«Le commissioni» che giudicano i vini a cui assegnare le fascette Doc e Docg «spesso vanno in tilt quando assaggiano bottiglie diverse da quelle convenzionali». A parlare è Francesco Mariani, viticoltore della cantina Raìna, che da anni in vigta sposa un'agricoltura meno interventista (cosiddetta "naturale") a ridosso di Montefalco. La sua è una piccola storia che ne racconta una più grande. Anno 2022, Umbria. Nello stupore generale degli addetti ai lavori, Mariani si chiama fuori «con effetto immediato» dalle Doc Montefalco e Spoleto. Tutti i suoi vini vengono quindi declassati a Umbria Igt. La decisione è arrivata dopo l’ennesima bocciatura del Trebbiano Spoletino 2021, «rivedibile per cinque commissari su cinque per alterazione di colore, evidente ossidazione e carenza di caratteri specifici». Stanco dei continui rifiuti, ha deciso di continuare a vendere i suoi vini senza le agognate fascette. «È finito il tempo della polemica – scriveva su Facebook – e delle lotte donchisciottesche contro i mulini a vento. Questo sistema non cambia per cui è ora di farsi da parte».
Il caso Raìna e i vini declassati
Il sistema che «non cambia», per usare le parole di Mariani, è quello delle commissioni di degustazione composte da enologi e assaggiatori. Tema che ha affrontato anche Report nella nuova inchiesta sul vino andata in onda il 18 febbraio, anche se frettolosamente. Come ha scritto sul Gambero Rosso il professor Michele Antonio Fino, è l'unica critica su cui fa centro la trasmissione diretta da Sigfrido Ranucci. Le commissioni di degustazione oggi sono fatte in modo tale da premiare un modo di fare il vino, che raramente è quello meno standardizzato e non interventista. Per correggere questa stortura, anni fa la FIVI, la Federazione italiana dei vignaioli indipendenti (la più grande della costellazione "naturale"), propose che nelle commissioni di degustazione ci fosse sempre un vignaiolo produttore, con almeno dieci anni di esperienza. Una proposta caduta nel vuoto.
Ad oggi, una cantina per poter riportare la Denominazione d’origine deve sottoporre i propri vini a un esame analitico e a uno organolettico. E a giudicarli è appunto una commissione, ce ne è una per ogni Denominazione. «Un sistema che non rispecchia sempre la realtà», dice Mariani. Certo, non tutti i vini naturali vengono bocciati, molti passano e ottengono la Denominazione senza problemi, ma il suo caso rimane eclatante: il Trebbiano Campo di Colonnello è un vino ben fatto e apprezzato dal pubblico e dalla critica.
Il vino è "rivedibile"
«Per diversi anni ho avuto problemi per la certificazioni dei vini», dice Mariani. «Riscontravano macerazioni scambiate per ossidazioni, profumi non perfettamente in linea con il disciplinare, problemi microbiologici inesistenti». E il vino veniva classificato come "rivisto" o "non idoneo". Secondo Mariani, «le commissioni sono composte da assaggiatori, enotecnici ed enologi di grandi cantine convenzionali spesso lontani dal nostro modo di lavorare». Il disciplinare, che fissa le regole per rientrare nelle Denominazioni, «alcune volte, non sempre, non rispecchia i nuovi gusti».
Un percorso a ostacoli che ha portato la cantina a lasciare del tutto la Denominazione. «Anche se perderemo alcuni clienti che hanno bisogno della fascetta – scriveva due anni fa il vignaiolo di Montefalco – questo non ci spaventa. Primo perché non abbiamo più intenzione di scendere a compromessi di sorta. Secondo perché è maggiore il senso di liberazione rispetto alle possibili ripercussioni commerciali. Dispiace, perché ho sempre messo il territorio e la qualità prima di ogni altra cosa. È una scelta dolorosa ma ormai diventata inderogabile».