“Attenzione: con gli estirpi si rischia l’abbandono di zone vocate”. Il monito del Master of wine Pietro Russo

24 Ott 2024, 17:34 | a cura di
L'enologo siciliano dà la sua visione della crisi dei consumi in atto, rilanciando con health warning (in nome della trasparenza) e abbassamento del grado alcolico

Consumatori in fuga, bisogno di trasparenza (a partire dall'etichetta), viticoltori in difficoltà, scontri tra difensori e detrattori del vino. Mai come in questo momento il settore ha bisogno di nuove idee per affrontare la crisi dei consumi in atto. Ma guai a sbagliare strada. Tra le proposte sul tavolo, per esempio, c'è quella di estirpare i vigneti sul modello francese, come il Gambero Rosso ha più volte raccontato: ma è davvero la via migliore? Di nuove domande e possibili risposte abbiamo parlato con con il Master of wine Pietro Russo che, con un approccio laico, prova ad allargare l'orizzonte su quello che potremmo definire il "vino del futuro" (Russo è anche uno dei docenti del nuovo corso del Gambero Rosso coordinato dal professor Attilio Scienza rivolto ai professionisti del settore; ndr).

Per inquadrare il momento, iniziamo da una recente polemica che anni fa non sarebbe neanche nata: le conseguenze del vino sulla salute. Hanno fatto discutere, a tal proposito, le parole di Bruno Vespa che al Gambero Rosso ha dichiarato che bere con moderazione non farebbe male.  Nella battaglia tra chi difende il vino e chi lo attacca chi ha ragione?

Credo che la verità stia in mezzo. Io sono per un consumo consapevole, nel rispetto della scienza. Di certo, in un momento in cui il vino è sotto i riflettori, bisogna stare attenti a seguire strade semplici. Il claim “il vino fa bene” è superato, meglio usare altri valori legati al vino per promuoverlo o valorizzarlo.

Ma di fatto esistono studi che parlano di effetti positivi sulla salute?

L’effetto antiossidante è dimostrato, ma sono altrettanto noti i rischi a livello epatico. Probabilmente il discorso vino e salute va affrontato riportandolo alla dimensione dell’abbinamento con il cibo e, quindi, all’interno della dieta mediterranea. E qui vorrei soffermarmi su quello che è il french paradox.

Diamo una piccola spiegazione for dummies. 

È il paradosso per cui nonostante in Francia si mangino tanti formaggi, il tasso medio di colesterolo nel sangue sia basso rispetto agli altri Paesi. E questo potrebbe essere legato proprio al consumo di vino. Di certo bisogna smetterla di pensare a compartimenti stagni e promuovere il vino in abbinamento al cibo.

Al di là delle polemiche, la sensazione è che oggi il settore vino sia particolarmente preso di mira. Cosa che magari nel tempo potrebbe toccare a qualunque altro prodotto che ingeriamo. È davvero così? E da cosa dipende?

Pensavamo che le cosiddetti lobby del vino avessero più peso, invece, ci siamo ritrovati da un giorno all’altro con le spalle al muro.

Come se ne esce?

Serve una strategia comune ed efficace. In questo momento, in particolare, il consumatore chiede trasparenza: diamogliela.

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Trasparenza anche in etichetta, quindi?

Credo sia un passaggio inevitabile nella contemporaneità del mondo del vino. Ma questo, a mio parere, non farà male al vino. Penso al trascorso sui solfiti, quando è stato introdotto l’obbligo di specificarne la presenza in etichetta ("contiene solfiti" o "senza solfiti aggiunti"; ndr). Questo ha al massimo creato un’ulteriore nicchia di mercato, ma non ha rimesso in discussione i consumi. Anche con le informazioni nutrizionali, magari accadrà lo stesso: ci sarà una nicchia più attenta alla lista e dall’altra parte anche i produttori si metteranno in discussione nel loro percorso produttivo.

Ma vale lo stesso per gli alert in etichetta, stile sigarette?

Non credo l’impatto sarebbe così devastante. Di certo, si dovrà accompagnare con una corretta promozione sulla cultura del vino, perché spesso si dà per scontato che consumatori da Paesi lontani sappiano di cosa parliamo e, invece, non è così.

In questo “mondo contemporaneo” così attento al rapporto vino e salute, la bassa gradazione alcolica potrebbe essere un valore aggiunto?

Senz’altro è un indice importante di cambiamento dei gusti da tenere in considerazione, ricordando che che la bassa gradazione non è un difetto. Oggi il consumatore è molto attento a questo tema, quindi trovare un vino a 12 gradi invece di 15 andrebbe incontro alle sue esigenze.

Ma da un punto di vista produttivo è una strada percorribile, dal momento che i cambiamenti climatici spingono nel senso inverso?

Col clima attuale ci vogliono accorgimenti importati in vigneto, ma non impossibili. Come dimostrano i Sauvignon neozelandesi è una strada possibile, ma richiede un approccio completamente diverso. In Italia ci sono zone particolarmente predisposte. Penso a vitigni come la garganega, il grecanico, il cataratto, la glera. Sapientemente lavorati possono esprimere un gusto davvero contemporaneo.

Anche i dealcolati potrebbero essere vini contemporanei?

Sono un po’ dubbioso sul considerarli all’interno della categoria vino, ma di sicuro, in questo momento, sarebbe un ottimo modo per smaltire le troppe giacenze in cantina. Anche se sul lungo periodo per la sovrapproduzione serviranno altre soluzioni.

Una soluzione estrema, molto dibattuta in questo momento, riguarda gli estirpi: cosa ne pensa?

Personalmente eviterei di andare in quella direzione. Il rischio maggiore è l’abbandono anche di zone vocate ma in difficoltà. Penso alla Sicilia dove, soprattutto nelle aree interne, la percentuale di abbandono sarebbe molto alto. Il vero problema, che ha portato a questo punto, è stato l’accesso a fondi Ocm.

Si spieghi meglio.

L'incentivo dei fondi ha permesso di iniziare a coltivare anche in zone poco vocate, dove si è perseguita una viticoltura non sostenibile sul lungo periodo. Questo ha fatto sì che sul mercato venisse immesso vino in eccedenza ma non necessariamente di qualità, solo per accedere ai sussidi.

Un problema molto italiano ma, come si dice, è inutile piangere sui "fondi versati". Guardiamo al futuro e ai nuovi consumatori. Più volte lei si è espresso in favore della lattina: l'Italia è pronta? 

Credo che, con i giusti limiti alle denominazioni classiche, non si debba minimizzare il fenomeno del vino in lattina sull’impatto che potrebbe avere nell’avvicinare i nuovi consumatori. Basta vedere quel che sta succedendo negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Il rischio è di lasciare spazi ad altri Paesi che ci arriveranno prima di noi.

Chiudiamo con una previsione per il futuro: i vini rossi torneranno ad essere centrali o il declino è ormai inevitabile?

Ci vorrebbe la sfera di cristallo. Voglio essere ottimista e sperare che questo trend negativo si riesca a riassorbire nel breve periodo. Al momento la realtà di dice altro. Forse dovremmo anche valutare nuovi stili in alcuni territori e in altri iniziare a pensare più in bianco.

 

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