"Per anni abbiamo bevuto vino per essere fighi, ma ora la GenZ ci considera cringe". La lucida analisi di Andrea Lonardi

12 Dic 2024, 18:12 | a cura di
Per il master of wine ad essere in crisi è la "soddisfazione edonistica", non il vino in sé. Per questo a soffrire di più sono quelle denominazioni, come lo Champagne, che hanno puntato sul concetto di lusso ostentato

Da mesi il mondo del vino è bombardato da notizie poco allettanti sul suo futuro (vedi ultime previsioni della Dg Agri sulla viticoltura Ue dei prossimi dieci anni) e sta provando ad interrogarsi sul calo dei consumi e sulle conseguenze che ne deriveranno. La strada più semplice è probabilmente quella di additare i giovani come dei traditori, rifugiandosi nella comfort zone rappresentata dallo zoccolo duro dei consumatori over 50. E se, invece, proprio la precedente generazione fosse responsabile di aver costruito un’immagine errata, o comunque artefatta, del vino? Ad aprire a questa prospettiva è il Master of wine Andrea Lonardi che, anziché parlare di crisi dei consumi, parla di crisi della satisfaction edonistica. A ben guardare, una buona notizia, perché il vino è molto di più di un lusso usato per raggiungere l’appagamento. Ed è il motivo per cui sopravvivrà anche alle mode e all’apparente voltafaccia dei più giovani. Ne è convinto Lonardi che, in questa intervista al Gambero Rosso, prova a spiegare quando e perché è cambiato il rapporto dei consumatori con il vino. E soprattutto come si può recuperare.

Intanto ci spieghi meglio, cosa intende per soddisfazione edonistica?

È una soddisfazione che deriva da un bene consumato in un momento particolare e con costi superiori. Ma proprio per questo è un bene a cui si può rinunciare.

E il vino è uno di essi?

Credo che, sin dal passato, esistono due tipologie di vino: il vino commodity, quindi consumato tutti i giorni insieme ai pasti. E il vino edonistico, consumato in occasioni speciali. Ovvero quei vini che fa figo berli e che vengono “usati” per apparire: show off, come dicono gli americani.

O forse sarebbe meglio dire faceva figo…

Quando dico che c’è una crisi di soddisfazione edonistica, intendo dire che una volta alle cene i miei amici mi chiedevano di Sassicaia, Brunello, Supertuscan, ora parlano di biciclette, benessere, sport. Questo perché la moda si è spostata. Se un tempo ci si fotografava con le grandi bottiglie di vino, oggi si preferisce andare su attività legate al benessere, al leisure, al tempo libero. Altre mode stanno sostituendo il vino, ma non sono necessariamente altri vini o bevande.

Questo se parliamo di vino come elemento di moda…

Esattamente. Le mode cambiano e noi non possiamo relegare il vino a questo. Se, invece, il vino diventa un fatto culturale non subisce crisi. Ad essere in difficoltà, in questo momento, sono quelle denominazioni e quei marchi che hanno incentrato il loro successo sul fattore moda.

Potrebbe spiegarsi così la crisi dello Champagne?

Non c’è dubbio che lo Champagne, avendo costruito la forza del prodotto sulla soddisfazione edonistica, soffra più di altri la crisi dei consumi.

Quando in passato abbiamo guardato alla Cina come il nuovo eldorado dei consumatori, abbiamo spesso usato il termine status symbol. Anche in questo caso, il rallentamento dei consumi ha a che fare con la crisi della soddisfazione edonistica?

La Cina è l’emblema della soddisfazione edonistica. Il vino si è affermato come regalo e fonte di comunicazione edonistica. Quando è venuto meno quello i consumi sono andati giù, proprio perché non c’era una cultura legata al prodotto.

Quale deve essere, quindi, l’obiettivo?

Non essere una moda, ma un fattore culturale. Bisogna individuare il nostro cliente: chi beveva vino per cultura continuerà, mentre chi beveva vino per moda cercherà altre mode. Un Chianti Classico di Gaiole o un Brunello di Montalcino avranno meno difficoltà, perché chi lo beve lo fa per gusto, non deve ostentarlo. Lo fa per una soddisfazione sua. Credo che ci sia ancora uno zoccolo duro di consumatori davvero interessati – e non per moda – ed è a loro che dobbiamo rivolgerci e che dobbiamo coltivare. Il fattore culturale è l’unico che può contrastare il consumo edonistico.

Però per affermare il vino come fattore culturale bisogna cambiare il modo di comunicarlo…

A mio avviso bisogna parlare di più del prodotto, della storia, dell’identità di quel vino, di come consumarlo. Faccio un esempio: il primo fascino del bere Borgogna era dato dal fatto di bere un vino che usciva da un paesaggio distintivo. Oggi lo stesso fascino lo ha l’Etna, che è il vino del vulcano e, lungi dall’essere una moda, porta con sé un chiaro fattore culturale.

A proposito di moda nel senso di haute couture , possiamo dire che la crisi del vino va di pari passo con quelle delle grandi maison del lusso?

Credo che oggi ci sia, soprattutto da parte delle nuove generazioni, un’attenzione maggiore verso le produzioni artigianali – che siano borse o vini - piuttosto che verso le grandi griffe.

Visto che abbiamo tirato dentro le nuove generazioni, apriamo questo vaso di pandora. Oggi sono loro le vere incognite per i consumi. Di certo non fanno del vino uno status symbol come chi li ha preceduti. Ma la domanda che tutti si fanno è se alla GenZ interessa ancora il vino?

Di certo le nuove generazioni, più di altre, hanno una carenza di soddisfazione del vino: è un prodotto che a loro interessa molto poco, perché hanno altri beni che, grazie alla comunicazione social, possono amplificare molto più di quanto non facessimo noi. Questo però rende le mode anche molto più veloci ed effimere.

Qual è, quindi, il giusto approccio per comunicare loro il vino?

Sicuramente non quello di imporre quale vino consumare e in che maniera, ma chiedere cosa preferiscono. Faccio un esempio personale: le mie figlie, che appartengono alla Gen Z, bevono ma lo fanno in modo diverso da me. Se mi vedono roteare il bicchiere, mi dicono che sono cringe. Ed è probabilmente quello che facevo io con mio padre, quando magari non sopportavo che usasse un certo tipo di calice, diverso dal mio. È un passaggio normale: in ogni epoca le nuove generazioni hanno distrutto i marchi visti sulle tavole dei nonni o dei padri. E succederà lo stesso oggi, quindi, dobbiamo essere pronti a pensare che saranno loro a decidere le modalità, mentre noi dobbiamo essere pronti a ricevere e non ad insegnare. Se ci poniamo in modalità insegnante, andiamo allo scontro.

Ma è una generazione destinata ad abbandonare il consumo di vino?

Io credo che berranno più vino di noi, ma berranno il loro vino, quello che rispecchia le caratteristiche di piccolo gruppo. Magari vini più ricercati ed esclusivi. Apriamoci e abituiamoci a vedere nuovi stili di vino. Penso per esempio alla recente moda dei pét-nat, i cosiddetti vini col fondo che arrivano da un mondo più giovanile. Non significa che saranno il futuro, ma intanto hanno un loro seguito. Noi abbiamo bevuto Champagne per show off, loro non lo faranno, perché gli ricorderà quanto cringe fosse il loro padre.

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