Davvero l'alcol fa male come il fumo? Veramente bere vino è come spararsi eroina in vena? Possibile che ormai il nemico numero uno in Italia - anzi, nel mondo - sia il vino? Tutto in nome della salute, anzi di un salutismo che analizza le azioni, le scelte, i comportamenti umani solo in base a numeri e dati statistici generali che non tengono conto di altro. Ai tempi della "legge Sirchia" - quella che, approvata nel 2003, portò al divieti di fumo nei bar e nei ristoranti e in tutti i locali pubblici dal 2005 - ci fu battaglia, addirittura una guerra pro o contro i divieti che era iniziata ben 30 anni prima quando il divieto aveva interessato cinema e bus. Certo, le lobby delle multinazionali hanno avuto il loro bel peso sulla politica; i bastoni tra le ruote del divieto arrivarono da più parti e i palazzi si spaccarono. Però, poi, la cosa andò avanti e anche abbastanza liscia. Pensate se ci fossero stati i social che conosciamo oggi: sarebbe stato l'inferno. Racconta Sirchia, l'allora ministro che diede il nome alla legge: «Tanti ristoratori, nonostante le grandi resistenze iniziali, finirono col tempo per ringraziarmi. E così tantissima gente che lavorava nei locali notturni, dove prima dell’approvazione della legge, al chiuso delle discoteche, in molti si erano ammalati a causa del fumo passivo». Fu una scelta di civiltà. Ma cosa c'entra col vino? Nulla. Assolutamente nulla.
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Dall'alcolismo al consumo consapevole
Il vino nasce insieme all'uomo e lo accompagna per tutta la sua storia. Basta cliccare su qualsiasi enciclopedia online per leggerne la storia. E per vedere come l'alcolismo abbia cominciato a essere una piaga sociale a partire dal XVIII secolo dove nell'Europa del proletariato urbano e nella nascente America l'alcol diventa una sorta di "medicina sciale" che scatena l'emergenza e di lì a seguire le varie battaglie politiche e religiose contro gli abusi. L'alcol però, e il vino in particolare, non sono solo eccesso o abuso. Superata, per esempio, la fase dell'alcolismo "endemico" che ha segnato il nostro Paese nella prima metà del secolo scorso - spinto soprattutto dallo stravolgimento delle abitudini e delle vite dei singoli e dei gruppi e dalla tragedia delle due guerre mondiali - il vino è diventato un elemento di condivisione, di socialità, un terreno di scambio culturale ed emotivo (diverso è l'uso o abuso di alcol come fenomeno recente in alcuni Paesi del Nord Europa e in particolare tra i giovani: ma alcol, non vino).
Tanto che partendo dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso (segnato dal drammatico scandalo del metanolo) ad oggi, il mercato del vino ha vissuto una vera e propria rivoluzione in cui la produzione e il consumo di vino si sono ridotti della metà (dati 2015: da 77 a 47 milioni di ettolitri prodotti per un consumo pro capite passato da 68 a 37 litri) con un aumento, invece, della qualità delle bottiglie prodotte e del loro valore: il valore nominale della produzione, nel 2015, era di 9.400 milioni di euro contro i 4.200 del 1986. L'indice di qualità, invece, secondo una ricerca di Symbola e Coldiretti passava dal -36% del 1986 al + 48% del 2015. Non solo. Importante è il cambiamento delle abitudini di consumo che rivelano un profondo cambiamento nel modo di bere - o meglio, di degustare, consumare - il vino: se sono aumentati i consumatori che si attestano (nel 2023) al 55% della popolazione con un aumento di oltre il 30% in 15 anni, sono diminuiti in modo considerevole (del 22%) i consumatori quotidiani. Quindi: si sta andando bene, si beve di meno - molto di meno - e meglio - molto meglio. E il vino si paga di più perché vale di più.
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Le statistiche e l'ipocrisia dei numeri
In questo contesto, è abbastanza incomprensibile spiegarsi la feroce offensiva che da qualche tempo è scattata contro il vino. Parliamo di vino, perché gli spirits sono già in calo abbastanza notevole. E hanno già i loro dissuasivi alerts. Qual è il senso di questa guerra? Intanto, assimilare il vino ai superalcolici non ha molto senso. Almeno qui da noi, in Italia. Quindi, poiché avrebbe un effetto boomerang prendere di mira il vino tout court, si parla di alcol: fa male, provoca il cancro, fa morire. Il collega Mattia Ferraresi - di cui pubblichiamo un prezioso e informatissimo articolo sul prossimo numero del mensile Gambero Rosso tra pochi giorni in edicola - scrive che «secondo Stockwell, il padre del “debunking” sull’alcol, “un drink al giorno riduce l’aspettativa di vita media di circa tre mesi”. Significa che ogni bicchiere sottrae cinque minuti di vita a un bevitore moderato, mentre per i bevitori forti (due o tre bicchieri al giorno) i minuti persi per drink diventano almeno 10, e poi salgono esponenzialmente in ragione della quantità». Al che, scherzando ma fino a un certo punto, ho chiesto all'amico Ferraresi di quanto ci accorcerebbe la vita un minuto di respiro in mezzo al traffico di Roma. La risposta: di un minuto, almeno. Esattamente come ogni altra attività umana! Questo semplicemente per dire che da quando nasciamo siamo destinati alla morte. E che come qualsiasi cosa mangiamo ci farà ingrassare e non dimagrire, così qualsiasi attività ci porterà inevitabiemnte alla fine. Il punto è quanto valore diamo a quel preziosissimo - l'unico che abiamo - intervallo tra i due estremi. La socialità e la convivialità sono una delle cose che danno valore e ricchezza a quell'intervallo umano.
Che senso ha dirsi "pro" o "contro" il vino?
Quindi, va bene parlare di alcol e approfondirne gli aspetti sia sociali che sanitari. Altra cosa è scatenare la psicosi. Oggi, chiunque la spari contro il vino avrà sui social il suo momento di gloria: polemiche, risposte e insulti, spari ad alzo zero... Esattamente come chi si esprima "a favore" dell'alcol. Ecco, il primo punto di riflessione è: ha senso dirsi pro o contro il vino? Se un senso lo ha, è solo a favore dei social. Ovvero, ormai è assodato che sparare pro o contro un elemento che fa profondamente parte della nostra cultura, che è assolutamente radicato e legato nella e alla nostra storia umana, non potrà che provocare alzate di scudi, polemiche, battibecchi, diatribe. Tutta roba che però dà visibilità. Basta guardare le ultime uscite sugli etilometri: nessun aumento di limiti, leggero inasprimento delle sanzioni... eppure la psicosi è scattata. E politici, scienziati, medici, influencer ci si sono subito buttati a pesce. Pur di avere un momento di gloria. Probabilmente è proprio questo il meccanismo che alimenta le polemiche e di pari passo la psicosi: guadagnarsi un momento di fama sui social. Cosa vogliamo farci? Nulla... è la vita, baby! Prendiamola così. E ricordiamoci dell'ipocrisia di chi demonizza il vino e poi tace su altri tipi di eccessi che probabilmente fanno molto più male e provocano molti più danni.