Il gran caldo non lascia, e non lascerà, l'Italia meridionale. E non è una bella notizia. Nella settimana in cui anche nella Parigi dei Giochi Olimpici gli effetti della crisi climatica sono evidenti a tutti, con un'ondata di calore eccezionale che ha portato la colonnina di mercurio a 40 gradi, in agricoltura i problemi si fanno sentire in modo ancor più pesante, man mano che passano i giorni. Il Meridione d'Italia, in particolare, è giunto quasi al limite. A farne le spese sono le aziende del settore primario. Nel sondaggio pre-vendemmiale del Tre Bicchieri, pubblicato a metà luglio, avevamo sottolineato le caratteristiche di un un'annata vitivinicola che, per fortuna, non presenta i rischi di fitopatie di un terribile 2023 ma che ha nella carenza idrica il principale elemento di criticità. Anche a marzo scorso, dopo un inverno con piogge scarse e una certa lentezza istituzionale nella gestione dell'emergenza, era suonato un primo campanello d'allarme. Ed è su questo tema che, nel cuore dell'estate, si stanno concentrando le associazioni di categoria, per evitare un tracollo non solo nel settore vino ma in tutti i principali comparti agricoli. Circostanza che porterebbe con sé effetti pesanti a cominciare dalla dinamica dei prezzi sui prodotti al consumo nel prossimo autunno a causa della scarsità di materia prima.
L'allarme Legacoop: persi 4 miliardi di euro in 3 mesi
Sicilia, Sardegna, Puglia, Basilicata e Calabria. Queste le aree più in difficoltà. L'allarme della Legacoop è suonato forte in questi giorni. Con esso l'appello al Governo guidato da Giorgia Meloni e al ministro Francesco Lollobrigida da parte dei presidenti di Legacoop di diverse regioni del Mezzogiorno a mettere in campo risorse, a dotarsi di una cabina di regia nazionale e a emanare provvedimenti straordinari. La sigla cooperativa segnala come il settore produttivo più colpito sia, per l'appunto, l'agricoltura che «mostra dati assolutamente disastrosi: 4 miliardi di euro andati in fumo nel Meridione e quasi 33mila posti di lavoro persi solo nel primo trimestre del 2024».
In Sicilia la situazione peggiore
Il 6 maggio scorso il Consiglio dei ministri ha dato il via libera allo stato di emergenza per la siccità in Sicilia, con 20 milioni assegnati. Alla luce della grave situazione, anche gli ulteriori 92 milioni di euro annunciati dal ministro per le Infrastrutture, Matteo Salvini appena una settimana fa al question time alla Camera, appaiono una somma non sufficiente. «Serve fare di più per le imprese agricole al collasso», ha sottolineato Confagricoltura, ricordando che ammontano a 950 milioni di euro i fondi già messi a disposizione direttamente dal Mit per l’avvio di cantieri su nuove opere idriche e interventi su opere esistenti: un primo stralcio del nuovo Piano nazionale per gli interventi da 12 miliardi di euro (Pnissi), di cui il 10% per la Sicilia.
Il nodo degli invasi e le proteste dei produttori
Sempre nell'isola, è intervenuto il Masaf che ha provato a mettere mano al problema della diga di Lentini, in provincia di Siracusa: un bacino pieno d'acqua che non poteva essere utilizzato per la clamorosa mancanza dell'impianto di pompaggio, ora ripristinato. Forte preoccupazione nel Mazarese, per gli oltre 5mila ettari di terreni che dipendono dalla diga Trinità, denuncia la Cia agricoltori Sicilia occidentale, che segnala gravi perdite per i terreni dipendenti dalla diga. Tommaso Giglio, produttore della Giglio Viticoltori, è netto: «Abbiamo perdite del 70% e non vediamo un futuro per queste coltivazioni. Se lo Stato ci garantisce l’acqua, noi continuiamo a coltivare, altrimenti ce lo dicano chiaramente e diamo i terreni al fotovoltaico e all’eolico. E qua diventa un deserto».
Indebolire l'agricoltura per favorire l'eolico? I dubbi di Leonardo Taschetta
In un contesto in cui la politica sembra non avere le forze per pianificare una gestione oculata dell'acqua, e in cui sono molto forti le pressioni dei grandi gruppi interessati ai progetti eolici e fotovoltaici (al punto che Regioni e territori vitivinicoli, come Montecucco o come Val di Cornia, si stanno opponendo a quella che definiscono una minaccia per il territorio), ai produttori iniziano a venire i dubbi. E se ci fosse un piano per indebolire il settore primario e metterlo in difficoltà in modo che getti la spugna? Leonardo Taschetta, presidente della grande cooperativa Colomba Bianca, non esclude questa ipotesi. Conversando con il settimanale Tre Bicchieri, il manager parla di situazione drammatica nell'area attorno a Mazara del Vallo: «La Sicilia rischia di diventare una centrale per energia fotovoltaica o eolica. Quello che stiamo vivendo negli ultimi anni, in materia di gestione dell'acqua, somiglia a qualcosa di folle. Da almeno un ventennio dico che occorre rendere irrigabile gran parte dei terreni dell'isola».
Tentazione estirpazione dei vigneti
Per il resto, la situazione nei campi è definita «deprimente: non mi è mai accaduto - racconta Taschetta - di vedere imprenditori di 60 anni piangere perché stanno perdendo tutto. A causa dell'inattività delle istituzioni rischiamo di trasformare un giardino come la Sicilia in un deserto». Diversi soci di Colomba Bianca non riusciranno a conferire uve in questo 2024 «mentre alcuni registrano rese intorno ai 30-40 quintali per ettaro. Rischiamo - avverte il presidente della cooperativa da 2.500 viticoltori che nonostante un 2023 molto difficile sta chiudendo il proprio bilancio in attivo - di dimezzare la vendemmia, rispetto a una media annua di 600mila quintali. Inoltre, considerando un mercato globale in cui la domanda non è forte come in passato e in cui la produzione globale salirà di una decina di milioni di ettolitri, c'è l'ulteriore rischio di non riuscire a vendere il poco vino che produrremo». Le soluzioni alla crisi climatica e alla siccità? «Innanzitutto, occorre supportare i produttori, ad esempio sospendendo i mutui o favorendo le decontribuzioni. Altrimenti, se passa la tesi francese dell'estirpazione straordinaria, ritengo che una Sicilia in queste condizioni possa dirsi favorevole, almeno per un 30% delle superfici, a eliminare gli impianti in cambio di un contributo dello Stato».
In Puglia le riserve d'acqua arriveranno fino a Ferragosto
In Basilicata, la stima delle perdite (secondo il monitoraggio di Legacoop) è del 40% per la produzione di vino, del 90% per il grano. In Puglia, la più importante regione per volumi, la produzione di olive è al di sotto del 50%, con l'ortofrutta a -40% e aziende miste come Il Vignale a Orta Nova, guidata dal giovane Mario Di Matteo, costrette a ridurre le assunzioni stagionali per mancanza di volumi. Non solo: dal 2 agosto, annuncia il presidente di Copagri Puglia, Michele Palermo, l’unica fornitura d'acqua per uso irriguo che arriverà nelle zone di Loconia e di Minervino non sarà più quella proveniente dall’Ofanto, ma dipenderà dalla diga del Locone. L'associazione si è detta molto preoccupata perché la produttività agricola della Puglia risulta compromessa, con cali ampiamente al di sotto del 30 per cento.
La guerra dell'acqua in Puglia e il sabotaggio a orologeria
La Coldiretti Puglia, presieduta da Alfonso Cavallo, l'ha definita «guerra dell'acqua». E, in effetti, ci manca poco, dal momento che alla notizia dell'avvio del razionamento d'acqua nelle aree servite dalla diga del Locone è scattato un blitz di ignoti, che hanno divelto le cabine di erogazione. L'obiettivo, per il direttore di Coldiretti Bari, Pietro Piccioni, è chiaro: inibire l’erogazione d'acqua nell’agro di Minervino, lasciando a secco oliveti e vigneti nel periodo più critico dell’anno, per avvantaggiare altre aree rurali». Per Coldiretti, occorre andare oltre l'emergenza e soprattutto è necessaria una stretta sulla gestione delle acque: «Efficientamento delle reti di adduzione e scolo, completamento impianti incompiuti, manutenzione straordinaria degli impianti, rinnovo degli accordi con le Regioni Basilicata e Molise, ampliamento e messa a regime di impianti idonei per una moderna distribuzione sull’area regionale».
Dighe colabrodo nel Mezzogiorno e rischio dismissione
«Le dighe e gli invasi del mezzogiorno - rileva Legacoop - sono il simbolo dell'incuria e dell'abbandono. Il 50% delle dighe siciliane non è stato mai collaudato, quasi tutti gli invasi del Mezzogiorno registrano una riduzione d'acqua che supera il 50% e che sfiora il 65% in alcune regioni, rispetto alla dotazione degli scorsi anni». Il presidente Uci (Unione coltivatori italiani), Mario Serpillo, prospetta una situazione complicata, se non si interverrà: «Al prolungato periodo siccitoso, alle temperature roventi, si somma il colpevole stato di abbandono e di degrado della rete di distribuzione. Se la morsa del caldo, in assenza di acqua irrigua, sta già cancellando coltivazioni e pascoli, per l’agricoltura in quelle zone questo potrebbe segnare un punto di non ritorno, peraltro ciclicamente annunciato da molti anni e a fronte del quale sono stati fatti soprattutto proclami e piani di intervento. Alcune zone rurali, in modo particolare, rischiano una progressiva dismissione delle produzioni agricole».
La Sardegna in stato di emergenza
In Sardegna, la governatrice Alessandra Todde ha appena dichiarato lo stato di emergenza regionale: Baronia, Bassa Gallura, Ogliastra, Sarrabus, Basso Campidano e Cagliaritano. Le difficoltà sono soprattutto nell'area orientale dell'isola. «Vi è l’urgenza di ricorrere a prime e immediate misure di mitigazione del rischio per contenere gli effetti della crisi idrica in atto, che richiedono l’attivazione di procedure straordinarie come quella della dichiarazione dello stato di emergenza. In questo modo, saremo in grado - ha sottolineato Todde - di mettere in atto i primi interventi urgenti, che adotteremo attraverso ordinanze di protezione civile, anche in deroga alla normativa in vigore». La giunta ha stanziati, nell'immediato, 5 milioni di euro. La Copagri Sardegna chiede, in particolare, di autorizzare l’utilizzo delle acque reflue, opportunamente depurate, per uso irriguo, e di promuovere tutte le metodologie legate all’irrigazione di precisione e alla gestione oculata della risorsa idrica in agricoltura.