zionale del settore vitivinicolo, nicchia ricca come si sa (per via del boom delle esportazioni) dove opera quasi il 30% degli iscritti della confederazione (più di 700mila), sensibilissimi a quanto accade nel mercato (delle uve, visto che si tratta soprattutto di produttori piccoli e medi, ma anche del vino, vista la fortissima
interelazione con il settore della vinificazione e con le cantine sociali).
Ed è proprio qui il puntochiave (molto, molto dolente): il rapporto con i "cugini" della cooperazione che, secondo Domenico Mastrogiovanni, l'uomo del vino di Cia, braccio destro del presidente Politi, non hanno ancora capito che il mercato sta cambiando profondamente (l'aumento dei prezzi delle uve è solo un segnale) e che la filiera (dalla produzione alla commercializzazione) deve adeguarsi in fretta, pena la sua crisi di rappresentatività e di negoziato sia con i poteri pubblici (le Regioni e il Mipaaf) sia con i poteri privati (la Gdo che impone i suoi prezzi e le sue regole).
La Cia è qui a Rimini, nel cuore dell'Emilia eno-cooperativa (qui si fa la metà della produzione coop, 15 milioni di hl) per far sentire più forte la sua voce, per dire che il sistema delle cantine sociali non può pensare solo all'autoconservazione e alla tutela degli interessi dei suoi soci senza guardare al di là di un mondo che si è retto sulle distillazioni e gli arricchimenti e che fra poco, con la nuova Ocm vino, non ci sarà più.
Così come non ci saranno più i Consorzi di tutela se non si apriranno a nuovi criteri di rappresentanza degli interessi (dei produttori, non solo degli industriali). Un ruolo, nel cambiamento, dovrebbe averlo il Mipaaf. Se non fosse "ambiguo e tentennante" come denuncia la Cia.
Giuseppe Corsentino
05/12/2011
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