Non un nuovo album ma la presentazione di tre vini, realizzati con Cantina Due Palme: una bollicina, un rosato, un rosso. Che portano i nomi di tre tra i loro pezzi più celebri. Rispettivamente, “Sciamu a ballare” (Andiamo a ballare, per chi ancora non avesse imparato il dialetto salentino attraverso le loro canzoni); “Beddhra Carusa” (Bella ragazza, brano del repertorio della Pizzica riscritto dai Sud con il maestro Einaudi); “Le radici ca tieni” (Le tue radici).
La presentazione dei vini dei Sud Sound System nel nuovo spazio Villa Neviera
La serata di presentazione dei vini (oggi 26 luglio) inaugura anche un nuovo, suggestivo spazio, Villa Neviera – o Torre del Rifugio, poiché qui dimorò il re Vittorio Emanuele III dopo l’armistizio, nel settembre 1943 – una struttura storica a tre piani circondata da 18 ettari di terreno. Di cui, ça va sans dire, molti dei vitigni messi a dimora (varietà Primitivo, Negroamaro e Susumaniello). “Neviera” perché qui, in un locale scavato nel carparo, in inverno si conservava la neve da utilizzare nei periodi estivi come ghiaccio.
Intervista a Fernando Blasi, alias Nandu Popu, voce e volto celebre del gruppo
Non c'è mai un pensiero banale nelle parole di Nando, che si parli di musica, vini, Salento ogni racconto è denso di storia - quella recente, degli ultimi trent'anni ma anche quella millenaria della sua terra - e significati profondi. Dall'antica Grecia a oggi, dal contatto e scambio con la natura alla moderna era digitale, un filo tiene tutto insieme, in una fluidità che mescola tempo e spazio di una terra arsa eppure generosa.
La prima domanda è ovvia: da dove arriva la scelta di proporre questi tre vini targati “Sud Sound System”?
Beh, la risposta più immediata è “Come mai non l’abbiamo fatto prima?”. La nostra produzione artistica trae origine dal territorio, esattamente come uve e vigneti. Ci assomigliamo. E poi il vino fa da sempre parte della musica. Si pensi ai baccanali, ai riti dionisiaci. Per restare nel Salento che noi cantiamo, nella musica popolare anche più recente uno dei brani popolari più noti recita “mieru mieru (vino) llà llà”.
Il vino è il sangue di una terra che per noi, nel Salento, è ponte sul mare. I greci, i celti, amavano il vino, lo celebravano e noi, che siamo terra di mezzo (Messapia), terra di fusione, ne abbiamo ereditato in modo naturale la storia, il sentire. “Le radici ca tieni” nasce dopo una visita alla Grotta della Poesia (area archeologica sul litorale adriatico, a Roca) guidata dal compianto prof. Pagliara. Nei secoli è stato luogo di pellegrinaggio, vi si recava chi aveva subito lutti, traumi, tante donne. Vi portavano doni, il vino tra i più diffusi. Quella canzone è insieme carezza e pugno. È il brano di una terra che ha accolto gli scafi albanesi, dove tutti siamo figli di migranti; è l’immagine di un territorio arso, arido ma che ha creato attraverso l’apertura all’altro, alle contaminazioni. Tornando ai vini, certamente il legame d’amicizia con la cantina Due Palme ha creato i giusti presupposti per questa avventura.
C’è un Salento attuale molto diverso da quello dei vostri esordi, un Salento turistico – anche enogastronomicamente parlando – che anche voi avete contribuito a creare, attraverso le canzoni e le storiche dance-hall. Una sorta di marketing ante litteram del territorio, autentico, verace.
Beh, per quanto riguarda il marketing, io nasco grafico professionalmente. Anche in merito a questi tre vini, prima ancora delle loro caratteristiche immaginavo le etichette. Per il resto, la nostra storia e quella di questa terra, c’è oggi un Salento che prima non esisteva. Negli anni ’80 nessuno sapeva neppure dove fosse Lecce sulla cartina geografica. Era l’Italia dei paninari, nella quale non esistevamo anche perché non legittimavamo la nostra identità. Non ci permettevamo, ad esempio, di pensare in salentino. Il dialetto era un retaggio del passato, qualcosa di cui vergognarsi. È stato proprio sul “cogito ergo sum” che è nato un processo collettivo, naturale, non cerebrale, di nuova identificazione, di autolegittimazione che ci ha permesso di riappropriarci e di salvaguardare un grande patrimonio culturale. Per intenderci, io penso in dialetto.
Perché proprio il raggamuffin?
Erano gli anni – fine ’80, primi ’90 – della Sacra Corona Unita. Si sparava per strada. Le piazze delle città erano luoghi di spaccio, nella migliore delle ipotesi, infrequentabili. Il fantastico mondo delle discoteche degli anni ’70 divenuto presidio della mafia. E noi, appena ventenni, ci siamo inventati la dance-hall per avere la nostra discoteca. Abbiamo scelto una musica inedita a queste latitudini e ci abbiamo impiantato una narrazione, uno storytelling salentino. Poi lo abbiamo esportato, soprattutto grazie agli universitari che portavano la nostra musica in giro per l’Italia, registrata su cassette, cd. Non dovevamo più spiegare da dove venivamo.
Nel 1992 occupammo una masseria a San Foca. Arrivarono in migliaia da tutt’Italia, un concerto ogni sera anche grazie agli amici musicisti (le Posse) che si aggregarono. Cantavamo una terra brulla dove però bastano due passi per arrivare al mare, una natura con cui misurarsi senza sopraffarla, una terra bellissima e fragile, da difendere. Oggi vado nelle scuole a raccontare quegli anni, a spiegare che viaggiare è meraviglioso ma farlo da emigranti è un’altra cosa, costretti a essere “terroni”.
Tutti quei ragazzi tornarono negli anni successivi, poi vennero anche i loro genitori, poi arrivarono i personaggi famosi – molti nostri amici – che hanno ristrutturato masserie, luoghi abbandonati, poi la regione ha capitalizzato questa narrazione. Ed eccoci qui.
Veniamo ai vini. Abbiamo chiesto al nostro sommelier Marco Muci di darci un parere
- “Sciamu a ballare”: spumante metodo charmat, fresco, giovane, piacevole.
Bollicina fine con riflessi verdolini, elegante e con una buona sapidità che stimola la salivazione. Un vino da divertimento, come è giusto che sia la bollicina.
- “Beddhra carusa”: rosato, esprime dolcezza e leggerezza nelle vostre intenzioni.
Rosa tenue, antico, con sentori di frutti rossi e pompelmo. Molto estivo, persino dissetante con le sue note di acidità e freschezza.
- “Le radici ca tieni”: un vino da meditazione, che vuole andare alle radici per vedere di cosa siamo fatti, da cosa attingiamo sostanza e nutrimento.
Da uve primitivo (di Manduria), un’esplosione salentina con frutti rigogliosi, croccanti, una bella speziatura da macchia mediterranea dove si sente la parte più selvatica del territorio senza eccessi nella struttura. Gentile e vigoroso.
a cura di Fiorella Perrone