Il nostro è un giuoco, un omaggio a Gianni Mura. Abbiamo voluto spudoratamente ispirarci, per la stesura di questa intervista, al giornalista scomparso nel 2020 e alle sue celebri interviste al Campionato. Un modo divertente di raccontare la vendemmia 2023, quella che si è da poco chiusa e che ha dato vini ancora in fermentazione... Ecco cosa ne è uscito.
Peronospera, grandine, caldo record. Ma quanto voleva farli soffrire questi poveri vignaioli?
Si sono dovuti sorbire anche un tormentone estivo tra i più brutti delle ultime vendemmie.
La Disco Paradise?
Per fortuna nessuno ha capito cosa sia. Forse è un bene.
La trovo in grande forma. Facciamo chiarezza, è davvero andata così male?
Poca quantità, ma nessuna paura: la qualità è salva.
Certo, e l’Italia batte la Francia. A proposito, quest’anno i cugini francesi ci sorpassano a destra. Parliamo di volumi.
Con 6miliardi di bottiglie in cantina, un po’ di prodotto in meno sarà salutare. Ci si concenterà di più sul posizionamento e una giusta valorizzazione del prodotto. Il prezzo medio dell’export italiano è di 3,6 euro a litro, i francesi viaggiano a 8,8 euro a litro. Non bisogna essere master of wine per capire che nel bicchiere non esiste uno scarto così netto. La strada è in salita e voi comunicatori italiani siete parte del problema.
Eppure in Italia l’effetto premiumizzazione negli ultimi anni è stato importante, ad alcuni è sembrato financo eccessivo.
In tutto il mondo il vino è considerato un bene di lusso, uno status symbol. Da noi in molti lo considerano ancora come un alimento quotidiano. Siamo solo all’inizio di un percorso, cresceranno ancora i prezzi, le cantine saranno sempre meno famiglia e più azienda. I fondi d’investimento si sostituiranno ai padri che non lasciano spazio ai figli; la poesia del quotidiano sarà sostituita dal controllo di gestione. Il vignaiolo non è un santo né un artista ma un attore economico.
Una vendemmia bocconiana. Lasciamo da parte i cordoni della borsa, scattiamo una fotografia del Vigneto Italia ai tempi della peronospera.
I lavori di raccolta sono partiti il 3 agosto, come di consueto è stata la Sicilia ad aprire le danze, a stretto giro è stata la volta della Franciacorta e di alcuni distretti pugliesi e toscani. Chiuderemo i battenti a novembre tra Vulture, Alta Irpinia e Valtellina. A maggio le problematiche hanno colpito soprattutto al centro-sud, basti pensare che il nord quest’anno dovrebbe produrre da solo circa il 65% di tutto il vino nazionale. Al nord la pioggia non ha creato così tanti problemi perché fa parte dello stile di vita e gli agricoltori sono più abituati a farci i conti.
L’Italia spaccata in due nella morsa della peronospera. Sembra il titolo di apertura di Studio Aperto.
Hanno sofferto tanto Abruzzo, Marche, Puglia, Sicilia con cali anche del -60%, ma anche Lazio e Toscana non se la passano benissimo. Le schiarite arrivano se ci spostiamo verno nord, dall’Emilia alla Lombardia, ma anche Piemonte e Veneto hanno produzioni nella media e malattie meno pervasive. Su scala nazionale siamo vicini a un -15% rispetto al 2022, intorno ai 43 milioni di ettolitri
Per ritrovare annate così poco produttive bisogna andare tanto indietro?
Neanche troppo, siamo sui livelli della cocente 2017, della 2007 o di quella del 1948. Quando Bartali vince il Tour tra i francesi che s’incazzano.
Sulla carta potrebbe essere un’ottima annata da Metodo Classico?
Vero, le basi spumanti sono molto promettenti: uve bellissime di pinot nero in Oltrepò Pavese, che sembra sempre girare al contrario; ma anche in Franciacorta e Trentino la situazione è tutt’altro che preoccupante. Le acidità sono sopra la media, c’è freschezza da vendere. Mi permetta, però, un appunto.
Prego.
Voi giornalisti dovete avere la sfera di cristallo. La vendemmia non è ancora finita e sapete già tutto: vita, morte e miracoli dei vini del futuro. È un po’ come commentare un piatto che non è stato ancora preparato.
Ok, ma abbiamo mai visto vigne così in sofferenza negli ultimi 20 anni?
Beh, non ha tutti i torti. Le foglie gialle quest’anno facevano parte del paesaggio italiano.
Mi tolga una curiosità. Fa sempre più caldo, le acidità naturali sono più basse e i ph più alti. Eppure i vini in bottiglia sono sempre più scarichi, snelli e agili. Com’è possibile? Non dovrebbe essere il contrario?
Il vino segue i nostri gusti e i nostri pensieri, quello che leggiamo, vediamo, i piatti che mangiamo. Non c’è niente di più umano del vino. Il vino cambia in base alle persone. Chi dice il contrario, mente.
Non è una naturalista convinta!
Non ce l’ho con i vini naturali, semmai con l’atteggiamento di superiorità tipico di chi li produce o vende. Quella spocchia che hanno gli americani quando esportano la democrazia in Paesi che non conoscono o che mostrano le persone che pensano di cambiare il mondo sorseggiando una kombucha bio.
Parliampo di bio: quest’anno ha sofferto in maniera particolare...
La peronospera ha un approccio laico, non guarda in faccia nessuno: convenzionali, bio, biodinamici, talebani, vigne infami o gloriose. Di certo per proteggere la vigna qualcuno ha usato un pizzico in più di rame. E a volerla dire proprio tutta, il biologico consente ancora prodotti come il piretro, un insetticida che ha l’effetto del napalm.
A proposito di trend, va di moda l’affinamento del vino al fresco degli abissi marini, cosa ne pensa?
Adoro la salsedine incollata sul fondo delle bottiglie, i fossili rinvenuti dopo millenni sul collo, il movimento ritmico e ondulato delle onde per far respirare il vino. Evidentemente ci sono persone che godono parecchio con lo storytelling. Qualcosina ho assaggiato anche io, a occhio non cambia un cazzo. Ma non sono un tecnico.
Fuori i nomi: tre produttori non molto conosciuti da monitorare?
Calatroni in Oltrepò Pavese, Amorotti in Abruzzo e Sa Carrusso in Sardegna. Il primo è un emergente del Metodo Classico, il secondo è il dirimpettaio di Valentini, alla cieca si prendono parecchi abbagli. Il terzo è totalmente sconosciuto. Me lo sono inventato.