Le enoteche cambiano forma e connotazione, ma sono in crescita costante sia come imprese che come addetti. Ecco come è cambiata la richiesta del mercato e come lo shopping si adegua e stimola anche nuove domande. L’online è un servizio, ma non è l’unico dei modi possibili
All’inizio c'erano i vecchi “Vini e Oli”
Proprio così: all’inizio erano i vecchi “Vini e Oli”, magari ve li ricorderete. E nella spasmodica ricerca del vintage nelle attività commerciali, in alcuni casi stanno anche tornando in auge. Negozi in cui spesso il vino arrivava in damigiane dalle campagne e veniva poi rivenduto sfuso. Piano piano la bottiglia faceva il suo ingresso all’interno di questi esercizi: prima qualche etichetta locale, poi quelle delle regioni vicine, e infine le referenze iniziarono a provenire da tutta Italia, finanche dal mondo, trasformando la vecchia bottega in... enoteca!
Alla fine degli Anni '60 nascono le prime enoteche con mescita
L’evoluzione del commercio è un processo continuo: a volte subisce battute d’arresto, ma inesorabilmente avanza e si adegua alle richieste del mercato: così, già alla fine degli anni Settanta, qualche illuminato enotecario iniziò a scardinare un mondo che nei decenni anni si era arroccato in un eccessivo formalismo, tanto nella vendita quanto nel servizio, iniziando a proporre il vino in maniera più divertente. Nacquero le prime enoteche con mescita ed è difficile dire se furono loro ad accrescere l’interesse del pubblico o se fu quest’ultimo l’artefice della trasformazione, guidato dalla voglia di conoscere sempre di più il mondo del nettare di Bacco. Oggi il vino ha perso molto (ma non tutto) di quell’aura di elitarismo che conservava fino a qualche anno fa: il motivo va ricercato innanzitutto nella capillare rete distributiva che agisce attualmente su tutti i livelli. Dal supermercato sotto casa all’enoteca classica, passando per i wine bar a tema
Oggi è sempre più facile acquistare vino
Oggi è sempre più facile acquistare vino, dai siti online ai negozi di nicchia, fino alle aree specializzate dei grandi supermercati vino artigianale, arrivando persino ai grossisti, comprare una buona (o ottima) bottiglia è divenuto davvero facile. Anche se tutto questo andrà verificato a valle della fine dell’emergenza Coronavirus: cosa rimarrà? Cosa cambierà? Cosa scomparirà?
Dalle rivendite di vino alle moderne enoteche
“Le enoteche nascono come naturale evoluzione delle rivendite di vino sfuso o di osterie – racconta Andrea Terraneo, presidente di Vinarius, l’associazione delle enoteche italiane nata nel 1981 con il principale scopo di fare formazione sul vino di qualità per gli addetti ai lavori e per i consumato- ri – col tempo sono passate a imbottigliare il vino; poi a selezionare i vini dei produttori e a proporli specializzandosi man mano sui vini di maggior qualità e pregio”. Tutti step che dopo lo “scandalo del metanolo” del 1986 subiscono una mirabolante accelerazione: sia per la maggiore attenzione da parte dei selezionatori nel proporre i prodotti, permettendo di alzare ancora l’asticella di coloro che sapevano riconoscere l’alta qualità dei vini e proporla alla clientela creando fidelizzazione; sia perché da quel periodo in poi, il vino italiano vive una crescita incredibile, numericamente e qualitativamente.
Il dopo “scandalo del metanolo”
“Sfogliare oggi i nostri listini del dopoguerra evidenzia le radicali trasformazioni dell’offerta di vino che sono avvenute nei 25 anni compresi tra il 1960 e la metà degli anni ‘80 – spiega Paolo Trimani, della storica omonima enoteca di Roma – una rivoluzione che ha radicalmente modificato sia la produzione, sia il consumo. Nell’Italia contadina il vino era un alimento fondamentale; nell’era del consumismo è diventato per tutti un piacere troppo spesso occasionale: bere meno ma bere meglio è stato uno slogan di successo che ha celebrato, con malcelato compiacimento, la sparizione del vino dalla nostra quotidianità”. “Negli anni ‘90 e ancora di più nel 2000 – gli fa eco Terraneo – abbiamo assistito al passaggio dalle poche aziende di grandi dimensioni al moltiplicarsi di piccole e medie aziende produttrici di vino in tutte le regioni italiane dove spesso i giovani sono tornati a riprendere in mano le società di famiglia che fino a quel mo- mento magari conferivano uva o vino, imbottigliando con la propria etichetta e il proprio nome il frutto delle proprie vigne. Ciò ha comportato un incremen- to del numero delle referenze sul mercato, ma anche a un incremento dei negozi specializzati”. “L’arrivo di queste novità, accompagnato dalla comparsa delle guide e dei premi – chiosa Trimani – impattò un settore abituato tutto sommato a un tranquillo e monotono tran tran. Arrivarono velocità e intensità travolgenti e si modificò per sempre il paesaggio: via le fojette di sfuso e i vecchi clienti col mezzo toscano tra le labbra, largo a vitigni esotici e prezzi esorbitanti in un’atmosfera entusiasta e travolgente”.
Arrivano anche super e iper mercati
Un nuovo mondo che però ha dovuto fare i conti ben presto con il sempre più preponderante ingresso del vino sugli scaffali della gdo, della grande distribuzione organizzata. Attualmente la maggior parte del vino in Italia è venduto proprio tramite questo canale distributivo: si tratta di un giro d’affari che nel 2019 si è chiuso con un valore di 2,45 miliardi di euro con un incremento del 2,3% sul 2018. Un duro colpo per le enoteche che hanno dovuto cambiare pelle per non soccombere alla potenza di fuoco dei grandi gruppi. E allora, oltre che a vendere, le enoteche hanno iniziato a stappare le bottiglie proponendo i vini al bicchiere agli avventori: la mescita è stata una delle risposte alle criticità create dai crescenti acquisti nella gdo.
La nascita dei wine bar
Gli esercizi (le enoteche) hanno iniziato così a offrire dei servizi che i supermercati non avrebbero potuto offrire, ampliando il loro raggio d’azione e creando degli spazi all’interno dei negozi in cui sedersi e sorseggiare l’etichetta scelta, magari accompagnandola con qualche stuzzichino. È la nascita dei wine bar, sempre più frequenti ne- gli ultimi dieci anni con aperture di locali che, tra l’altro, sono stati indispensabili per attrarre verso il nettare di Bacco le giovani generazioni che non hanno mai vissuto il mito (e per alcuni aspetti anche il dramma) dell’osteria e delle fraschette. Già, perché in tutto questo, l’altro grande cambiamento è stato quello della clientela: “A livello globale il mondo del vino – afferma Terraneo – è più aperto al confronto e al dialogo rispetto a prima degli anni 2000; Internet ha favorito sicuramente gli scambi, ma anche i cambi generazionali hanno portato aria fresca e nuovi punti di vista dentro la filiera”.
L’era dello storytelling
“Di fronte a un pubblico sempre più competente, grazie anche al web, pure le enoteche hanno dovuto nuovamente evolversi, per riuscire a riflettere il bisogno dei clienti di formarsi e informarsi – afferma Davide Simeoni di Ferrowine, importante realtà distributiva veneta, attiva anche con due moderni punti vendita – Da semplici negozi dove acquistare-degustare vino e altre bevande, sono diventate dei luoghi esperienziali, dove accrescere la propria cultura e le proprie conoscenze”. E ancora Terraneo: “Non esiste più il consumatore da un litro di vino al giorno come nel Dopoguerra o negli anni ‘70 e ‘80 e sempre meno oggi ci sono i consumatori abituali del decennio 1990-2000. Attualmente il consumatore è meno affezionato a un prodotto e più predisposto a variare le sue scelte in base al momento in cui deve bere il vino - una cena, un aperitivo - e agli abbinamenti. Anche i giovani si muovono disinvolti di fronte alla grande varietà di vini che oggi si trovano in enoteca e sono propensi a cambiare etichetta spesso per assaggiare quante più cose nuove possibile”. Spiega Simeoni: “Oggi i clienti cercano maggiore profondità di offerta e maggiori informazioni sulle etichette che acquistano. I consumatori finali ricercano storie: non si accontentano di acqui- stare un vino di qualità ma desiderano conoscere la storia di quel prodotto e di chi lo ha creato”.
Da semplici venditori a consulenti
È questo il motivo per il quale l’enotecario oggi non è più solo un venditore che passa al cliente la bottiglia dallo scaffale, ma è piuttosto un consulente, anzi, quasi un confidente del cliente, uno psicologo che deve scrutare la persona che ha davanti per cercare di accontentarlo e per por- tarlo a fare la scelta per lui migliore, che saprà soddisfarlo al meglio. “Proprio perché l’enotecario non è più solo commerciante abbiamo fondato AEPI, l’Associazione degli Enotecari Professionisti Italiani – ci spiega Francesco Bonfio, presidente dell’associazione di categoria, riconosciuta anche dal MISE – Il mestiere di enotecario oggi ha tanti aspetti: è un comunicatore, ma lo è da sempre, e lo è in modo sartoria- le perché si rivolge a un cliente singolo, sempre diverso, e deve parlare e raccontare avendo ben presente chi ha di fronte. È degustatore in quanto sempre più spesso viene chiamato a rappresentare la categoria nelle commissioni dei concorsi enologici; è consulente, sia nelle semplici risposte che dà alla clientela, sia quando viene investito di responsabilità più impegnative come redigere una carta dei vini; è docente, quando tiene i corsi di degustazione per il pubblico; è divulgatore quando tiene degustazioni monotematiche per picco- li gruppi o per singoli che vogliono una assistenza personalizzata. Si potrebbe continuare ma sono esempi di attività professionali che hanno a che fare con la parte culturale dell’attività di enotecario e non con quella commerciale”.
Gli enotecari hanno iniziato a utilizzare Internet
Ma soprattutto, gli enotecari, hanno iniziato a utilizzare Internet come una freccia nel proprio arco, soprattutto per quanto riguarda i social network: mezzo attraverso il quale vengono veicolate molte informazioni e in grado di raggiungere meglio un'ampia fetta di pubblico, soprattutto quello giovane. “Gli enotecari sono meno ingessati e spesso più curiosi – afferma Sara Boriosi, dell’enoteca Giò di Perugia – Forse anche grazie al moltiplicarsi di fiere, degustazioni, eventi... Noi, insieme ai nostri colleghi, curiamo il rapporto con la clientela anche tramite newsletter e pagine social, dosando bene la sensibilità nello spingere non eccessivamente con inviti e proposte, evitando dunque di essere invadenti. Trovo che la comunicazione social sia fondamentale quando non scade nell’essere parodia compiaciuta, quando cioè il vino non viene descritto con una mitragliata di termini fantasiosi e inappropriati che vogliono dare l’impressione di dire molto, senza di fatto dire granché”.
L'articolo continua sul mensile di giugno del Gambero Rosso.
a cura di William Pregentelli
disegni di Daniela Bracco
QUESTO è NULLA...
Nel mensile di giugno del Gambero Rosso trovate l'articolo completo con in più le migliori enoteche premiate con i Tre Cavatappi dalla guida Enoteche d'Italia del Gambero Rosso e le migliori catene nazionali, la mappa degli innovatori, le città col maggior numero di negozi, un'infografica sul mondo delle enoteche, un focus su come l’emergenza covid sta cambiando il marketing del vino e i punti di vista di enotecari e distributori.
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