Ambiziosa, studiosa, diretta. Cristina Mercuri ama le sfide e il vino. Dopo aver lavorato come avvocato per una multinazionale, si è licenziata per dedicarsi pienamente al mondo enologico, tra formazione, comunicazione e consulenza. Ha appena saputo di essere stata rinviata all’esame finale del Master of Wine, quando la raggiungiamo al telefono. Non si tira indietro e rilancia a tutto tondo, orgogliosa del percorso raggiunto in pochi anni, fiduciosa di tagliare il traguardo a breve.
L’approccio al vino come nasce?
In famiglia nessuno si occupava di vino, la passione è nata ai tempi dell’università, quando ho iniziato seguire alcune rubriche sul vino. Sentivo questi termini così ridondanti e complicati. Ho studiato per conto mio per comprendere cosa c’è dietro una bottiglia, gli aromi. Appena ho capito che la mia professione da avvocato non mi rendeva felice, ho approfondito il tema con il WSET, prima il terzo livello e poi il diploma.
Per poi partire con il suo Wine Club.
Sì, nel 2021 ho aperto il Mercuri Wine Club, dopo una bruttissima esperienza con un mio ex-socio che si è rivelato un narcisista-manipolatore. Ho venduto le mie quote per ripartire da capo. Dai fallimenti si rinasce.
A proposito di linguaggi, quello del vino è ancora così lontano dalla gente?
Ha bisogno di uniformarsi agli standard internazionali e di avvicinarsi al consumatore, che è sempre più dinamico, curioso. E non vuole mai sentirsi in difetto o lontano. Linguaggi difficili, aulici e romantici hanno sempre allontanato la figura dell’esperto del vino dal fruitore. Occorre comprendere le esigenze del ricevente e parlare la lingua di chi ascolta. Voglio lavorare sempre più per termini tecnici e veritieri, ma sempre più facilmente fruibili. Il compito di un master of wine, di un esperto, è tradurre in termini semplici concetti complessi. Lì si vede la sua bravura.
Il mondo del vino è maschilista?
Nel vino italiano abbiamo un problema di gender gap e diversity. Le nuove generazioni sono più inclusive, ma chi è nelle stanze del potere è un uomo. C’è una cultura ancora molto radicata che difficilmente guarda all’individuo e alla persona, alla sua unicità come essere pensante. Bisogna sempre affibbiare un ruolo, c’è molto da lavorare: è uno dei punti su cui pongo molto l’attenzione. Bisogna affrontare e far notare quando ci sono gli atteggiamenti discriminatori. Quando ero più giovane e non mi conosceva nessuno, venivo guardata come la ragazza bionda e carina che non potevo capire di vino. Ora che sono più conosciuta gli atteggiamenti sono cambiati.
Ci può raccontare qualche episodio?
Una volta sono stata chiamata da una famosissima azienda che produce gioielli, cercavano un presenter per una masterclass, io ero libera. Mi dissero che non potevo farlo io perché donna, non potevano prendermi. L’ultimo episodio? Press lunch con un produttore della Franciacorta. A tavola dichiara che le donne non possono essere brave enologhe perché a un certo punto restano incinta e vanno via. E non possono lavorare in cantina perché troppo faticoso. Il sipario si chiude.
Nomi?
Preferisco di no.
All’estero la musica è diversa?
Si vede un pochino meno questo gap, soprattutto in contesti strutturati non sono tollerati aspetti goliardici tipicamente italiani. Vado a trovare la bionda dicono ancora oggi, è una battuta ma mi irrita da morire. E a livello internazionale, almeno in Inghilterra o Nord America, non sarebbe accettata.
Qualche mese fa ha dichiarato di essere una degustatrice pazzesca quando ha il ciclo. Ha fatto scalpore.
Ho risposto molto dritta a una domanda, probabilmente dovevo essere più sottile, ma è la realtà. Ci sono momenti della vita in cui una donna ha una sensibilità fisica maggiore. Non vedo niente di male, ha che vedere con fisiologia e biologia della persona. Se ci si scandalizza per la natura umana allora siamo ancora molto lontani.
I social hanno influenzato anche il gusto del vino? Com’è il vino ai tempi di Instagram?
Lo stile del vino, il concetto di contemporaneità è cambiato: i vini sono scarichi di colore, alcol, sempre più slanciati e lineari. Ed è connesso al concetto di consapevolezza del consumatore, in primis l’aspetto salutistico, i giovani sono attenti alla forma fisica, sono preoccupati del cambiamento climatico e pensano che i vini più leggeri siano anche più sostenibili. I social sono una conseguenza di tutto questo, ma si trova di tutto ci sono anche tantissimi consumatori che cercano etichette iconiche e nomi blasonati.
E gli influencer?
Parlare di influencer nel mondo del vino è complicato. Leggevo uno studio americano, in realtà c’è una platea di micro-creatori che non ha nessun tipo d’influenza. L’influencer non passa tanto dal suo numero di follower ma da quanto autorevolezza trasmette. In questo senso Jancis Robinson o Tim Atkin possono essere considerati influencer, ma le loro pagine sono trasversali e non hanno nemmeno numeri altissimi. Spero un giorno di diventarlo anche io con il mio canale, per ora la mia influenza è più offline, incido quando metto in contatto un produttore con l’esportatore. Sui social è tutto troppo veloce.
Quali sono i territori emergenti?
Il mio cuore parla siciliano, la Sicilia sta avendo molta attenzione, questo mi fa molto piacere, siamo ancora agli esordi. l’Etna si affermerà sempre più come una zona importante su scala internazionale. E penso anche alla rinascita di denominazioni specializzate sui bianchi: Soave, Trentino, Alto Adige. Sono vini già molto noti ma saranno sempre più sotto l’attenzione del pubblico proprio per la crescita di questo stile di vino.
Due produttori da guardare con attenzione?
Un’azienda che secondo me sta lavorando molto bene e merita più attenzioni è Maugeri (versante est dell’Etna, Milo, ndr). Ha uno stile raffinato, pulito, slanciato. I vini hanno molta concentrazione e leggiadria, esattamente quello che voglio vedere in Sicilia e anche fuori. Tra gli Champagne, adoro, Yann Alexandre, anche in questo caso uno stile assertivo, sottile al naso, che rivela grande precisione e concentrazione, con l’acidità vibrante e quel finale calcato tipico di quelle terre. Predilige la delicatezza ma ci vedo tanta profondità.
E dal nuovo mondo?
Segnalo una cantina sudafricana, Creation. Secondo me produce uno Chardonnay e un Pinot Nero sui livelli dei Village in Borgogna, perfetto bilanciamento tra frutto croccante e un legno che dà completezza, con focus importante sull’acidità. E quel finale leggermente asciugante li rende così gastronomici. E producono anche un grande Chenin Blanc. Il frutto è da zona soleggiata, ma ha anche linearità e sottigliezza tipiche delle zone più fresche del Sud Africa. Delizioso.
Prossimo passo?
Lavorare sempre di più per portare a termine la mia mission. L’institute dei Master of Wine mi ha chiesto di aggiornare alcuni appunti della mia tesina, sono fiduciosa che a novembre faremo una bella festa. Voglio diventare master of wine, lo desidero dal primo giorno in questo mondo. Ho una strategia molto dettagliata, una disciplina ferrea. Ha presente un campione olimpico che si prepara alle olimpiadi? In quel momento tutta la tua vita dipende da quell’obiettivo.