Clinton – Trump. Come “vota” il vino italiano?

6 Nov 2016, 12:00 | a cura di

Che cosa cambierà per il vino con l'insediamento del nuovo presidente Usa? Promosso il Ttip, qualche timore se vincesse il candidato repubblicano: il sondaggio tra sette grandi cantine italiane che frequentano il mercato a stelle e strisce

Lui ha comprato una tenuta vitivinicola in Virginia, lei è fan di un vino georgiano chiamato Kvareli.Lui agli alcolici preferisce la diet cola, lei ha contribuito al successo dei wine ice-cream prodotti dalla Mercer's Dairy. Se dovesse vincere, lui brinderebbe senz'altro con uno dei vini della Winery Trump (gestita dal figlio Eric), a lei il produttore newyorkese Phyllis Feder ha già dedicato il Victory White 2012 Clinton Vineyard (la versione del '92 era stata dedicata al marito Bill e gli aveva portato fortuna).

Stiamo parlando di Donald Trump e Hillary Clinton, i due candidati alle presidenziali americane che in questi mesi - e fino alla fine - si stanno battendo, senza esclusione di sorprese, a suon di scoop e scandali. In attesa delle elezioni del prossimo 8 novembre, abbiamo proposto alle cantine italiane un sondaggio su cosa si aspettano da queste votazioni e su cosa potrebbe cambiare, con l'uno o con l'altro candidato, in tema di export italiano, Ttip compreso.

 

Export vitivinicolo. Quali cambiamenti in Usa?

I produttori italiani non sembrano temere troppo il cambio di inquilino alla Casa Bianca, forti di una prima posizione del vino made in Italy in Usa confermata nel primo semestre 2016, per un valore di 655 milioni di euro (+3% sullo stesso periodo dell'anno precedente). Che la vittoria dell'uno o dell'altro possa avere delle ripercussioni su queste performance sembra improbabile, come commenta Massimo Poloni, global director di Valdo Spumanti: “Il mercato funziona e rappresenta per i canali che lo distribuiscono un valore di 33 miliardi di usd, prezzi al consumo, generando margini e lavoro per moltissime persone nel Paese. Inoltre alcune nostre varietà di vino sono uniche e non replicabili e sostengono consumi importanti che sarebbe incauto intaccare”.

Dello stesso avviso Doriano Marchetti, presidente della Terre Cortesi Moncaro: “Gli Usa rappresentano un mercato maturo e dalle potenzialità ancora inespresse per i vini italiani. In ogni caso, non penso che la vittoria dell'uno o dell'altro candidato sia una discriminante nel successo del nostro export”. Gli fa eco Enrico Viglierchio, direttore generale della Castello Banfi: “Non ritengo che il mercato vitivinicolo Usa possa risentire in modo sensibile di chi sarà il prossimo presidente. Il fattore che più di tutti può influenzare il mercato dei vini è la situazione economica e le sue prospettive future, così come abbiamo visto anche in passato”. Ottimista anche Ettore Nicoletto, ad di Santa Margherita: “Ritengo che il vino sia oggi in una posizione tale negli Stati Uniti – Paese consumatore, ma anche produttore – da porlo al riparo da ipotetici cambi nella politica federale. Non immagino stravolgimenti nella crescita della passione statunitense per il vino di qualità”. ConcisoGianmaria Cesari, ad della cantina Umberto Cesari: “Non crediamo cambierebbe molto”.

 

Più cauta Benedetta Poretti, responsabile della comunicazione di Duca di Salaparuta che pone l'accento sul momento storico particolare: “Questo momento storico, come tutti i momenti di passaggio, sarà caratterizzato da una maggior instabilità e insicurezza dei consumatori. Questo si rifletterà moltissimo sull’acquisto di beni come il vino, soprattutto d’importazione. I consumatori, infatti, escono meno e comprano con maggior oculatezza. Se dovesse vincere Donald Trump crediamo che a questa situazione si aggiungerà un maggior favoritismo dei prodotti vitivinicoli americani (soprattutto i vini californiani), con conseguenze facilmente intuibili per i vini italiani e non solo”. Teme l'ascesa di Trump anche Michele Bernetti, alla guida di Umani Ronchi:“Rappresentando Trump, in linea di massima, un fronte più favorevole a protezionismo e blocco dei trattati economici, rappresenta a sua volta un problema maggiore per noi esportatori”.

 

Ttip, che fine farà il trattato?

Come ricorda Bernetti, in ballo, oltre ai rapporti tra Paesi, c'è anche il Transatlantic Trade and Investment Partnership che, dopo tre anni di negoziato tra Unione europea e Stati Uniti d'America, al momento sembrerebbe fermo al palo.

Nessuno dei due candidati, durante la dura campagna elettorale di questi mesi, si è mostrato bramoso di concluderlo o di accaparrarsene la conclusione. Anzi Trump lo ha definito “un attacco agli affari americani” e lo ha utilizzato come argomento per attaccare la rivale, rea di averne appoggiato l'iter quando era segretaria di Stato. Ma, dal canto suo la stessa Clinton ha cercato via via di prenderne le distanze, anche per raccogliere i consensi degli elettori di sinistra che hanno molto criticato il Trattato, soprattutto dopo che l’organizzazione ambientalista Greenpeace ha diffuso dei documenti che dimostrano la poca trasparenza dei relativi colloqui internazionali.

Senza entrare nel merito dei singoli temi, il Ttip (ve ne abbiamo parlato qui) dovrebbe muoversi in due direzioni: quella tariffaria, per cui si aprirebbe una zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, e la non-tariff barriers entro la quale uniformerebbe le norme commerciali, abbattendo le differenze non legate ai dazi. Rientra tra queste il riconoscimento delle denominazione italiane, fin ora ignorate dal sistema americano. Ed è uno dei motivi principali - insieme all'abbassamento delle tariffe verso gli Usa - per cui il mondo vitivinicolo italiano sembra, secondo il sondaggio Tre Bicchieri, appoggiarlo all'unanimità.

Non ha dubbi Bernetti (Umani Ronchi): “Malgrado siano spesso impopolari, credo che questi accordi liberalizzino e rendano più semplice commercializzare i nostri prodotti negli Stati Uniti. Sono favorevole”.

Il riconoscimento delle denominazioni è un punto estremamente importante” dice Viglierco (Castello Banfi) “D'altro canto il Ttip è un dossier estremamente complesso e articolato per cui è, al momento, estremamente difficile esprimere un'opinione in merito. Sicuramente sia le denominazioni sia i protocolli fitosanitari riconosciuti saranno due punti importanti e su cui vi sono ancora forti divisioni”.

Traccia una possibile direzione Ceccarelli (Moncaro): “Fenomeni come l'italian sounding rappresentano un danno enorme per i produttori italiani. L'unica strada percorribile nel contesto dell'accordo dovrebbe essere quella del riconoscimento delle tipicità territoriali e locali”. Sulla stessa lunghezza d'onda Nicoletto (Santa Margherita): “Che il trattato trans-atlantico non sia più una priorità nell’agenda europea è un peccato, perché si perde la chance di creare una zona di crescita economica che avrebbe costituito un volano per le attività italiane. Specificamente al vino, ritengo che sia una priorità – questa sì – lottare con forza per un rafforzamento delle denominazioni che rappresentano la base su cui costruire valore”.

 

Hillary in testa

Tiriamo, infine, le somme. Se negli Usa, le ultime vicende legate alle indagine dell'Fbi sulle email dell'ex first lady, stanno portando al sorpasso del tycoon newyorchese su Clinton, nel confronto vitivinicolo italiano che abbiamo proposto, 4 cantine su 7 non hanno timore a dirsi sostenitori della candidata democratica, nessuna prende le parti di Donald Trump, tre preferiscono non dare una risposta univoca.

Insomma, pare che il mondo vitivinicolo italiano faccia il tifo per Hillary: sarà perché il suo motto, “Stronger together”, appare più inclusivo e rassicurante di quello più esclusivo e nazionalista del rivale, “America First”. O perché Clinton è anche il nome di un vecchio vitigno americano, conosciuto (ma proibito per la vinificazione ai fini commerciali) in Italia come uva fragola. Attenzione, però, perché la traduzione di Trump riserve parecchie sfaccettature: dai bene auguranti (per lui) significati di “briscola” e “sconfiggere” ai meno edificanti e più onomatopeici usi nello slang inglese. Quale tra questi significati avrà la meglio, lo sapremo tra pochissimi giorni. Il countdown è in corso. Stay tuned.

 

Il parere di Paolo De Castro

(coordinatore S&D della Commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento Europeo)

 

Secondo lei, la vittoria dell'uno o dell'altro candidato potrebbe influire sull'export italiano in Usa?

Gli americani sono troppo affezionati al nostro Paese: attualmente l'Italia manda negli Usa un miliardo di prodotti agroalimentari e non sarà di certo il colore politico a far cambiare questa condizione.

 

Sul Ttip, lei lo aveva preannunciato: bisognava chiudere la partita con Obama, prima di entrare in piena campagna elettorale. Oggi pare tutto fermo. Cosa prevede e come pensa che l'iter del Ceta (trattato Ue-Canada) possa influenzare il Ttip?

Per quanto riguarda il Ceta, come era prevedibile, il no della Vallonia è stato solo momentaneo. Tuttavia il Ttip è tutt'altra partita e i tempi saranno molto più lunghi. Ma non è una partita morta.

 

Tuttavia nessuno dei due candidati sembrerebbe troppo favorevole a portare avanti le trattative ...

Se ne riparlerà dopo che il nuovo presidente si insedierà: le dichiarazioni fatte durante una campagna elettorale sono sempre da prendere con le pinze. Trump e Clinton per ora, per avere maggiori consensi, stanno interpretando il pensiero nazional-popolare, meno aperto al dialogo. Ma sono sicuro che l'orientamento sarà differente e che la partita rimarrà aperta, sia con l'uno, sia con l'altro. Sicuramente passeranno degli anni prima di arrivare all'accordo: si consideri che per il Canada ci si è messo – e ancora non è finita – sei anni. Con gli Usa passerà il tempo che ci vorrà. Ma andiamo avanti.

 

Sondaggio: Trump o Clinton?

 

Pro-Clinton

Umani Ronchi

A favore per la Clinton, con tutte le riserve del caso”.

 

Terre Cortesi Moncaro

Il caso Brexit ci insegna che la destabilizzazione dei mercati nasce da politiche influenzate da sentimenti che fanno leva sulla paura. Le preoccupazioni rispetto a possibili derive populiste dominate dalle ossessioni, ci fanno pendere per il candidato che meglio ha espresso una politica di sviluppo nel rispetto delle differenze. In questo caso la candidata democratica”.

 

Duca di Salaparuta

Hillary Clinton, più che per una simpatia personale perché è ora che anche alle donne vengano affidate sempre più posizioni di comando!

 

Umberto Cesari

Hillary Clinton”

 

Non ho preferenze

Valdo

Onestamente il più grande Paese al mondo non sta facendo, comunque vada, una grandissima figura. Ma noi italiani in un certo qual modo ci siamo abituati e in questi giorni, per chi come me è negli Stati Uniti, la qualità del dibattito tra i Senatori ci fa sentire... un po' a casa”.

 

Castello Banfi

“No comment!!!”

 

Santa Margherita

La nostra simpatia va alla grande tradizione democratica statunitense che dal 1776 elegge presidenti che hanno reso grande questa Nazione. Assistiamo a un confronto vero, con politiche e prospettive diverse, fatto di concretezza e di chiarezza. Gli elettori statunitensi sceglieranno il miglior Presidente e siamo convinti che, chiunque sarà, l’amicizia fra Italia e Stati Uniti resterà un caposaldo delle politiche dei due Paesi

 

Pro-Trump

nessuno

 

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 3 novembre

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