n>Chianti in piazza”, che ha riversato a Roma e nelle storiche enoteche della Capitale tanti appassionati e chi si prepara a fare il bis anche a Milano.
“Iniziative come 'Chianti in piazza'- afferma il presidente del Consorzio Vino Chianti, Giovanni Busi, alla presentazione di ‘Chianti in Piazza’ - già avviata lo scorso anno e in espansione dall’anno prossimo, servono proprio per avvicinare il pubblico al prodotto; nessuna degustazione in alberghi di lusso, nessun incontro tra esperti, ma una serata da passare con gli amici presso le enoteche e i locali che hanno aderito per cercare di riportare questo vino al ruolo che gli compete. E’ paradossale – aggiunge-che un vino che esporta l’80% della propria produzione nel mondo non sia sufficientemente stimato nel paese di origine. Chianti è un simbolo, ha una storia secolare e a livello globale è una delle dieci parole più conosciute dell’Italia, assieme a pizza e pasta. Ben vengano tutte quelle iniziative, come per esempio quella di ‘Cantine Aperte’, organizzato con il Gambero Rosso, che stimolano molti produttori a reinventare il design delle proprie cantine, dei punti vendita, con la finalità di rilanciarsi e ampliare la propria visibilità”.
E’ un appello appassionato quello di Busi, una speranza che ha bisogno di essere accolta dal pubblico, ma che non sembra una sfida impossibile, anzi. Le riserve di molte cantine iniziano a scarseggiare, ed è un buon segno, proprio perché la richiesta è altissima soprattutto a livello estero, con Cina e Russia in testa. A tracciare alcune delle prossime mosse da compiere c’è poi un team giovane e legato al territorio toscano, che sta cercando di ridisegnare i confini del rosso chiantigiano. Semplicità e chiarezza devono essere il mezzo tramite cui raggiungere l’obiettivo di diffusione su un pubblico soprattutto giovane. Spesso il Chianti, ad esempio, viene percepito come un blend di tante uve tra cui anche quella principale, Sangiovese, ma questo genera confusione e soprattutto all’estero bisogna saper essere ben identificabili. I primi a dover saper comunicare al meglio sono proprio i produttori, e a seguire coloro i quali vendono il vino, fino a chi lavora nella comunicazione. Altro aspetto che dovrà essere migliorato per crescere è quello legato alle uve, ai vitigni utilizzati.
“I vitigni che producono sangiovese in Toscana sono obsoleti e, oltre a non produrre uva a sufficienza per la richiesta, danno vita ad un frutto non più adatto al tipo di produzione vitivinicola odierna - spiega Busi. Oggi, in Italia e all’estero, c’è voglia di avere vini fragranti, profumati, piacevoli e il sangiovese impiantato negli ultimi anni offre qualcosa che è molto vicino a questi concetti. Si potrebbe arrivare ad un Chianti effettivamente monovitigno, senza bisogno di uve da taglio”.
A dare il proprio contributo all’incontro romano anche Claudio Arcioni, presidente dell'Associazione enoteche romane, che ha spiegato quanto oggi il Chianti sia stato sommerso dall’ampia scelta di vino a disposizione dei clienti di enoteche, wine bar e negozi specializzati. “Si tratta di un prodotto genuino, con un passato invidiabile scritto nei libri di storia, che oggi può fare la differenza proprio per questo suo ‘peso’ - spiega Arcioni. Vorrei se ne riscoprisse quell’uso a tutto pasto, oltre ad una dimensione più nobile e allo stesso tempo economicamente sostenibile per un pubblico giovane che vuole avvicinarsi ai sapori italiani autentici”.
Infine Lorenzo Terzi, marketing Chianti, ha spiegato come le politica di comunicazione integrata non stravolgerà questo vino, anzi. E’ stato ridisegnato il lettering, sono stati previsti molti eventi - la
settimana prossima sarà la volta di Milano presso le Osterie locali - e la volontà è quella di accompagnare tutto ciò ad una presenza capillare sul territorio, con Chianti store e tante altre situazioni.
23/11/2012
Alessio Noè