Non è semplice gestire una Dop vasta (la seconda in Veneto dopo il Prosecco) e decisamente agitata, per usare un eufemismo, come la Dop Valpolicella. Christian Marchesini, che due anni fa subentrò come presidente al dimissionario Emilio Pedron, è riuscito a farsi riconfermare. Il Cda, riunito a San Pietro in Cariano, lo ha rieletto all'unanimità per il prossimo triennio, assieme ai vice Marco Sartori e Daniele Accordini. Molti gli iter da completare e quelli da avviare, a cominciare da un disciplinare nuovo, molto discusso, che attende il via libera Mipaaf, passando per l'applicazione delle sottozone, l'estensione della lotta integrata, la promozione e la difesa del marchio.
Presidente Marchesini, per lei inizia un triennio alla guida del Consorzio: si aspettava la riconferma?
Sì. Era il modo per dare continuità al lavoro svolto in soli due anni che, va detto, non sono sufficienti a impostare un lavoro complessivo. Lo sono due mandati consecutivi. Il terzo, invece, sarebbe troppo.
Perché la filiera non ha scelto di cambiare?
Sono un produttore puro, non ho rapporti commerciali tali da configurare conflitti di interesse, conferisco le mie uve a un privato e non alle cantine sociali. In una parola, rappresento un punto d'equilibrio.
Quali i punti salienti del suo mandato triennale?
Siamo impegnati a ricostruire la rappresentanza del Consorzio. Stiamo coinvolgendo di più i soci: faccio presente che per la prima volta abbiamo partecipato con uno stand istituzionale a Vinitaly dove le aziende sono passate da 11 a 18, al Merano festival e al Prowein con 38 aziende rispetto alle 18 dell'anno prima. Proseguiremo la politica di gestione della Dop, che vede il suo vigneto crescere in modo costante con un aumento del potenziale produttivo: nel 2013 sono stati raggiunti 7.288 ettari e arriveremo a 7.564 nel 2014, nonostante il blocco degli impianti che mi auguro di poter riconfermare anche dal 2016 in poi. Evitare che ci sia del prodotto in esubero è una delle nostre responsabilità.
Resta il nodo del disciplinare, fortemente criticato dalle Famiglie dell'Amarone...
La palla è alla Regione Veneto che dovrebbe dare il via libera. Poi passerà al Comitato nazionale vini. Per la vendemmia 2014 non entrerà in vigore. Lo sarà nel 2015. Con il nuovo testo potremmo ad esempio decidere di posticipare l'immissione in commercio dell'Amarone. Oltre a questo ci sono altre cose su cui lavorare.
Ad esempio?
Il discorso dei tappi per il Valpolicella: vogliamo aprire all'uso degli stelvin. Inoltre, il mio mandato proverà a definire il cru e l'elenco delle sottozone sulla base della carta della zonazione del 2010. Ora i produttori non le indicano in etichetta. Con una modifica al disciplinare, potremo stabilire la diversità dei vari Amaroni. E, sul mercato, questo potrebbe portare a un apprezzamento del vino. Di Amaroni ce ne sono tanti, sono in molti a farci notare queste differenze, a volte importanti, e con questo a passaggio riusciremo a definirle meglio. Altro punto su cui focalizzeremo le nostre energie è una grande attività promozionale nei paesi asiatici, dove non siamo molto presenti: esportiamo circa l'80% della produzione, pari a 60 milioni di bottiglie, siamo forti nei Paesi nordici, Usa, Canada e Germania, ma abbiamo bisogno di nuovi sbocchi, anche per ridurre le tensioni commerciali tra le aziende che insistono sugli stessi mercati.
Veniamo al mercato: nel 2013 l'imbottigliato di Amarone e Recioto registra un +3%, con il Ripasso in risalita (+5%) a discapito del Valpolicella (-11%). Come si spiega?
Il consumatore sta scoprendo il valore del Ripasso, vino dalle buone potenzialità. E, per l'azienda, passare da Valpolicella a Ripasso significa raggiungere un gradino superiore della piramide qualitativa. Ricordo poi che da febbraio 2014 la fascetta è imposta sul Valpolicella Doc: questo ci consentirà una verifica puntuale sul numero di bottiglie sul mercato.
Qual è l'andamento dei primi mesi 2014?
Prosegue l'incremento del Ripasso (+8%), mentre riduce il calo il Valpolicella (-4,3%). L'Amarone è a -13%, ma il calo non ci preoccupa perché il dato è legato a un posticipo dell'imbottigliamento, rispetto a ordinativi che sono confermati anche per tutto il 2014. La Docg è in salute: abbiamo in giacenza solo 9 milioni di bottiglie: neppure una vendemmia.
Un vigneto in Valpolicella vale tra 500 e 550 mila euro a ettaro, con una produzione lorda vendibile tra le più alte in Italia. Come vanno le compravendite?
Parto dal prezzo delle uve: nel 2013 sono cresciute del 5% sul 2012, tra 1 e 1,20 euro/kg per il Valpolicella; tra 2,2 e 2,5 euro/kg per Amarone e Recioto. Sono ottime quotazioni che hanno facilitato la riscoperta del mestiere di viticoltore, a fronte della crisi di settori come marmo o metalmeccanico. E chi, fino a poco tempo fa, faceva il muratore e possedeva un vigneto, lo ha riscoperto riuscendo a sfamare una famiglia con soli due ettari. L'impatto sociale è innegabile e va preservato. Chi possiede non cede. Ecco perché ci sono poche compravendite.
Formazione dei vitivinicoltori e sistemi di difesa integrata: è questo il futuro?
Per primi abbiamo sposato il metodo di difesa della confusione sessuale in un territorio difficile. I risultati ci sono: nel 2012 avevamo 200 ettari, 1.200 nel 2013 e 1.900 nel 2014. E prevediamo di arrivare a 2.500 ettari nel 2015, circa il 30% del vigneto totale. Allo stesso tempo, lavoriamo alla formazione dei viticoltori sulla sostenibilità. I vari progetti ci costano circa 75-80 mila euro.
Una cifra vicina a quella spesa per difendere i marchi all'estero...
Putroppo ci dobbiamo difendere da imitazioni fatte dagli stessi italiani: "bipasso", "sulpasso", "soprasasso", "doppio passo" sono solo alcuni nomi evocativi di nostre Doc. Siamo riusciti a combattere i wine kit di Amarone ma il problema è sempre presente. In questo triennio vorrei promuovere, assieme ai Nac, incontri formativi per le aziende in modo che sappiano che fare e come segnalare casi di contraffazione.
Rispetto ai due anni di presidenza, cosa rifarebbe e cosa no?
Rifarei tutto quello che ho fatto. Forse ci dovevamo impegnare di più a informare i soci sul disciplinare. Molti sono stati fuorviati dalle dichiarazioni dei rappresentanti delle Famiglie. Il tavolo di concertazione saltò per loro volontà. Mentre noi ribadiamo che il luogo di discussione della gestione della Doc è il Consorzio. Chi è fuori dovrebbe iscriversi e far valere le sue ragioni. È facile stare fuori e parlare sull'operato di chi, in democrazia, gestisce la Doc.
In democrazia? Ma quello che vi si rimprovera è una eccessiva prevalenza di cantine sociali...
Il Cda è equilibrato: 5 cantine sociali, 3 imbottigliatori, 6 piccole aziende verticali e me che sono un produttore puro. Le cantine sociali potevano avere anche 12 soggetti rappresentanti: evidentemente hanno rinunciato, preferendo una gestione allargata della denominazione.
a cura di Gianluca Atzeni
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 5 giugno
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