L’adozione di stili di vita vegetariani e vegani, negli ultimi anni, è in costante crescita. Secondo il Rapporto Italia 2024 di Eurispes, il 9,5 per cento degli italiani evita carne o prodotti di origine animale, un incremento rispetto al 6,6 per cento del 2023. Fra questi, il 2,3 per cento segue una dieta vegana, una scelta che spesso si estende anche al settore delle bevande, incluso il vino. Non stupisce, quindi, che l’interesse verso il vino vegano stia diventando un fenomeno di massa, soprattutto in una nuova (e giovane) fascia di consumatori.
Cosa rende un vino vegano?
Parlare di vino vegano significa riferirsi a un prodotto privo di ingredienti di origine animale in tutte le fasi della produzione. Anche se il vino, di per sé, è il risultato della fermentazione dell’uva, alcuni passaggi tecnici nella vinificazione tradizionale possono includere l’uso di sostanze animali, come la colla di pesce, le caseine (proteine del latte) o le albumine (proteine dell’uovo), impiegate per chiarificare e stabilizzare il prodotto. Nei vini vegani, questi coadiuvanti tecnologici vengono sostituiti con alternative vegetali, come la bentonite (una particolare argilla) o proteine estratte dai legumi e tuberi, come farina di piselli al posto dell’albumina e polvere di patate come colla di pesce. Non per ultimo, viene utilizzato il carbone attivo per la filtrazione senza il coinvolgimento degli animali. Anche se alcuni vignaioli saltano del tutto il processo di chiarifica, permettendo alle particelle di depositarsi naturalmente nel tempo.
Vino vegano e packaging
Tuttavia, non basta eliminare questi elementi: il processo produttivo deve essere verificato e tracciato per ottenere una certificazione vegana, che garantisce l’assenza di sostanze animali non solo nel vino, ma anche nei materiali di confezionamento. Non tutti sanno infatti che il packaging può rappresentare un ostacolo alla piena compatibilità vegana. Colle, lubrificanti e inchiostri utilizzati per etichette e tappi spesso contengono sostanze animali, come caseina o sego bovino. La certificazione Veg-Pack si concentra proprio su questo aspetto, garantendo che anche il contenitore sia coerente con i valori vegani.
Una questione di certificazioni
In Europa, diverse certificazioni attestano la conformità dei vini agli standard vegani. Tra le più autorevoli, in Italia, c’è la Veganok, dove il disciplinare presta meticolosa attenzione sia le tecniche di chiarifica sia la filosofia aziendale (qui per l’intervista del settimanale Tre Bicchieri del Gambero Rosso alla dott.ssa Paola Cane, direttrice di Osservatorio Veganok dopo la notizia nel 2017 dell’inserimento dei prodotti 100 per cento per cento vegetali nel paniere Istat). Bisogna precisare, però, che per alcune società di certificazione non basta produrre solo vino vegano: anche il marketing e la presentazione devono rispettare l’etica vegan.
Esistono altre realtà come il gruppo Csqa-Valoritalia e l’Associazione Vegetariana Italiana che offrono certificazioni analoghe, mentre a livello internazionale spicca la Vegan Society (la società che ha recentemente rilasciato il certificato di azienda interamente vegana in Franciacorta a Barone Pizzini), nata in Gran Bretagna nel 1944, fu questa a dare diffusione per la prima volta, al termine vegetarian - nel senso più ampio, non solo per le bevande - ed il simbolo che utilizza è il girasole verde. Infine, oltre alle società sopracitate, si aggiungono gli enti di controllo terzi, specializzati nelle certificazioni di qualità, o enti di controllo biologici, che hanno oggi a catalogo anche servizi di certificazione vegana e regolamentano tutti i controlli aziendali ex post.
Sfruttamento animale nell’industria vinicola
Il coinvolgimento degli animali nell’industria vinicola non si limita all’uso di prodotti di origine animale nella chiarifica del vino, ma comprende anche il lavoro nei vigneti. Ad esempio, molte aziende utilizzano animali per gestire le erbacce o per fertilizzare il terreno. Nel Regno Unito, ad esempio, un produttore preleva pecore dalle fattorie locali per i suoi vigneti nel West Sussex e nell’Hampshire: gli animali vengono impiegati per controllare le infestanti e fertilizzare naturalmente, per poi essere restituiti alle fattorie in primavera, in vista della stagione della macellazione. Anche le oche vengono usate in modo simile in diverse regioni, come California, Cile e Regno Unito.
L’uso di cavalli come alternativa ai trattori è ancora comune in alcune realtà, dove questi animali da tiro vengono impiegati per lavori pesanti nei vigneti. Anche il Domaine de la Romanée-Conti, in Francia, ha reintrodotto i cavalli per l’aratura dei vigneti, mentre animali come polli, lama e armadilli trovano impiego in diverse parti del mondo. I polli, per esempio, aiutano a controllare gli insetti e producono letame utile per il compostaggio. A Terra Noble Wines, in Cile, i lama si occupano della rimozione delle infestanti, mentre a Bodega Chacra, in Patagonia, gli armadilli eliminano insetti e vermi. Queste pratiche, sebbene più comuni nei vigneti biologici e biodinamici, sollevano dubbi per chi segue uno stile di vita vegano. Ridurre gli input chimici è prioritario in queste produzioni, ma ciò non garantisce l’assenza di sfruttamento animale. Inoltre, individuare vini realmente vegani può essere complicato: spesso i produttori non sono obbligati a dichiarare in etichetta gli agenti chiarificanti utilizzati o il coinvolgimento degli animali nei vigneti. Tuttavia, alcune certificazioni specifiche possono offrire maggiore chiarezza e trasparenza.
Un mercato in espansione
Il vino vegano sta guadagnando popolarità non solo tra i consumatori, ma anche nella ristorazione. In Paesi come Regno Unito - in primis - e Stati Uniti, i ristoratori mostrano un interesse crescente per vini certificati vegani, spesso preferendoli ai biologici. Stando ai numeri, il Regno Unito batte tutti i paesi per quanto riguarda l’interesse per i vini vegani. Le vendite di vini vegani sono aumentate del 51 per cento tra il 2019 e il 2021, secondo Virgin Wines. Come fa anche sapere la rivista The drink business intervistando Olivier Fayard, enologo di Château Sainte Marguerite, azienda situata in Provenza, i sommelier statunitensi stanno introducendo sempre più sezioni dedicate ai vini vegani nelle loro carte dei vini spinti dalla domanda di una clientela sempre più attenta. E il produttore di Domaine Bousquet – la più grande azienda di vino vegana in Argentina certificata dal 2020 – sottolinea come la ristorazione sia stata cruciale per aumentare la consapevolezza del consumatore medio, spingendo l’interesse anche nel settore retail.
Sì, ma in Italia? Anche nel nostro Paese cresce l’attenzione verso il vino vegano, sebbene ci sia ancora molta strada da fare. Le certificazioni come Veganok e il crescente numero di produttori che si orientano verso metodi più sostenibili dimostrano che l’interesse c’è. Sicuramente, a livello normativo, la situazione non è del tutto favorevole. Infatti, a differenza del vino biologico – noto come organic nei paesi anglosassoni – il vino vegano non è regolato da normative europee o nazionali specifiche. Questo significa che un vino vegano - paradossalmente - potrebbe anche non essere biologico, poiché le due certificazioni sono completamente indipendenti. La certificazione biologica, infatti, è disciplinata da una normativa europea che garantisce prodotti privi di residui chimici, rispettosi dell’ambiente, delle risorse naturali e del clima. Le certificazioni vegane, al contrario, sono volontarie, non normate né standardizzate, e non hanno alcun legame con le denominazioni di origine controllata (Doc, Dop, Igp).
Qualcosa deve cambiare, quindi, ma in definitiva, possiamo dire che non si tratta solo di una tendenza, ma di una risposta a una forte domanda di prodotti che rispettino sempre più gli animali, l’ambiente e la sensibilità dei nuovi consumatori.