Il futuro dell’enologia italiana passa via via in mano a nuove generazioni che non solo prendono le redini dell’azienda, ma contribuiscono a donare nuova linfa vitale al mondo del vino in un periodo assolutamente non facile. Tra cambiamento climatico e calo dei consumi, sono diverse le sfide che si trovano di fronte i giovani vignaioli. C’è chi si muove su un cambio di passo rispetto al passato e chi, come Chiara De Iulis Pepe, fa propria la visione di chi l’ha preceduta. Emidio Pepe, fonda l’azienda nel 1964, e la nipote eredita da lui sia la passione che l’entusiasmo. La viticoltura fa parte della sua vita quasi fin da subito, ma la sua prima vendemmia è quella del 2020. Un passo verso il futuro di questa azienda abruzzese, ma compiuto con un chiaro obiettivo in mente: «Portare avanti il pensiero di mio nonno, andando a cercare di perfezionare dove possibile alcuni dettagli», facendo conoscere il più possibile denominazioni come Montepulciano d’Abruzzo, Trebbiano d’Abruzzo e Cerasuolo d’Abruzzo.
Qual è stato il suo primo contatto con il vino?
Sono cresciuta in azienda. Il confine tra casa, cantina, famiglia e lavoro è sempre stato molto vago da noi. C’è sempre stata commistione virtuosa tra le diverse parti che si è radicata nel mio quotidiano, ma che io ho vissuto in modo del tutto naturale.
Qual è il più importante insegnamento che le ha lasciato Emidio Pepe?
Mio nonno mi ha trasmesso la passione per il vino che ha assunto un’attrattiva speciale. Non lo vedo come un lavoro, ma uno stile di vita che vivo in maniera viscerale. Questo amore legato al vino e alla viticoltura non deriva solo dai vini che assaggiavo a tavola, ma anche dagli incontri con altri produttori. Con loro c’è stato un confronto in cui ho potuto arricchirmi della loro esperienza e del loro pensiero sul vino.
Quando ha deciso di partecipare alla produzione?
All’inizio non avevo una formazione tecnica. Ho fatto studi di economia alla Sorbona di Parigi. Quando ho deciso di iniziare a vinificare mi sono trasferita in Borgogna dove ho lavorato in un’azienda, imparando sul campo molto della parte tecnica mentre studiavo presso l’università di Digione. È stato un percorso poco ordinario, ma in questo tempo ho viaggiato e girato per il mondo prima insieme a mio nonno e poi in autonomia, per far conoscere i nostri vini.
Quale direzione sta dando all’azienda?
L’azienda non ha cambiato rotta. Come lui non uso filtrazione, non uso legno, in cantina pigiatura con i piedi, solo fermentazione spontanee… tutte cose che condivido profondamente. Seguo quelli che sono i pilastri fondanti della sua filosofia con l’intenzione di provare a perfezionarli per alzare sempre di più l’asticella e avere vini più energetici che esprimono in maniera ancora più cristallina il territorio. La mia idea è quella di portare avanti il pensiero che ha avuto origine 60 anni fa da mio nonno. Una continuità in cui metto tutta me stessa e di cui fanno parte le radici, l’educazione e gli insegnamenti ricevuti. Tuttavia, c’è un enorme libertà in azienda. Mio nonno non ha mai imposto nulla. Le responsabilità maggiori riguardano le decisioni che si prendono a livello di vinificazione.
Come vive il suo essere donna in un mondo prevalentemente maschile?
Io mi sento piuttosto tranquilla al riguardo. Oggi, in questo mondo, contano più che altro le competenze, per questo non ho mai avuto problemi. Ci lavorano molti uomini è vero, ma le donne con una solida formazione possono avere grandissimo spazio e potenziale. È un aspetto a cui tengo particolarmente perché, oltre a lavorare e trovare donne davvero abili e preparate, trovo ci sia una parità di pensiero quando si che permette a uomini e donne di lavorare bene insieme.
Il mondo del vino è in continuo miglioramento allora?
Non c’è mai stato così tanto confronto e possibilità di riflessione collettiva. Non c’è mai stata tanta conoscenza tecnica e consapevolezza. C’è una continua condivisione, fitta e vivace, che ci permette di esplorare e ottenere importanti risultati. Una condizione che ci dà la possibilità di crescere in maniera più veloce. Nel mio lavoro mi continuo a confrontare con tante persone e insieme mettiamo a disposizione la nostra esperienza in modo da riuscire ad ottenere risultati importanti. Mi sento molto propositiva grazie a questa collettività.
Per quanto riguarda i cambiamenti climatici?
Non li vivo con tensione, ma con la consapevolezza di dovermi adattare a un clima che cambia e che ci ha portato a una sperimentazione che stiamo mettendo in atto. Non posso mantenere tutto inalterato, ma dobbiamo adoperarci a mantenere la coerenza con cui sono prodotti i nostri vini.
Ad esempio, quali pratiche ha in mente?
Stiamo mettendo in atto una copertura dei suoli costante e permanente. L’idea principale è di mantenerli verdi con il sovescio. Non facciamo uno sfalcio totale e invasivo, ma lasciamo che tutte le specie botaniche che vivono su quel terreno abbiano avuto almeno un ciclo di fioritura in modo da avere anche un germogliamento. È una modalità che mi permette di preparare i suoli all’estremo caldo e alla pioggia intensa, come nei casi della vendemmia del ‘21 e ‘23. I suoli, così completamente coperti, riflettono la luce sole e mantengono l’umidità, mentre le radici mantengono il suolo coeso. Altra iniziativa che porto avanti sono i trattamenti con il latte vaccino e la piantumazione di alberi intorno a ogni vigneto. La speranza è di poter far vino per le prossime 3 decadi.
Eric Asimov del New York Times ha definito il Trebbiano d’Abruzzo come uno dei grandi bianchi italiani…
Trovo che abbia un potenziale incredibile e ci siano diversi grandi interpreti all’interno della mia regione. Nelle degustazioni alla cieca, in batterie con vini francesi, spagnoli e di diversa provenienza riesce sempre a stupire.
Come mai stupisce?
Perché ha una forte identità e un grande potenziale espressivo. Il Trebbiano d’Abruzzo ha un enorme versatilità e un grandissimo potenziale di invecchiamento con la stoffa di un grande bianco. Credo ci siano ancora persone che devono fare questa piacevole scoperta e spetta a noi portarlo in giro nei posti giusti per farlo apprezzare. Io lavoro moltissimo nel raccontarlo e farlo conoscere apiù persone. Per tanti è ancora unasorpresa, ma prevedo che farà sempre più parte della collezione di un appassionato.
Come lo sta raccontando?
L’azienda sta per festeggiare i 60 annidalla prima annata del 1964 e stiamo organizzando giornate dedicate con nostri importatori a Tokyo, Seoul, Montreal, Londra, Parigi e New York. Ci saranno delle masterclass di approfondimento in cui si parlerà anche di geologia con la geologa Brenna J. Quigley. Un modo per raccontare il suolo delle nostre parcelle, ma anche uno spazio in cui racconteremo della storia aziendale. Questi assaggi di vecchie annate servono a dare continuità a una visione futura alla azienda. Oltretutto le degustazioni Saranno seguite da una cena con il staff del nostro agriturismo dove serviremo i nostri prodotti seguendo la filosofia “from farm to table”. Abbiamo infatti messo in piedi un progetto di coltivazione di grani antichi, ceci, lenticchie…Degustazioni che porteremo anche nelle grandi città italiane.
Eravate al Vinitaly?
No, è cambiata la modalità di comunicazione che abbiamo scelto e troviamo sia rilevante far arrivare compratori e gli importatori da noi, offrendo loro la possibilità di farli passeggiare tra le vigne e assaggiare vini. Nonno ha sempre adorato e partecipato al Vinitaly per tanti anni, ma ci è sembrato un po’ strano parlare di natura, territorio, in un ambiente lontano dall’azienda.
Quindi qual è lo schema seguito ora?
Adesso portiamo i nostri importatori in azienda per far toccare con mano e far vivere loro l’azienda a 360 gradi. Percepiamo un’esigenza di comunicare quello che facciamo il più vicino alla terra, all’origine dei nostri prodotti. Una comunicazione ristretta ad una nicchia più piccola di persone. Non so se sarà così per tutto il tempo, ma per ora è una scelta che reputiamo consona a quello che vogliamo fare.