portanti famiglie italiane del vino (Chiarlo, Antinori, Lunelli, Zonin, Argiolas e Rallo) e a quattro economisti di settore (Guido Corbetta, Bocconi; Claudio Devecchi, Cerif-Università Cattolica; Carlo Carboni, Univ. politecnica delle Marche; Salvatore Carrubba, Iulm), emerge che i figli usano l'informatica, pianificano, rispettano l’ambiente, comunicano più dei loro padri, ma soprattutto sono in grado di aprirsi autentiche autostrade commerciali verso l’estero.
Elementi, questi, ancora più importanti se si considera che dieci miliardi di fatturato annuo sono riconducibili a cantine storiche. “Gli economisti intervistati – ha osservato il presidente Ispo, Renato Mannheimer – ritengono il comparto una sorta di eccezione che si distingue positivamente da tutti gli altri settori”. Emerge soprattutto la figura femminile, apprezzata per artigianalità, autenticità e creatività”.
I limiti? Secondo gli economisti, permane il rischio storico di avere una proprietà forse troppo invadente e onnipresente, con pochissime deleghe lasciate ai manager esterni. Ma nel passaggio tra patriarchi e nuovi manager (che non vogliono entrare in Borsa), c'è anche la sfida naturale tra due generazioni: sereni e romantici i padri che hanno tracciato la strada, più stressati i figli che definiscono anche drammatica la loro investitura.
Un dato della ricerca emerge su tutti: i padri hanno inventato il prodotto, i figli sanno commercializzarlo. E di questi tempi è proprio quello che conta.
Nella foto di apertura Marcello Lunelli
Gianluca Atzeni
28/03/2012