorrenza al Prosecco negli Spritz serviti sulle spiagge dell’Adriatico. Una riconversione che ha inoltre l’indubbio vantaggio di essere più semplice e rapida rispetto alla ristrutturazione varietale del vigneto che richiederebbe almeno qualche anno».

Italia sempre più bianchista

D’altronde basta dare un’occhiata alla produzione vitivinicola italiana degli ultimi 20 anni. Stando ai numeri di Nomisma-Wine Monitor, se nel 2004 erano i rossi a rappresentare oltre la metà della produzione oggi quel rapporto appare capovolto: su una produzione di 38,3 milioni di ettolitri, i rossi registrano appena 14,5 milioni e i bianchi 23,7 milioni. Uno specchio del cambiamento dei consumi che vede in testa i vini bianchi fermi (40% delle quote), seguiti da rossi fermi (38%), bollicine spolvero (14%) e rosati (8%). Non lascia dubbi il commento del presidente di Unione Italiana Vini Lamberto Frescobaldi: «Oggi si producono bollicine in ogni regione d’Italia. Non è un caso che all’estero per giovani e giovanissimi l’Italia sia percepita come un produttore di vini bianchi e spumanti e non più di vini rossi come in passato».

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