Nel periodo vendemmiale le tensioni sui prezzi delle uve e dei vini, sono fisiologiche. Pochi giorni fa, per esempio, abbiamo scritto di quanto sta succedendo nel mondo del Prosecco. Il mercato del vino d’altra parte è assai complesso, considerando che si tratta di un’offerta estremamente variegata per tipologie, valore unitario, ambienti territoriali e costi di produzione. La complessità del comparto italiano poi, è tale che non è possibile parlare di una sola filiera perché il nostro è un modello composto da un insieme di numerose filiere che operano con filosofie e hanno rapporti con il mercato, molto diversi.
Sinteticamente si può calcolare che la struttura produttiva del comparto vitivinicolo italiano si basa su oltre 300 mila operatori professionali impegnati nella produzione dell’uva, nella trasformazione dell'uva in vino e nell’imbottigliamento (aziende viticole 240.000, cantine 66.500, imbottigliatori 13.500). Non a caso i nostri prezzi al consumo hanno una forbice molto ampia, che può andare da poco più di 1 euro per una confezione di vino in brick a centinaia di euro per una bottiglia di Barolo o di Brunello di grande annata. Abbiamo chiesto a Eugenio Pomarici, docente alla Facoltà di Agraria dell'Università Federico II di Napoli (corso di Marketing dei prodotti agro-alimentari) di aiutarci ad analizzare quali sono le dinamiche che governano i prezzi e capire meglio come funziona il settore.
Partiamo da alcuni concetti-chiave. Perché in una Denominazione un kg di uva può costare più di un litro di vino?
Si deve considerare che la filiera del vino è caratterizzata da diversi mercati intermedi: uva, vino appena prodotto, vino maturo pronto per l’imbottigliamento. Naturalmente questi mercati sono tra loro in una relazione di funzionalità, ma comunque sono separati, quindi con specifiche funzioni di domanda e offerta, espresse da soggetti diversi. In più sono caratterizzati da calendari di attività diversi. Tutto ciò fa sì che il meccanismo per fissare i prezzi operi in modo indipendente e che, in certe circostanze particolari, per alterazioni della domanda o dell’offerta, si stabiliscano dei prezzi apparentemente insensati, ossia che un prodotto intermedio costi comparativamente di più di quello trasformato. Questo può avvenire per motivi congiunturali oppure perché qualche operatore mette in atto comportamenti strategici di accaparramento. Certamente questi fenomeni sono più rilevanti nelle filiere dove i mercati intermedi hanno un peso particolare, veicolando una quota rilevante del flusso della filiera.
Ci può dettagliare meglio il rapporto tra il valore dell’uva e il valore del vino?
I dati mostrano che, in generale, il valore dell'uva, così come rivelato dai prezzi di mercato, è un terzo del valore del vino sfuso, anche questo rivelato dai prezzi di mercato. Vi sono, però, alcune eccezioni legate alla specificità e scarsità della materia prima che si determina in condizioni di successo di mercato del prodotto finale, come è il caso del Brunello di Montalcino e del Prosecco, per i quali l'incidenza del valore dell'uva sul vino sfuso cresce notevolmente.
In prossimità e durante la vendemmia si possono verificare delle tensioni sui prezzi delle uve - e dei vini - che possono mettere in competizione delle DO che presentano dei tratti in comune (vedi Prosecco Doc e Docg). Quali sono i motivi che possono scatenarle?
Quello del vino è un mercato complesso nel quale ogni singolo prodotto ha un suo mercato specifico, anche se sussistono relazioni di correlazione tra prodotti dovute alla loro sostituibilità. Nella misura in cui il prodotto di ogni vino ha una sua indipendenza, e quindi una specifica domanda e una specifica offerta, si determina una dinamica autonoma dei prezzi che può ridurre o accrescere i differenziali di prezzo tra alcuni prodotti rispetto a quello che si ritiene ordinario, dato il pregio dei prodotti in questione. Quando si verificano queste deviazioni dai rapporti che si considerano naturali, per effetto della modifica significativa di un prezzo di un prodotto per uno shock sull’offerta, è poi interessante vedere cosa succede al prezzo degli altri prodotti. Ci si può, infatti, attendere che i prodotti legati da una relazione di sostituibilità con il prodotto che ha visto per primo crescere il prezzo esibiranno un aumento di prezzo, con un ripristino almeno parziale del differenziale; la cessazione della carenza dell’offerta che ha innescato il meccanismo dovrebbe poi riportare i livelli e i differenziali di prezzo allo stato originario, a meno che la modifica dei prezzi non abbia indotto modiche permanenti alle funzioni di domanda e di offerta dei prodotti in gioco.
L’anello più debole della catena produttiva italiana è rappresentata dai produttori di uva che, a fronte di un lavoro assai impegnativo - oltre che decisivo per la qualità dei prodotti - hanno un potere di contrattazione assai ridotto. Cosa fare per uscire da questa impasse?
Esatto: i produttori di uva, a causa della dimensione e deperibilità del prodotto, hanno il più basso potere negoziale. La remunerazione delle uve è spesso insufficiente e ciò spiega la riduzione della superficie vitata nel tempo, che in buona parte è avvenuta anche senza sovvenzioni. La riduzione del vigneto ha certamente influito positivamente sull'equilibrio di mercato. Oggi, però, è importante puntare alla sua salvaguardia pensando a come rendere ragionevoli e stabili i redditi dei produttori di uva.
Quali le strade percorribili?
La riduzione dei costi può essere perseguita favorendo la meccanizzazione delle operazioni colturali, anche in forma associata, o promuovendo servizi specializzati e qualificati di contoterzisti. La stabilizzazione e l'innalzamento dei redditi possono essere favoriti dallo sviluppo di una contrattualistica che riconosca e premi innanzitutto la qualità dell'uva (questo anche in ambito cooperativo), oltre che con una maggiore diffusione di associazioni di produttori viticoli, che operino attraverso azioni di informazione e mettendo a disposizione degli operatori modelli statutari e di governance flessibili e adattabili.
Quanto illustrato mostra con chiarezza la molteplicità dei percorsi di formazione del valore all'interno del comparto vitivinicolo e, quindi, la compresenza di catene del valore distinte, sia per la natura dei prodotti intermedi e finali in termini di pregio e di assortimento, sia per la rilevanza e il numero di passaggi via mercato dei flussi materiali. Ciò che merita di essere sottolineato è il fatto che, nell'ambito del comparto vitivinicolo italiano, la valorizzazione diretta sul mercato finale non rappresenta il modello dominante. Infatti, per una sua quota importante, il vino che giunge sul mercato è il risultato di un processo di trasformazione che ha attraversato almeno uno o due scambi via mercato, sempre caratterizzati da una debolezza del venditore rispetto al compratore.
a cura di Andrea Gabbrielli
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 17 settembre
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