Lei è Donatella Cinelli Colombini, nuova presidente dell’Orcia, la piccola Doc di penultima generazione e, a prima vista, non certo in gran spolvero. Parliamo con lei di Doc, sul loro destino, forse troppe, ridondanti, da sforbiciare?
Orcia è davvero una di quelle da non tagliare? Ci spieghi perché.
Il motivo è politico, sociale, economico, di territorio. Cominciamo dalla fine. Ben 5 dei 13 Comuni sul cui territorio insiste la Doc sono patrimonio Unesco. Cioè, siamo su un territorio, Val d’Orcia, delicato e bello. Qualcuno (e non visionari, ma viaggiatori cosmopoliti) dice: la campagna più bella del mondo. Che però non si conserva da sé. Qui non siamo nel bosco selvaggio. È un luogo antropizzato: uomo e natura. L’agricoltura dètta e conserva gli equilibri, se sopravvive. Ma per sopravvivere in un posto che è l’ambizione per accasarsi di molti ricchi, artisti, architetti, miliardari, va evitato il rischio di diventare la Disneyland del contadino. La salvezza è produrre eccellenza, all’altezza del territorio. Far restare i giovani locali, rafforzare il balance. Il vino ha lo skill per farlo; le stalle, con tutto il rispetto, meno. Il vino ha un plus. Una molla d’attrazione. Ha charme e penetra sul mondo.
Quindi, vino per salvare l’anima all’Orcia. Ma se la Doc va a due cilindri come si fa?
Si scommette, una scommessa istituzionale anzitutto, come sto facendo io. Ma avendo buone carte in mano. Non dimentichiamo che questa era una zona di una povertà assoluta. Nel Senese “Orcia miseria” era un detto proverbiale. Un intercalare. Oggi, ci sono i numeri per fare bene.
Ma proprio i numeri sembrano dire il contrario: 400 ha vitati, rivendicati poco più di un terzo, 153. Cantine 43 (33 imbottigliatori), ma nel 2012 solo 17 hanno certificato per imbottigliare...
Tutto vero. Ma è proprio la forbice tra potenziale e reale che dice che si può solo migliorare. C’è un gap vistoso tra possibile e reale, tra venduto/prodotto e mercato. Ma il punto di forza per ribaltare tutto, anche. Qui, lo dico con rispetto e affetto, non siamo nel chiuso di una piccola area della Sila o dell’Irpinia, insomma in territori dove tutti sono piccoli, si fanno cose magari ottime, ma la difficoltà è duplice: non c’è mercato locale, lo sbocco è l’estero, ma andarci costa tanto che nessuno può. Qui nei 13 Comuni (specie nei 5 Unesco) passano ogni anno 1,8 milioni di turisti. Togliamo Chianciano, che ha un turismo diverso? Restano 1,5 milioni, più tutti gli escursionisti. E allora, se non riesco a vendere 150.000 bottiglie (ultimo anno 130.000) a 2 milioni di turisti, meglio che emigro e cambio mestiere.
Tra i 13 Comuni, per non far nomi, c’è un certo Montalcino. Perché dovrei comprare sei bottiglie di Orcia, e non di Montalcino, se sono uno di quei turisti evoluti?
A noi basta una di Orcia e cinque di Montalcino. Per farlo diventare almeno degno di essere assaggiato.
Come pensa di riuscirci?
Cercando la coesione che manca. Far capire sul territorio che i vicini sono alleati, la barca la stessa, e sarà un Titanic se non si fa così: si affonda tutti insieme. La seconda tappa sarà un comitato tecnico per valutare gli elementi fondanti: quello identitario e quello qualitativo.
Cambi di disciplinare in vista?
Scelte. Il tentativo di darsi una faccia nuova. Difficile sostenere un prodotto 100% Sangiovese abitando tra Montepulciano e Montalcino. Ma più che modifiche immediate, penso a un ragionamento per vedere dove andare. Il vitigno Fogliatonda potrebbe essere una chance. Noi lo sperimentiamo da anni, abbiamo convinto Rauscedo a produrlo. E ci sono indizi di qualità (6-7 prodotti) già eccellenti. In più abbiamo un suolo straordinario per mineralità e attitudini. E qualche nome pilota, come Podere Forte, per dirne uno solo.
Quanto ci vorrà? E dove vuole arrivare?
A fare un pezzo, e creare le basi per il mio successore: lui o lei realizzerà le condizioni per il primo, grande progetto enoturistico di sviluppo e salvaguardia dell’Orcia. E si può fare. Perché noi abbiamo già, oltre a un po’ di vino e quel che serve alla qualità, la materia prima più ambita: i turisti. Manca il resto, e sembra un paradosso. Ma, mi creda, partiamo meglio degli altri.
a cura di Antonio Paolini
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 6 giugno. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.