La differenza la noti già in vigna: da un lato grappoloni con chicchi tondi e grossi che pendono da una vecchia pergola; dell’altro acini piccoli e fragili, che sembrano disfarsi solo a guardarli, nascosti dal fogliame di una classica spalliera potata a guyot. È la contrapposizione tra l’autoctono nazional-popolare e il vitigno aristocratico par excellence: Schiava e Pinot Noir sono due dei molti volti di una regione che, dopo aver sfondato da Trieste in giù con i bianchi, comincia a giocarsi con più convinzione anche la carta dei rossi, in passato relegati nel mercato locale o nel segmento medio-basso nei paesi germanofoni. È un ritorno alle radici perché, molto prima che Sauvignon, Gewurztraminer, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Chardonnay cominciassero a rubare la scena, la Schiava dominava la produzione, ricoprendo più o meno il 70% della superficie vitata altoatesina. Ha perso quota, ma rimane il terzo vitigno per estensione. Produce molto e, anche limitando le rese al minimo, dà ugualmente rossi scarichi di colore, incentrati sul frutto fresco, con alcol moderato, acidità mai spinosa, beva agile e spensierata. Potrebbero sembrare vini rustici e un po’ sempliciotti, ma una verticale di Gschleier Alte Reben, la più storica selezione di Schiava lanciata da Cantina Girlan nel 1975 e ricavata da vigne centenarie, smentisce questo pregiudizio: l’invecchiamento ne stravolge il profilo e li rende molto più simili a sua maestà il Pinot Nero.
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Lo staff Girlan. Da sinistra: l’enologo Gerhard Kofler e il presidente Oscar Lorandi con i manager Philipp Nocker, Marc Pfitscher e Valentina Giuliani
Prezzi e qualità di Schiava e Pinot Nero di Girlan
Il bello è che la cooperativa in questione è la stessa che fa anche il Pinot Nero altoatesino più ambizioso in assoluto: 113 euro in media secondo Wine Searcher. Le due etichette sono concettualmente opposte e molto diverse per posizionamento; eppure hanno in comune freschezza e delicatezza del frutto. Le cantine sociali possono sembrare entità impersonali, ma, nei nuovi progetti di Girlan, giocano un ruolo fondamentale due personaggi fuori dagli schemi: Oscar Lorandi e Gerhard Kofler. Il primo, veneziano di madre austriaca ed ex cestista, è entrato in cantina nel 2007 come commerciale e, con spirito da playmaker, ha innescato un cambiamento radicale scalando la piramide e diventando il primo direttore senza nemmeno mezzo filare di vigna di proprietà; il secondo ha fatto da braccio armato, portando avanti una rivoluzione sostanziale sul piano enologico. «Girlan è un’azienda con una storia importante alle spalle – spiega Lorandi – Gscheiler nasce negli stessi anni di icone italiane come Vintage Tunina e Tignanello. Trattmann, il più storico dei nostri Pinot Nero, è stato prodotto per la prima volta nel 1980. Ma c’è stato un lungo periodo senza grandi novità».
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I vigneti della cooperativa Girlan
La sfida della Schiava e il lavoro della cooperativa
Negli anni Girlan è diventata sinonimo di vino semplice ed economico: nel 2007 la produzione di bottiglie da 1 litro e di sfuso rappresentava ancora uno dei core business aziendali; in termini di reputazione e visibilità, era schiacciata dalle altre realtà presenti nello stesso comune, Appiano Sulla Strada del Vino, uno dei luoghi clou del miracolo enologico altoatesino. «Il primo passo è stato convincere i soci a fare un investimento importante in tecnologia, rinnovando la cantina storica, costruendo una zona di ricevimento per gravità e una nuova sala di pressa – spiega Kofler – abbiamo anche cominciato a seguire i nostri produttori più da vicino nella gestione del vigneto, partendo da lì per realizzare le diverse linee e non più dalle uve già conferite, incoraggiando l’espianto e il reimpianto se in una parcella c’era un vitigno inadatto». Anche il metodo di remunerazione è cambiato: adesso si basa sui metri quadri di proprietà anziché sulla quantità d’uva. La percentuale di sfuso è scesa gradualmente al 10% del totale e la produzione di vini premium è cresciuta in modo esponenziale. Si è cercato anche di razionalizzare la gamma delle nostre etichette. «Ci siamo resi conto che non potevamo produrre tutto: dovevamo avere delle priorità», aggiunge Lorandi. I bianchi superano i rossi – 65 contro 35 per cento – nel milione e mezzo di bottiglie prodotte annualmente, ma la fama di realtà rossista è legata a un lavoro sui due vitigni sopraccitati che non ha eguali. Oltre a due Schiava di riferimento – Gschleier e Fass 9 – Girlan produce cinque Pinot Nero da tre zone differenti. L’ultima etichetta nata è proprio l’Alto Adige Pinot Nero Riserva Vigna Ganger, frutto di una delle parcelle storiche nel vigneto Mazzon, il più famoso d’Italia per il Pinot Nero.
La sfida, Alto Adige v/s Borgogna
In molti casi, la Schiava è decisamente più compiuta nella sua semplicità dei Pinot Nero altoatesini, spesso possenti, monolitici e un po’ sgraziati, soprattutto a raffronto con la Borgogna. Ma il Vigna Ganger è diverso già per origine: l’appezzamento si trova proprio ai piedi della grande parete di roccia che sovrasta Mazzon; esposto a sud ovest, non prende sole fino a metà mattinata e lo strapiombo di quasi 1.000 metri favorisce l’incanalamento di venti freddi che fanno scendere drasticamente le temperature dal tramonto all’alba. Il protocollo di vinificazione è relativamente semplice: un quinto di grappoli interi, fermentazione con macerazione di almeno 25 giorni, 20 mesi di affinamento in barrique e 18 in bottiglia.
A Lorandi e Kofler piacciono le sfide e, oltre a organizzare una doppia verticale di Gschleier e Vigna Ganger, tentano anche un ostinato paragone alla cieca tra quest’ultimo e il Clos de la Roche 2021 di Armand Rousseau, forse il meno noto dei Grand Cru di una delle leggende della Cote de Nuits. Prezzo? Circa 1.400 euro, ovvero più di 10 volte il Vigna Ganger e oltre 50 volte lo Gschleier. Certo, questo Pinot Noir di Borgogna q disarmante per eleganza fin dal primo istante: soavissimo, dinamico e allo stesso tempo privo di spigoli; gli manca solo un pelino di profondità per essere veramente perfetto (ma potrebbe venir fuori con il tempo). Ad arrivare secondi dietro a vini di questa caratura – che in pochissimi possono permettersi di bere – non si fa certo una brutta figura. E, in ogni caso, il Vigna Ganger di pari annata riesce a non passare come la solita alternativa modesta per chi ha un budget meno importante, anzi riafferma una stilistica diversa e ben definita: un po’ mediterraneo e un po’ alpino; solare e voluminoso, ma con freschezza guizzante a sostegno e un tannino un pelino più mordente. Pieno sì, ma senza quelle tracce di surmaturazione e/o legno in eccesso che allontanano molti amanti del vitigno da certe espressioni sudtirolesi.
La doppia verticale e i punteggi
Ma torniamo allo Gschleier. La Schiava non può contare su grandi acidità o cariche tanniche per sfidare il tempo; nei migliori casi, è il frutto più o meno inossidabile a garantire la tenuta. Certo, non tutte le annate sono ugualmente longeve: delle sei presentate, la 2010 è già un po’ fiacca e la 1983 è arrivata a fine corsa. Grandi sorprese le riservano la 1995 e la 1976: ancora pimpanti, con pizzichi erbacei e balsamici a incorniciare il frutto intonso.
Il Vigna Ganger ha debuttato nel 2012 e l’assaggio di tutte e nove le versioni prodotte fino a questo momento denota una certa variabilità di annata in annata. Alcune sono più calde e massicce di come le vorremmo: la 2015 è scomposta, la 2018 monocorde. Sorprende la 2014, da annata notoriamente fredda, quasi senza estate, a voler ricordare che il Pinot Nero funziona bene nei climi rigidi; al contrario la 2017 è figlia di una stagione bollente: eppure la grande intensità aromatica, abbinata a polpa ricca e giusta acidità, la rende molto accattivante. Gli ultimi tre millesimi, ad ogni modo, sono quelli in cui la quadratura stilistica sembra definitivamente trovata.
La prossima sfida del duo Lorandi-Kofler è rinunciare alle bottiglie pesanti per ridurre le emissioni di CO2. «Adotteremo una bottiglia leggera anche per vini di punta come il Vigna Ganger, che passerà da 680 grammi a 420 con l’annata 2022». È un modo di chiudere il cerchio, estendendo la ricerca di eleganza e leggerezza dal contenuto al contenitore.
Etichette e annate a confronto, Schiava, Pinot Nero e Borgogna
La verticale intera delle diverse annate delle etichette di Girlan la trovate sul mensile Gambero Rosso di novembre scorso (numero 394). Qui vi presnetiamo le ultime annate degustate: la 2021 per Vigna Ganger e per il Borgogna, la 2022 e la 1976 per la Schiava (Gschleier Alte Reben).
95
A.A. Pinot Nero Vigna Ganger Ris. 2021
Girlan
Appiano/Eppan (BZ)
Chiaro e luminoso nel bicchiere, il profumo è soave di rosa canina, fragoline e incenso; accenni ematici e un soffio di caffè completano il quadro. In via di assestamento, ma già ben definito; tannini scalpitanti e acidità alpina bilanciano il frutto e rendono la progressione molto dinamica. Finale lungo, con giusto un pizzico di tostatura da legno che deve ancora integrarsi.
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93
A. A. Vernatsch Gscheiler Alte Reben 2022
Girlan
Appiano/Eppan (BZ)
Giovincello, trasparente e sgargiante, con un naso classico, ma di eleganza superiore alla media, tra mirtilli rossi, liquirizia, erbette e geranio. Succosissimo, slanciato, ma non diluito; ritorni agrumati e sottilmente speziati scandiscono il finale tonico che chiama canederli e speck.
95
A. A. Vernatsch Gscheiler Alte Reben 1976
Girlan
Appiano/Eppan (BZ)
Incredibilmente elegante e vitale, con un colore ancora luminoso e un profumo meraviglioso di fiori appassiti, erbe disidratate, confettura di mirtilli rossi e tabacco da pipa. Molto sottile, ma ancora reattivo, con il frutto intatto che fa capolino tra rimandi balsamici e boschivi; finale lungo, senza la minima traccia di ossidazione. Straordinario.
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97
Clos de la Roche 2021
Armand Rousseau
Gevrey-Chambertin (Borgogna)
Servito alla cieca, ha un colore luminoso e trasparente; esordisce con profumi balsamici e soffusamente animali che cedono il passo a sfumature elegantissime di frutti rossi molto dolci - quasi kir royal - e acqua di rose. In bocca è diverso dal Vigna Ganger: appena vegetale in apertura - forse per via dei raspi utilizzati in vinificazione - poi delicatissimo, con tutti gli elementi fusi in una progressione impressionante per armonia. La chiusura è appena più semplice del resto, ma perfettamente corrispondente e di straordinaria raffinatezza.