Per un solo giorno il Vinitaly non è coinciso con l'Alcohol prevention day 2024. E così la giornata dedicata alla prevenzione sanitaria del 18 aprile sfiora di poco la fiera internazionale di Verona, chiusa il 17, dopo quattro giorni dedicati interamente al vino made in Italy. Ma già da subito si ricomincia a parlare di rapporto tra bevande alcoliche ed effetti sulla salute, e con l'occasione l'immunologa Antonella Viola lancia l'ennesimo appello per ridurre il consumo di alcol. Il tema è sempre molto caldo e particolarmente sentito dai governi europei, considerando che dopo gli alert sulle etichette introdotti dall'Irlanda anche il Belgio, con un decreto ad hoc (a cui l'Italia si è già opposta ufficialmente), intende mettere un freno alla pubblicità delle bevande alcoliche nei confronti delle giovani generazioni. La categoria, infatti, è considerata tra le più fragili, secondo gli studi dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Nella sola regione europea, per esempio, c'è la più alta percentuale di bevitori e il più alto consumo di alcol nel mondo, con quasi un milione di morti all'anno collegati a questa sostanza, ritenuta responsabile di un decesso su quattro nella fascia tra 20 e 24 anni.
Otto milioni di consumatori a rischio in Italia
In Italia, sono 8 milioni i consumatori a rischio (in risalita sul 2021), con 3,7 milioni di binge drinker, secondo i dati (2022, gli ultimi a disposizione) dell'Osservatorio nazionale alcol dell'Istituto superiore di sanità, che organizza l'Alcol prevention day, giunto alla 23ma edizione e finanziato dal Ministero della Salute. In particolare, il 21,2% dei maschi e il 9,1% delle femmine hanno consumato alcol in modalità a rischio per la salute durante il 2022, ampliando di oltre 300mila individui la platea di italiani che necessita di essere ricondotta verso consumi più bassi, compatibili con le indicazioni delle linee guida nazionali.
I giovani binge drinker
Le fasce di popolazione più a rischio sono quelle dei 16-17enni per entrambi i generi, seguita dagli ultra 65enni maschi e dalle giovani donne 18-24enni. I binge drinker di entrambi i sessi aumentano nell’adolescenza e raggiungono i valori massimi tra i 18-24enni (maschi 18,9%; femmine 10,8%). Anche tra gli adulti in età produttiva (25-44 anni) il bere per ubriacarsi è praticato da 17 maschi su 100 e da 6 donne su 100, frequenze che si dimezzano tra i 45-64 anni. Considerando i più giovani, «negli ultimi anni, dopo la pandemia, c'è stato il sorpasso femminile sui maschi. Fino a qualche anno fa, la forbice maschi-femmine era a favore dei primi. Mentre ora è a favore delle ragazze, tra le quali aumentano i casi di intossicazione alcolica: il 31% delle studentesse contro il 29% dei ragazzi si è ubriacato almeno una volta in un anno», ha sottolineato Sabrina Molinaro, dell'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc), intervenuta giovedì 18 aprile su Rai Radio3, alla trasmissione Tutta la città ne parla.
Italia virtuosa
Il dato positivo è che l'Italia non è un Paese particolarmente in difficoltà sul tema dell'abuso, come accade in altre regioni del Nord Europa. Lo ha spiegato Michele Contel, segretario generale dell'Osservatorio permanente giovani e alcol. «Se i dati dicono che un decesso su 4 nelle fasce giovani dipende dall'alcol, questo è certamente un dato grave. Ma a livello globale è essenzialmente collegato alla mortalità per incidenti. Il problema va, quindi, inserito in un contesto di consumo medio che soprattutto per l'Italia è, tra virgolette, non particolarmente problematico». Quindi, quando si parla di alcol e salute, ha chiarito Contel, occorre tenere conto dell'alta specificità di comportamenti a rischio «in un quadro, come quello italiano, in cui l'allarme è inferiore ad altri Paesi Ue. Forse per la nostra cultura, collegata al bere moderato». In Italia e in generale nell'area mediterranea, come ha spiegato l'esperto, si tende a bere con bassa intensità ma con alta frequenza, mentre nei Paesi anglosassoni il modello è l'opposto: bassa frequenza e alta intensità. «Ciò ha portato storicamente le culture mediterranee - ha evidenziato Contel - a essere tendenzialmente più attente alla gestione e all'apprendimento dell'uso dell'alcol». Circostanza confermata anche dalla stessa Molinaro: «Continuiamo a vedere una certa differenza italiana: è più alta la percentuale di uso di alcol ma quelle legata ai casi di ubriacatura da alcolici è più bassa, rispetto ad alcuni paesi del nord europei».
L'appello dell'immunologa Viola
Il problema si pone se come alternativa alla pericolosità dell'alcol si è costretti a rinunciare del tutto al consumo di bevande, compreso il vino. Degli effetti sul Pil, e anche di quelli culturali, di un'Italia senza vino si è parlato proprio al Vinitaly. E su questo punto, la stessa Antonella Viola, immunologa e sostenitrice delle tesi dell'Oms («Non c'è alcun beneficio per la salute nel consumare l'alcol»), ha parlato di necessità di trovare una via di mezzo: «Le persone che non amano bere alcolici continuino così, che è la cosa migliore - ha detto intervenendo alla trasmissione su Rai Radio3 - mentre per chi ama bere un bicchiere di vino occorre puntare su un consumo di qualità. Pochi giorni fa, sono stata a cena con un grande produttore di vino italiano e abbiamo condiviso che il futuro è nella qualità. Ritengo si debba avviare un dialogo coi produttori per ridurre le quantità di etanolo nel vino. Sarebbe meglio se, tutti assieme, riducessimo il consumo regolare, puntando a piccole quantità ma di alta qualità. Inoltre, dovremmo fare in modo di creare una bevanda sempre meno pericolosa, cioè con meno quantità etanolo, che ci dia comunque il piacere di bere qualcosa di buono preservando gli elementi del gusto, quelli culturali e della convivialità che ruotano attorno al vino».