Decreto Rilancio
La parola del momento è “rilancio”. Quello auspicato, in primis, dal Governo Conte che dopo una lunga gestazione ha appena dato il via libera al nuovo decreto, che segue il Decreto Cura Italia (16 marzo e il Decreto Liquidità (6 aprile), per finanziare le attività economiche con 55 miliardi di euro. Ma se rilancio è un trend topic, la domanda più impellente è “quando”? Quando ci sarà la vera ripartenza? Quando (e se) si tornerà ai livelli pre-crisi? Le aziende del comparto vitivinicolo, come quelle degli altri settori, hanno subìto l’inaspettata intrusione del Coronavirus nel proprio mondo.
Un nuovo scenario post Covid-19
Di fatto, il Covid-19 è riuscito a cambiare in maniera sostanziale l’economia, come mai accaduto finora stando ai dati statistici: dinamiche di vendita stravolte, export fermo quasi ovunque, marketing da reinventare, rapporti coi fornitori totalmente modificati e canali di commercializzazione italiani ed esteri che, a due mesi dal blocco totale, non sembrano più gli stessi.
In questo nuovo scenario, con la produzione industriale ai minimi storici, il turismo mondiale stimato tra -60% e -80% nel 2020 secondo il recente rapporto Unwto, le perdite registrate nel primo quadrimestre che per gran parte delle imprese superano il 60%, i rimedi messi in campo dall’Europa e dall’Italia appaiono parziali, incompleti, insufficienti. Compresi i 100 milioni di euro appena stanziati nel Dl Rilancio per la riduzione volontaria delle rese di Dop/Igp, l'impegno a ridurre anche quelle dei vini generici (da 50 a 30 tonnellate/ettaro) e a introdurre una distillazione di crisi, le cui risorse sono ancora da trovare. Rispetto a tali misure, il mondo del vino italiano, attraverso le organizzazioni dei produttori, non esita a parlare di scelte poco coraggiose e della necessità di predisporre un vero, e organico, piano di rilancio complessivo.
Uno tsunami sul settore vino
Proviamo a tornare indietro di qualche mese quando, a metà febbraio, la filiera nazionale ed europea tirava un lungo sospiro di sollievo dopo la decisione del governo statunitense di Donald Trump di non inasprire al 100% l’attuale tassazione del 25% sui vini in ingresso nel mercato Usa. Nonostante il clima di generale instabilità, le imprese si preparavano ad affrontare la stagione delle grandi fiere internazionali con l’occhio alla vendemmia 2020. Poi, a marzo, come uno tsunami, è arrivata la pandemia da Covid-19 che ha travolto quasi tutto. Le conseguenze del lockdown, dagli Usa al Giappone, sono state da subito molto chiare per il comparto vitivinicolo, che ha visto nero e ha chiesto immediatamente massima flessibilità nelle misure del Piano nazionale di sostegno (Pns), che ogni anno è finanziato con 330 milioni di euro.
Gli interventi di Mipaaf e Ue
Le istituzioni, Commissione Ue e Mipaaf, hanno provato a mettere una pezza in uno scenario assolutamente imprevedibile. La flessibilità è stata la parola d’ordine che ha ispirato gli interventi d'emergenza in materia di ristrutturazione e riconversione dei vigneti, di autorizzazioni per i nuovi impianti, investimenti, assicurazione e promozione. La filiera ha chiesto e ottenuto lo spostamento delle scadenze in avanti, dalla validità delle autorizzazioni, dalla possibilità di prorogare gli investimenti in cantina, all’eliminazione delle penalità previste dai regolamenti dell’Ocm vino nei casi in cui, per cause di forza maggiore come la pandemia, non si riescano a completare i progetti già finanziati. A questo sono serviti il primo decreto Proroghe del Mipaaf del 31 marzo scorso e il pacchetto di misure varato da Bruxelles il 30 aprile scorso. Ma sul lato finanziario i fondi scarseggiano e non si intravede la possibilità di ottenere da Bruxelles un maggiore impegno finanziario.
I malumori dell'industria europea
La prima a storcere il naso è la filiera europea del vino. “La Commissione Ue ha presentato queste misure come un'importante concessione di flessibilità, ma noi lo consideriamo come un necessario adattamento delle regole sul fronte amministrativo”, spiega a Tre Bicchieri Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale del Ceev, associazione che rappresenta circa il 90% dell'export europeo di vino.
Le misure
Bruxelles ha concesso un maggiore finanziamento delle misure del Pns, passato dal 50% al 60%, ha dato l’ok all’allungamento del periodo della vendemmia verde fino a luglio e ha introdotto due nuove misure che potranno essere finanziate nel 2020: la distillazione di crisi, ovvero la trasformazione in alcol del vino in eccedenza (che con 50 milioni di euro toglierà dal mercato circa 2,5 milioni di ettolitri) e lo stoccaggio (o ammasso privato).
Ma l’Ue ha anche detto chiaramente, attraverso il commissario all'Agricoltura, Janusz Wojciechowski, che i soldi a disposizione in un periodo, come l'attuale, di passaggio tra vecchia e nuova Pac sono molto pochi e che i governi dovranno trovare risorse attraverso una rimodulazione dei fondi già distribuiti all’interno dei singoli Piani nazionali di sostegno. “Per il momento” sottolinea Sánchez Recarte “la Commissione non prevede altri pacchetti specifici sul vino. Stoccaggio e distillazione di crisi, invece, avrebbero bisogno di risorse ad hoc per essere efficaci”.
Bellanova chiede più fondi
Il Consiglio europeo dei ministri dell’agricoltura e della pesca, svoltosi mercoledì 13, ha lasciato l’ennesimo amaro in bocca anche alla stessa ministra italiana Teresa Bellanova: “Alcune misure adottate, in particolare gli stoccaggi privati, vanno sicuramente nella direzione auspicata ma si tratta di misure caratterizzate da una portata molto limitata, oppure di scarsa efficacia, molto costose e obsolete, o purtroppo incomplete. E su questo chiedo alla Commissione un intervento deciso”.
Si spera, infatti, in ulteriori risorse che potranno arrivare nell'ambito della discussione sulla Farm to fork strategy, che l’esecutivo europeo guidato da Ursula von der Leyen presenterà a fine maggio. La delusione della Bellanova è forte guardando al comparto vitivinicolo, alfiere del Made in Italy agroalimentare: “Concedere solo maggiore flessibilità è insufficiente” ha ribadito “mentre è urgente un piano di sviluppo, dotato di adeguate risorse finanziarie, per i settori in sofferenza, in particolare sulla promozione del vino”.
Il Decreto Rilancio
A favore del comparto vino italiano, l’ultimo provvedimento di Palazzo Chigi comprende un finanziamento da 100 milioni di euro per il 2020, riservato a chi si impegna a ridurre volontariamente la produzione dei vini a Do e a Ig. In particolare, la riduzione non potrà essere inferiore al 20% rispetto al valore medio delle quantità prodotte negli ultimi 5 anni, escludendo le campagne con produzione massima e minima (quindi la 2018 e la 2017). Per le aziende, è previsto un ristoro per ogni ettaro interessato da questa operazione, che si configura come vendemmia verde. I criteri saranno definiti nel dettaglio da un futuro decreto applicativo del Mipaaf, che sarà emanato entro un mese dalla pubblicazione del Dl in Gazzetta ufficiale.
Contenere le produzioni
Con l’Horeca in fase di riapertura e l’export quasi fermo, l’esigenza principale è contenere le produzioni ed evitare un pericoloso deprezzamento dei valori del vino. Va in questa direzione uno specifico emendamento, contenuto sempre nel decreto Rilancio, che annuncia un taglio delle rese sui vini generici (quindi non Dop/Igp) che passano da 500 a 300 quintali/ettaro.
Oggi, infatti, l’Italia ha tanto vino in pancia: l’ultimo bollettino Icqrf, al 7 maggio, quantifica in 50,8 milioni di ettolitri gli stock di vino (-1,2 mln/hl rispetto al 28 aprile), pari alla produzione equivalente a un'intera vendemmia. E il rischio sovrapproduzione e overload sul mercato è concreto. Ma anche questa misura prevede la modifica della legge generale sul vino (Testo unico, L.238 del 2016) e sarà necessario un confronto in sede di Conferenza Stato-Regioni. Entrambe le misure appaiono non decisive alla luce delle esigenze della filiera vitivinicola, che sta trovando nella Gdo e nelle vendite online l'unica valvola di sfogo, e che ha davanti uno scenario internazionale quanto mai incerto e mutevole.
La voce delle associazioni
Unione italiana vini
A chiedere cospicui investimenti per l'affermazione dell’immagine del vino sui mercati esteri è l’Unione italiana vini, che propone una modifica della dotazione finanziaria dell’Ocm, spostando dalla misura ristrutturazione alla promozione 50 milioni l’anno per tre anni (150 milioni), in modo da aggiungerli ai 100 milioni l’anno dei Pns e, quindi, di poter attivare con un budget di 450 milioni di euro di fondi pubblici un totale di 900 milioni di investimenti nella promozione, tra 2021 e 2023, comprendendo il contributo a carico delle imprese. Fondi che andrebbero a integrare quelli per il sistema Paese annunciati dal Ministero per gli affari esteri e che coinvolgono le attività dell'Agenzia Ice. Secondo il segretario Uiv, Paolo Castelletti, occorre fare anche di più e rivedere l'intero regolamento esecutivo Ocm vino, per poter "fare promozione non solo, come ora, nei mercati extra-Ue ma anche nel mercato interno".
Federvini
La Federvini saluta positivamente la flessibilità introdotta finora dai decreti Ue e Mipaaf dei mesi scorsi, avverte sul reale rischio surplus di mercato nel 2020, ma ritiene necessario intervenire non solo sul lato della produzione, come disposto dal Dl Rilancio, bensì prevedere “un disegno complessivo sul sistema del vino Made in Italy”, come sottolinea il direttore generale, Ottavio Cagiano. Per quanto riguarda il segmento amari e liquori (in sofferenza anche per i dazi negli Usa), la Federvini chiede l’abrogazione del contrassegno di Stato per i prodotti soggetti ad accisa venduti sul territorio nazionale e la sospensione del versamento mensile dell’accisa fino a settembre 2020, con rateizzazione degli importi.
Cia agricoltori italiani
Critica sulle misure finora messe in campo per contenere la crisi è anche la Cia agricoltori italiani, che stigmatizza l'esiguità delle risorse a disposizione: “L’approccio della Commissione Ue nei confronti del comparto vitivinicolo non è stato finora all’altezza del rischio default che sta correndo il settore”. Se, poi, si guarda al Dl Rilancio, come fa notare il responsabile vino di Cia, Domenico Mastrogiovanni, la distillazione di crisi da finanziare fondi Pns, che andrarnno ricavati dagli esigui budget regionali inutilizzati, potrebbe incontrare difficoltà di reperimento e portare a risultati non soddisfacenti.
Confagricoltura
Per la Confagricoltura, i 100 milioni previsti per la riduzione delle rese nel decreto Rilancio sono una cifra “interessante”, ma il problema sarà il basso valore medio dei volumi calcolati sul quinquennio. “Ai produttori, soprattutto ai più piccoli e in difficoltà con l'Horeca, occorre garantire liquidità immediata con meno burocrazia”, afferma il Dg Federico Castellucci, ricordando che non sono ancora stati incassati i crediti 2019. Inoltre, occorrerà avere una visione d'insieme sul mercato: “Argentina, Cile, Australia e Nuova Zelanda sono pronte a una concorrenza spietata verso l'Italia. Non c'è tempo da perdere”.
Fivi
La Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti) ha scritto una lettera ai ministri Bellanova (agricoltura) e Gualtieri (economia) chiedendo di sostenere comparto vino e Horeca attraverso un’Iva agevolata (dal 22% al 10%) fino a tutto il 2023, con sospensione (ovvero il posticipo) del versamento dell’Iva relativa alle fatture emesse da marzo in poi e, infine, chiedendo l’esigibilità dell’imposta sul valore aggiunto al momento dell’incasso e non alla consegna o alla spedizione, sempre fino a dicembre 2023.
Alleanza cooperative
L’Alleanza cooperative considera positive le deroghe sulle misure del Pns arrivate a partire dal 31 marzo scorso, attende dal Mipaaf l’importantissima modifica delle modalità applicative della misura Promozione e mostra perplessità sulla misura nel Dl Rilancio: “I timori maggiori sono legati alla possibilità di istruire dei controlli efficaci sulle imprese. Inoltre, le nostre associate vedono come ultima ratio la distruzione del prodotto”.
Tra i provvedimenti futuri, l'Alleanza cooperative auspica “ulteriori interventi per la liquidità oltre le misure contenute nel Dl di aprile. E sul Made in Italy” rimarca il responsabile vino Luca Rigotti “è assolutamente necessaria una forte campagna di promozione istituzionale nazionale ed estera”. Ma la vendemmia si avvicina e non va dimenticato il nodo della mancanza di manodopera agricola, oggetto anche questo del Dl Rilancio, in cui si prevede la regolarizzazione delle posizioni dei migranti e dei braccianti agricoli in nero: “Con l’avanzare della stagione” rileva l'Alleanza cooperative “il fabbisogno nei campi e nei vigneti è destinato ad aumentare”. E i risultati delle misure del decreto si vedranno tra diverse settimane.
Coldiretti
Nelle campagne, già in piena emergenza per il raccolto primaverile, come ricorda la Coldiretti che insiste sui voucher, c’è bisogno di 200 mila lavoratori. Gli imprenditori agricoli possono aspettare così tanto?
a cura di Gianluca Atzeni