Era il 1998 e il New York Times lanciava già l'allarme: “I giovani si stanno allontanando dal vino”

25 Ott 2024, 13:12 | a cura di
Ventisei anni dopo la profezia di declino del vino tra i giovani, il panorama non sembra cambiare. Le nuove generazioni di vent’enni (si vocifera) continuano a preferire birre, ready to drink e analcolici

Era il 18 febbraio del 1998 e Frank J. Prial sul New York Times pubblicava un articolo che tracciava già un quadro preoccupante: i giovani sembravano aver abbandonato il vino, preferendo cocktail e birra. Ma oggi cosa è cambiato? Beatamente nulla. Tranne forse un po’ di consapevolezza in più. Una cosa è chiara: Il tema del consumo di vino tra i giovani è un argomento che ha ciclicamente suscitato preoccupazioni nel settore vinicolo e tutt’ora i media impazzano per le stesse preoccupazioni, con nuovi dati e analisi, suggerendo però che questa tendenza potrebbe essere parte di un ciclo più ampio piuttosto che un problema specifico delle nuove generazioni. La narrativa dominante rischia di ignorare il contesto e il fatto che i comportamenti di consumo variano con l'età e le esperienze di vita. Il primo passo verso la comprensione di questo fenomeno è analizzare il cambiamento di atteggiamento nei confronti del vino.

Ai giovani non piace più il vino

Negli ultimi anni, i media hanno sottolineato un presunto flop del vino, citando un calo generale delle vendite e delle difficoltà legate al cambiamento climatico che affliggono i vigneti. I giovani adulti, appena entrati nel mondo del consumo di alcol, sembrano orientarsi verso alternative come birra, cocktail rtd, no e low alcol. Tutto tranne vino. Ma esiste un cambiamento, a cui sembriamo ancora cechi, che i giovani del vino stanno attuando. Sono diversi i fattori che hanno influenzato questa evoluzione: in primis, la maggiore accessibilità ai vini di qualità, grazie all'espansione delle cantine e al marketing diretto al consumatore, ha reso il vino un'opzione più attraente. Inoltre, il boom delle piattaforme social – e dei nuovissimi e seguitissimi wine influencer – hanno creato una nuova dimensione per il vino, rendendolo parte integrante delle esperienze condivise online. Le aziende vinicole stanno investendo in nuove strategie, come, appunto, l’uso di influencer e la creazione di contenuti coinvolgenti su Instagram e TikTok, e nel caso di quest’ultimo, come vendita diretta sulla piattaforma (ne avevamo già parlato qui). Anche le etichette, dal canto loro, si fanno più vivaci e giovanili, con design accattivanti e nomi di fantasia creativi. Non per ultime, le esperienze di degustazione si stanno trasformando: eventi all'aperto, festival e serate a tema attraggono un pubblico più giovane, desideroso di esplorare nuovi sapori e culture.

L’allarme dei mass media non è sempre fondato

Le vendite nel settore del vino sono in flessione ovunque, anche nell’intoccabile Francia del vino. Mentre il settore cerca di stabilizzarsi dopo la pandemia globale, le vendite in termini di volume diminuiscono. Eventi estremi come incendi, gelate, siccità e inondazioni stanno devastando le principali regioni vinicole mondiali. Nel frattempo, una nuova generazione raggiunge la maggiore età, mostrando un crescente disinteresse per il vino e l'alcol in generale. L’immagine non salutare del vino è sempre più vivida, complice l’emergere di studi che ne mettono in dubbio i benefici per la salute, e questo ha alimentato un movimento neo-proibizionista che avverte sui rischi di ogni singolo bicchiere.

Ma, nonostante si continui a vedere vino e la GenZ come due entità separate, va tenuto conto anche dell’altro lato della medaglia, quello della riscoperta delle tradizioni legate al vino. I giovani sono sempre più interessati alle origini del prodotto, al processo di vinificazione e alle storie delle cantine. Questa ricerca di autenticità li spinge a visitare le regioni vinicole e a partecipare a tour enologici, desiderosi di vivere un'esperienza diretta. Sono gli stessi produttori a rendersene conto. Come racconta Elena Fucci, dalla sua cantina a Barile, in provincia di Potenza: «I giovani sono il turismo migliore che abbiamo. Sono interessati, fanno domande, vogliono prima scoprire il territorio, i processi in cantina, poi assaggiare il vino da cui deriva». La generazione Z non si accontenta di qualsiasi vino. Le loro scelte si orientano verso nuovi prodotti e nuovi gusti, biologici, biodinamici, che vengano (anche) dai piccoli artigiani del vino. È anche grazie a loro che le cantine si sono modernizzate e oggi adottano pratiche eco-friendly e si impegnano in iniziative di responsabilità sociale, trovando un pubblico recettivo. Vogliono sapere da dove proviene il vino e come viene prodotto, evidenziando un forte legame tra consumo consapevole e valori etici.

Una questione di maturità e contesto

È possibile che il vino, come prodotto, richieda una certa maturità per essere apprezzato. Già le indagini, alla fine del secolo scorso, del New York Times mettevano in luce che molti consumatori iniziano a godere del vino non prima di aver superato i 30 anni, quando le responsabilità lavorative e familiari possono indurli a cercare esperienze più complesse, se così si vogliono definire. Questa maturazione potrebbe essere il motivo per cui i giovani ventenni attualmente si distaccano da una bevanda che richiede una certa ritualità e consapevolezza.

Ma qui il problema è anche il marketing e la comunicazione, che fanno emergere una percezione sbagliata del vino. Ne è testimonianza uno dei punti chiave emersi da recenti analisi, come quella di Nate Westfall (qui per approfondire): molti giovani percepiscono il mondo del vino come esclusivo e inaccessibile. Questo porta a un'immagine di elitarismo che può allontanare i potenziali consumatori. Così le parole di 26 anni fa sul quotidiano statunitense non ci sembrano molto lontane: «L'industria ha da tempo riconosciuto che il vino è gravato da finzioni e affettazione, ma ha fatto poco per contrastarlo. Sta a guardare quando la stampa idolatra i viticoltori stranieri e gli oscuri produttori di vino californiani i cui vini sono inaccessibili a tutti, tranne che a pochi privilegiati. E le pagine sono piene di preziose note di degustazione che rischiano di allontanare chiunque sia interessato al vino o alla prosa decente». Ci allontaniamo, quindi, da quello che dovrebbe e deve essere anche la scrittura sul vino: l’orizzonte di senso comune e condiviso.

Ai giovani piace il vino!

L'industria vinicola sta cercando di rispondere a questa crisi lanciando campagne per promuovere un consumo più consapevole – ma conviviale – come il movimento ComeOverOctober. L’obiettivo è quello di riattivare l'interesse per il vino attraverso esperienze di socializzazione e tornare a focalizzarsi sul piacere di condividere un bicchiere di vino con amici e familiari. Allo stesso modo, per le nuove generazioni di consumatori, il vino è stato difeso – a spada tratta – dal critico Eric Asimovtitolando In defense of wine la risposta alle provocazioni di Susan Dominus, che scriveva lo scorso giugno sul Nyt: Is that drink worth it to you? (Quella bevanda vale la pena per voi?). Lo ha difeso, più volte, dall’accanimento spudorato anche il Gambero Rosso. E non si tratta di negare i potenziali rischi associati all'abuso di alcol, come il binge drinking, ma di evitarne una rappresentazione cieca che ignori la sua complessità.

L'evidenza suggerisce che il ciclo di attrazione e repulsione nei confronti del vino potrebbe ripetersi nel tempo, ancora e ancora. Ogni generazione ha i suoi gusti e preferenze. Mentre i giovani oggi potrebbero non abbracciare il vino come le generazioni precedenti, è probabile che, con il passare del tempo, molti di loro sviluppino un apprezzamento per questa bevanda. La chiave per il futuro dell'industria vinicola sarà l'adattamento e la capacità di comunicare in modo efficace con i consumatori più giovani, rendendo il vino una scelta accessibile e attraente per tutti. Riconoscere questa ciclicità potrebbe essere fondamentale per il futuro del settore. Questo però, ce lo farà sapere la generazione Alpha.

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