Suona l’allarme sulle vendite dei vini rossi. Sotto stress sia il comparto interno concentrato nella grande distribuzione sia l’export. Sul primo fronte, come rileva l’Osservatorio Uiv-Ismea, nei primi nove mesi dell’anno i vini fermi segnano una generale flessione nei volumi pari al -3,9% (contro il +2,6% nei valori) con un calo oltre la media proprio per i vini rossi (-4,8%).
Dal Nord al Sud, annaspano i Lambruschi emiliani (-11%), le Bonarde oltrepadane (-15), il Montepulciano d’Abruzzo (-6,6 a settembre, risultato che in ogni caso dimezza il -14 di marzo), il Chianti (-4,4), l’Igt Salento (-9) e il Nero d’Avola (-12). Anche sul secondo fronte, quello delle esportazioni, la situazione dei vini rossi nei primi sette mesi di quest’anno appare tutt’altro che confortante: i rossi imbottigliati cedono il 10% a volume (a fronte di una media complessiva a -1,5 e a un gap delle performance dei vini in bottiglia a -4,9). A dirla tutta, però, il fenomeno è mondiale. Perfino i nostri cugini e concorrenti francesi arrancano: Bordeaux (-7,4%), Borgogna (-13,4) e Languedoc (19,7) hanno registrato da gennaio a settembre una contrazione rilevante.
Ricambio generazionale
Come si spiegano questi numeri? La motivazione principale è strutturale. I grandi Paesi consumatori di vino – in testa l’Italia – fanno i conti con l’invecchiamento progressivo della popolazione, come spiega Carlo Flamini, responsabile dell’Osservatorio Uiv: “I consumatori di vino sono sempre più maturi, mentre i giovani consumano quantitativamente meno e qualitativamente in maniera differente”. Il cambio generazionale favorisce le bollicine, le birre, i seltz, i mixati a base di spumante, mentre erodono spazi al vino “tradizionale”: che è quello rosso.
Un esempio? “Bonarda e Lambrusco sono vini tipici di un consumatore di 60 anni. Ecco perché si cerca di promuovere il Lambrusco come un vino per i giovani, puntando negli Usa anche sugli ispanici”. Queste dinamiche proseguiranno nel lungo periodo: “gli attuali giovani consumatori in futuro saranno diversi dai 60enni di oggi”, avverte Flamini. A tutto ciò contribuisce anche la nuova mentalità salutista che fugge dall’eccesso di gradazione e di calorie tipico dei rossi.
Exit strategy
Alessandro Nicodemi, presidente del Consorzio Vini d’Abruzzo, è consapevole che i consumatori “vogliono vini più semplici, immediati, croccanti. Il nostro Montepulciano – come il Primitivo – è opulento per Dna. Bisogna cominciare a lavorarli come li vuole il mercato”. Ma attenzione ai numeri. “Per tanti anni il Montepulciano è stato ‘un buon vino a buon prezzo’. Però l’ultima ricerca di Nomisma sui vini in Gdo ci dice che se i vini sotto i 4 euro (o gli 8 dollari) calano nelle vendite, il Montepulciano da 20 euro in su acquista quota”, assicura Nicodemi. È una tendenza generale.
Il vino rosso da consumo quotidiano attraversa una crisi, ma i prodotti premium e luxury continuano a crescere: lo conferma l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly sulle esportazioni delle categorie premium (da 6 a 9 euro/litro in cantina) e superpremium (oltre i 9 euro) di vino rosso negli ultimi 12 anni. Ciò non significa abbandonare la Gdo, “ma i vini di consumo quotidiano devono diventare più snelli, con macerazioni più brevi e minore estrazione”, ammette Nicodemi.
La rivincita del rosso “light”
Versatilità e modernità sono le chiavi di lettura della new wave del Valpolicella Superiore. “Abbiamo deciso di rilanciare il Valpolicella Superiore circa quattro anni fa per rispondere alla crisi d’identità degli ultimi 10-15 anni, proprio mentre Ripasso e Amarone crescevano”, racconta Christian Marchesini, presidente del Consorzio della Valpolicella.
Il nuovo progetto sfrutta il trend globale dei light reds, vini raffinati e pronti da bere. “In questo modo il Valpolicella Superiore può esprimere bene il territorio, ma distinguendosi dagli altri grandi vini della regione che usano la tecnica dell’appassimento”, racconta Marchesini. Una scelta favorita anche dai cambiamenti climatici.
Primitivo: rivedere le quantità
Tra i distretti che soffrono di più in questa fase c’è quello pugliese del Primitivo, per anni best seller in Germania, oggi sottoposto a trend disarmanti, in parte provocati dalla crisi globale dei rossi. Ma in Puglia ci sono problemi specifici, a partire dal fatto che solo metà della produzione arriva in bottiglia, mentre l’altra metà è vino sfuso che va fuori regione.
“Non è vero che il consumatore si è stancato del Primitivo, anzi ha avuto successo proprio perché è già un prodotto moderno: fruttato, con poco tannino, rotondo”, assicura Massimo Tripaldi, presidente della sezione Assoenologi di Puglia, Basilicata e Calabria. Il problema è, semmai, l’aumento eccessivo di produzione che provoca adesso giacenze troppo alte nelle aziende. “A seguito del boom degli anni scorsi, c’è stata una corsa a riconvertire i vigneti a Primitivo e ad aumentarne la produzione. Poi sono arrivate le difficoltà: l’aumento dei prezzi della materia prima, l’uva, e di tutto il resto, a partire dal vetro delle bottiglie. La crisi è dovuta dunque all’aumento dei prezzi unito all’aumento delle produzioni”, racconta Tripaldi.
Inoltre, l’aumento del costo dei vini più costosi in un momento di freddezza del mercato ha colpito soprattutto l’Igt del Primitivo. Qual è dunque la soluzione? “Bisogna rivedere le rese di produzione per ettaro perché, se dobbiamo parlare di qualità, per il Primitivo Igp i 220 quintali per ettaro sono ormai improponibili, così come sono anacronistici i 170 ettari per il Primitivo Salento”, spiega l’esperto. “Dobbiamo rivedere i disciplinari, non possiamo produrre troppo: in regione di discute proprio di questo. In genere, quando si parla di diminuzione i produttori non sono mai d’accordo, ma ora è un pensiero condiviso”.
L'articolo completo è stato pubblicato sul Settimanale Tre Bicchieri del 9 novembre 2023
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