Cosa frena il vino italiano in India?

8 Feb 2013, 18:00 | a cura di

Bassi consumi, burocrazia folle, cultura lontana dalla nostra. Insistere per guadagnare posizioni sul mercato indiano ha senso per i produttori italiani? Lo abbiamo chiesto a Planeta, Jacono

e Tasca dโ€™Almerita.

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La parola d'ordine รจ sempre la stessa: export. Portare i vini nelle โ€œnuoveโ€ economie di mercato, dove a un potere di acquisto in forte crescita si affianca un cambiamento importante nei costumi e nei consumi. Sotto osservazione da qualche anno ci sono i paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), mete ormai fisse delle missioni di internazionalizzazione. Approfondiremo un paese per volta. Iniziando dall'India.

Pur essendo il terzo paese piรน presente con le sue etichette โ€“ dopo Francia e Australia โ€“ il fatturato dei vini italiani non supera i due milioni di euro. L'alcol qui significa soprattutto whisky e birra e da uno studio dell'IWSR (International Wine & Spirit Research) emerge che il consumo di vino stimato per il 2015 si assesta su un parco 0,4 per cento rispetto ai consumi mondiali.

Per capirci, nel grande paese asiatico, il consumo pro capite di vino รจ di 0,006 bottiglie allโ€™anno (pari a 5 ml a testa), rispetto a una media che nel mondo รจ di cinque bottiglie all'anno. Il mercato รจ sรฌ globale, ma dazi e tasse rendono difficoltoso l'approccio con i mercati esteri. Il caso dell'India รจ emblematico. โ€œUna bottiglia che parte dall'Italia a 6 euro franco cantinaโ€ ci spiega Augusto Di Giacinto, trade commisioner presso l'Ice di Mumbai โ€œarriva a costare qui oltre 54 euro. Bisogna considerare il 150% di dazio doganale, il 200% di accise a cui si aggiungono le percentuali dell'importatore, del grossista e del dettagliante. Conti alla mano, il vino arriva a costare 10 volte in piรน del prezzo sorgenteโ€.

Vale la pena investire denaro e risorse nella conquista di una fetta di mercato che sembra rimanere esigua soprattutto in confronto ai volumi di crescita di altri paesi come Cina e Russia? Abbiamo girato la domanda ad alcuni produttori di vino siciliani, da poco rientrati da una missione indiana.

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Diego Planeta, ex presidente delle Cantine Settesoli e brand ambassador Sicilia, arriva dritto al punto: โ€œsul piano commerciale no, non converrebbe, ma bisogna esserci perchรฉ ha una valenza mediatica. La burocrazia perรฒ รจ folliaโ€ continua Planeta โ€œpensate che in ogni singolo stato dell'India, deve essere, di anno in anno, registrata ogni etichetta come se fosse un marchio e occorrono dalle 300 alle 500 euro per ogni prodottoโ€.

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Gaetana Jacono, produttrice e brand ambassador del Cerasuolo di Vittoria รจ un poโ€™ piรน fiduciosa: โ€œnegli ultimi cinque anni ho visto cambiare notevolmente lo status degli appassionati di vino in India, piรน giovani, piรน competenti e con maggiore potere di acquisto. Certo, รจ impensabile vendere in questo paese senza un accordo con i distributori locali con sconti e piani promozionali. Per ora si tratta ancora di investire, poi si raccoglierร โ€. Tasca d'Almerita รจ presente ormai da qualche anno nel subcontinente, soprattutto nelle grandi catene alberghiere.

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Giuseppe Tasca รจ al suo primo viaggio in India: โ€œsono posti di un fascino indiscutibile, dove c'รจ una grande cultura gastronomica e un cambiamento all'interno della middle class molto veloce. Parliamo sempreโ€ conclude Tasca โ€œdella piรน grande democrazia del mondo, dove il mercato parla inglese. In Cina, dove tutti noi vorremmo essere sempre piรน presenti, rischi ancora di non riuscire a tornare in albergo se chiedi un'informazione!โ€

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aย cura di Francesca Ciancio
11/02/2013

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Questo articolo รจ uscito sul nostro settimanale "Tre Bicchieri" delย 7 febbraio. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui

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