Viaggiatori, invasori ed emigranti di tutte le epoche hanno potuto osservare quanto il nostro paese avesse un clima e una morfologia adatta alla coltivazione della vite, tanto da soprannominarlo Enotria.
Che l'Italia sia il paese del vino – anche se gli amici francesi o spagnoli hanno interesse a osteggiare una simile affermazione – è ampiamente confermata dalla nostra storia enologica e dall'entità della produzione attuale. Non c'è una regione della penisola, dalle Alpi alla Sicilia, che non possa vantare una zona di particolare elezione o una produzione storica osannata da re e papi; chi può negare il prestigio storico del Vino Nobile di Montepulciano o del Barolo, per citare solo due delle chicche enologiche del nostro paese, o chi può pretendere che l'Irpinia, la Valle Isarco o il Ponente ligure non abbiano una sicura vocazione viticola?
Eppure sembra che negli ultimi dieci anni la crescita disordinata del comparto abbia fatto vacillare tutte queste certezze. Numerose nuove zone di produzione sono cresciute con l'intima convinzione, spesso suffragata da repentini quanto aleatori successi commerciali, di rappresentare la nuova frontiera del vino italiano. Tra queste ci sono certamente anche aree che hanno saputo imporsi alla conoscenza del pubblico grazie all'indubbia qualità delle loro vini, ma ci sono anche zone che, per mancanza di vocazione o più semplicemente di capacità produttive e commerciali, sono rimaste al palo, lasciando dietro di sé gravi problemi economici. In questi nuovi Eldorado, ma anche nelle denominazioni più famose, sono spuntate come funghi aziende nuove, spesso armate solo di tanta passione e tanta buona volontà.
Quello che il più delle volte ha fatto difetto a questi nuovi imprenditori del vino è la conoscenza del settore che, abbinata alla difficile situazione finanziaria e alla mancanza di liquidità, ha messo in seria difficoltà economica le realtà vitivinicole più improvvisate. Sono apparse sul mercato migliaia di nuove etichette e sono stati coniati migliaia di nuovi nomi, ma spesso è mancata la solidità culturale e finanziaria. Inoltre, questi neonati hanno creato confusione nel consumatore medio, che non riesce più a memorizzare tutti i brand e le griffes. In una situazione di libero mercato tutto ciò appare legittimo, ma il risultato è troppo spesso negativo. Morale: chi ha avuto umiltà, lungimiranza e cultura ce l'ha fatta. Ha creato impresa, posti di lavoro e benessere. Gli altri hanno fatto solo confusione. E qualche danno economico.
Gianni Fabrizio
Gambero Rosso Ottobre 2011