“Il mio lavoro? Il mio lavoro è portare felicità alle persone, riuscire a trovare la chiave giusta per aprire un varco, anche solo per un attimo, con una sensazione di piacere. Rendere le persone felici: ecco cosa mi dà gioia per quello che faccio”. Se questa, come raccontava al Gambero Rosso qualche tempo fa, è la mission di Frédéric Panaiotis, certamente stavolta c’è riuscito. Lo chef de caves della più antica maison di champagne (fu fondata nel 1729 da Nicolas, nipote di Dom Ruinart) non nasconde un pizzico di orgoglio presentando il millesimato 2002. Lo paragona al millesimato 1990 (sboccato nel 2003), ma questo è davvero suo. Panaiotis è infatti al vertice della cantina di Reims dal 2007 e pian piano ha mixato la sua visione contemporanea alla storica identità della maison. Il rosè 2002 che in Italia arriverà nelle prossime settimane (a un prezzo attorno ai 265 euro) è stato presentato a Parigi.
L’annata 2002, mite e secca, ha dato ai chicchi una maturazione ottimale riuscendo a conservarne una bella acidità. Questo millesimato 2002 si meritava un lungo invecchiamento in cantina per arrivare a una maturità perfetta ed esprimere le sue notevoli qualità. “E se consideriamo che si avvicina molto al 1990, possiamo dire che è sicuramente un vino che può ancora invecchiare parecchio”, spiega ancora Panaiotis.
Dom Ruinart Rosé 2002 è il frutto della miscela dell’80% di Chardonnay provenienti dai grand cru della Costa dei Bianchi e della Montagna di Reims. Il Pinot Nero vinificato in rosso compone il restante 20%. Il colore del vino è di un corallo profondo, sottolineato da riflessi delicatamente ramati, che si accentuano col passare del tempo.
Al naso, note di frutti esotici (guaiava) e agrumi (arancia sanguigna e cedro) si mescolano ad aromi floreali di violetta e rosa. Un tocco animale ricorda il muschio. L’aerazione del vino lascia apparire aromi di brioche al fior d’arancio, orzata, nigella e frutti rossi maturi.
“Questa complessità aromatica fa del Dom Ruinart Rosé 2002 un millesimato molto intenso e armonioso”, sostiene Sebastian Fortuna, brand manager in Italia di Ruinart, che aggiunge: “la bocca ne è l’esatto riflesso con un’ampiezza e un volume notevoli, sempre sottolineati dal fruttato, fiorito e speziato. La sua permanenza è la caratteristica dei grand cru che lo compongono”. Il basso dosaggio, del resto, ne esalta la delicatezza e l’effervescenza.
Alla presentazione a Parigi il Dom Ruinart Rosé 2002 è stato abbinato a piatti dal carattere deciso. “La sua ampiezza” afferma lo chef de caves “lo rende un millesimato che aumenterà ancora la propria finezza e intensità col passare degli anni, permettendogli di rientrare tra i grandi millesimati Ruinart come il Dom Ruinart Rosé 1990, 1988 e l’indimenticabile 1976”.
Dal punto di vista della comunicazione, la bottiglia presenta anche una novità: per la prima volta la contro-etichetta indica la data di sboccatura del vino. Una buona informazione per i connaisseur perché indica il numero di anni di invecchiamento in cantina passati dal vino sui lieviti feccia, informazione importante per misurare la complessità aromatica della cuvée.
a cura di Maria Presti
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Il Gambero Rosso aveva già intervistato in passato Frédéric Panaiotis, ecco qui di seguito il colloquio dello chef de caves con Lorenzo Ruggeri
Cos'è che ti appassiona di più nel tuo lavoro?
Il mio lavoro? Consiste nel portare felicità alle persone, riuscire a trovare la chiave giusta per aprire un varco, per un attimo, con una sensazione di piacere. Rendere le persone felici: ecco cosa mi dà gioia per quello che faccio.
Un importatore estero, mettiamo il più grande importatore in Cina, ti viene a trovare. Puoi aprire una sola bottiglia. Cosa stappi?
Non ho dubbi, il nostro Blanc des Blancs: rappresenta la nostra cifra stilistica. Il mercato cinese per noi è giovanissimo e lo chardonnay costituisce il nostro biglietto da visita, da sempre la nostra identità. È presente in tutte le nostre cuvée, anche nel rosé non scendiamo mai sotto una soglia del 45%. In tutte le sue sfumature, dalle parcelle di chardonnay sulla parte più alta della montagna di Reims (Sillery e Verzenay), più strutturato e potente, alle uve chardonnay delle Côte des Blancs (Avize, Cramant, Le Mesnil-sur-Oger), più minerale ed elegante.
E la bottiglia che stapperesti da solo davanti a un camino?
Dom Ruinart 1969. Semplicemente eccezionale, unico: ne sono rimaste solo 15 bottiglie in cantina...
L'evoluzione del gusto nella Champagne dal punto di vista sia produttivo che di fruizione?
Negli ultimi 20 anni qualcosa è cambiato. Sicuramente possiamo parlare oggi di dosaggi più bassi, ma allo stesso acidità anche più moderate. Almeno per il grande pubblico. Poi c'è una nicchia di consumatori che cerca un altro tipo di stile, ma io cerco di proporre sempre un modello che sia universalmente comprensibile: morbidezza e freschezza. E le tecniche che abbiamo a disposizione oggi, soprattutto sul versante dell'ossigenazione, ci portano a produrre vini che sono più precisi, puri, e più nitidi rispetto a qualche anno fa.
Facciamo un passo indietro, quali sono state le annate migliori degli ultimi decenni? Previsioni sulle prossime?
Eccellente la 1988, uve sanissime e perfettamente mature. Mentre ho qualche perplessità sull’annata 1996, a mio parere eccessivamente decantata dai media. È stata un'annata veramente difficile, con livelli di acidità e alcol elevatissimi. Ciò ha portato spesso a raccolte eccessivamente anticipate. Alcuni sono riusciti in ogni caso a produrre grandissime cuvée, ma in linea generale trovo diffuso un processo di ossidazione precoce, soprattutto sul pinot nero. Il 2002, per certi versi, ricorda l'andamento del 1996, ma questa volta abbiamo saputo aspettare e penso che nei prossimi anni uscirà anche meglio. In chiave futura, la 2004 offre versioni già molto armoniche ed eleganti, molto bene anche la 2006. E se devo scommettere dico 2009.