Lascia Parigi e torna nelle Marche, ma non lascerà il mondo del vino, anzi per lui si prospetta un futuro da consulente o addirittura da négociant. Perché i dieci anni passati in Francia a dirigere l'Organizzazione internazionale della vigna e del vino (Oiv), per Federico Castellucci, classe 1951, qualcosa hanno lasciato. Primo italiano proveniente dal mondo delle organizzazioni professionali (per 15 anni dg di Federvini) e non da quello della pubblica amministrazione, Castellucci traccia con il Gambero Rosso un bilancio, a fine mandato, della sua attività iniziata nel 2004.
Cosa si lascia dietro?
Innanzitutto lascio i conti a posto. A dicembre, Oiv aveva incassato ben il 99% delle quote degli Stati membri. Nell'anno 2000 si pagavano 15 mila euro, con me si è andati sui 13,8 mila euro, ma allo stesso tempo gli aderenti sono passati da 31 a 45. E siamo riusciti a fare questo mantenendo inalterati i servizi, anzi incrementandoli, dalle statistiche all'informatizzazione del sito internet, ora in cinque lingue.
Una gestione familiare, si potrebbe dire...
Qualche mio collega me lo ha fatto notare. E un po' è vero. Diciamo che ho portato un po' di sano spirito marchigiano all'interno delle stanze dell'Oiv. Da subito, ho applicato i principi della spending review. A differenza di altri enti, i dipendenti Oiv hanno viaggiato spesso in low cost piuttosto che in first class.
La sua più grande soddisfazione?
Sicuramente l'ingresso dell'India. Un grande Paese, produttore soprattutto di uva da tavola. Ho dovuto lavorare molto per convincerli ad aderire a Oiv. Sono partito da una buona conoscenza con l'ambasciatore indiano a Parigi, ho incontrato produttori, ministeri e istituti di ricerca. Perché sono questi gli enti principali su cui lavorare. Non dimentichiamo l'adesione dell'Azerbaigian, antica terra di viticoltori, e del Montenegro. In generale, ho lavorato intessendo rapporti con nuove terre abbandonando quel dannoso atteggiamento coloniale che a volte contraddistingue gli europei. Così siamo riusciti a guadagnarci la fiducia di Georgia, Turchia, Moldavia e Libano. E spero nell'Uzbekistan.
Il suo più grande rimpianto?
Gli Usa e la Cina. Ma con questi grandi Paesi i tempi dei negoziati sono lunghi. Gli Usa, nel 2001, lasciarono l'Oiv sbattendo la porta dopo avere litigato con la Francia. E non sono più rientrati. Gli statunitensi, del resto, hanno scarso interesse a entrare in organismi in cui Italia, Francia e Spagna rappresentano la maggioranza produttiva. Mi auguro che qualcosa si muova col negoziato in corso sul libero scambio Usa/Ue. Discorso diverso per la Cina, che oggi è un Paese osservatore in seno all'Oiv, con Yantaï e con la regione autonoma del Ningxia Hui. Ma i cinesi sono molto prudenti e vogliono avere garanzie. Qualche settimana fa abbiamo incontrato proprio i rappresentanti dell'Istituto di ricerca nazionale sul tema dell'analisi sensoriale dei vini. I rapporti sono buoni.
È chiaro che il suo successore, il francese Jean-Marie Aurand, dovrà lavorare sodo sul tema dell'allargamento.
Aurand viene dal mondo ministeriale. Ha una visione più statale della mia, possiede molta esperienza a livello comunitario e lavorerà innanzitutto per far entrare la Commissione Ue nell'Oiv. Questo sarebbe un passo molto importante. Perché dopo che l'Ocm vino ha riconosciuto l'Oiv come organismo di rappresentanza è il momento di formalizzare la presenza in Oiv della stessa Commissione. Penso a una figura di osservatore speciale. Sul fronte Cina, invece, visti i rapporti stretti con la Francia, credo che Aurand possa avere qualche possibilità nei prossimi cinque anni del suo mandato. Potrebbe essere la volta buona.
Mancano all'appello tanti Paesi...
Mi piacerebbe che il Giappone capisse che entrare in Oiv è vantaggioso, così come la Corea del Sud e la Thailandia. Ma anche Messico e Canada, che purtroppo non si muove se non si smuovono gli Usa. Penso che dopo Aurand, l'Oiv debba fare la grande scelta di scegliere finalmente un direttore che venga dal Nuovo Mondo. Comunque io ci sarei rimasto altri due o tre anni.
Lei ha creduto molto sul tema del comunicare il vino e sul consumo di vino in relazione alla salute. Che cosa ha ottenuto?
Il contenuto di alcol nei vini sta salendo e su questo occorre stare attenti. Occorre essere rigorosi sul concetto di consumo moderato e consapevole. E se vogliamo lavorare sui giovani consumatori bisogna far passare il messaggio che il vino si beve non per sballarsi o per rimorchiare ma perché ha un gusto particolare e per capirlo a fondo occorre berlo con attenzione. Con questi presupposti, anche Svezia e Finlandia si sono sentite a proprio agio nell'Oiv che, sottolineo, non è il club dei buoni bevitori. Ed è con questo messaggio che dobbiamo andare a proporci agli altri. Il vino è scoperta, fascino e diversità e, in questo, l'Italia primeggia.
Già, l'Italia. Lei come l'ha vista in questi anni?
Sull'export, l'Italia fa buon lavoro ma si nota anche l'assenza di una programmazione. È chiaro che non possiamo andare tutti assieme, ad esempio, a Singapore a offrire una ventina di tipologie dello stesso vino. Occorre maggiore centralizzazione delle scelte e soprattutto persone preparate sulle abitudini dei Paesi dove ci si propone.
E l'Expo 2015?
Mi auguro che non ci siano protagonismi, che non sia l'Expo di questo o quel marchio ma dell'Italia.
Torniamo al presente. Cosa farà esattamente Federico Castellucci?
Voglio riprendere in mano i 12 ettari vitati a Verdicchio che ho lasciato a Montecarotto prima di entrare in Oiv, per evitare conflitti di interesse. Riprodurrò in piccolo la cantina Oiv di Parigi. Non essendo enologo, potrei fare il négociant, comprando le partite dai produttori che più mi interessano facendo le mie etichette. Ma potrei fare anche il consulente, per aziende o anche per i Paesi del Nuovo Mondo che vogliono riordinare le produzioni.
a cura di Gianluca Atzeni
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 9 gennaio. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.