La Chartreuse il liquore del monastero
Nel cuore dell’Europa c’è un monastero che custodisce un segreto. Come nella trama di un libro di Umberto Eco o di Ken Follett, le mura di una secolare clausura preservano una sapienza antica, le cui origini affondano indietro nei secoli, e che ancor oggi si tramanda immutata grazie a un prezioso manoscritto celato nella stanza dell’abate superiore. Il manoscritto conserva una ricetta, quella di un liquore, che ha reso il nome del monastero conosciuto in tutto il mondo, e ha permesso all’intero ordine (quello dei certosini) indipendente economicamente. Siamo andati fino in Francia per scoprire i segreti della Chartreuse.
La storia di Chartreuse
Se molti prodotti monastici hanno origini leggendarie e una storia confusa, sulla Chartreuse abbiamo tutte le informazioni necessarie: il liquore nacque nel 1605 nella certosa di Vauvert (Parigi) che si trovava nei pressi dell'attuale Jardin du Luxembourg. Qui i monaci (da secoli celebri in Francia per la loro arte erboristica) ricevettero in dono dal Duca François-Annibal d'Estrées un manoscritto contenente quella che doveva essere la formula di un elisir di lunga vita. Ancora oggi resta il mistero di come mai il nobiluomo avesse tra le mani questa ricetta, e soprattutto chi l’avesse creata, quel che è certo, però, è che in un primo momento, a causa della sua complessità, non venne riprodotta.
È solo nel 1737, presso la grande certosa di Grenoble, che si cominciò a studiarla e a migliorarla. Da questo lavoro (è il caso di dirlo) certosino nasce l’Elisir vegetale della Grande-Chartreuse, un liquido ad alta gradazione alcolica con estrazioni fatte sia per distillazione che per infusione a vapore, divenuto celebre in breve tempo per le sue doti curative. Il Chartreuse verde, però, venne elaborato solo nel 1764. La storia non finisce qui, però, perché durante la Rivoluzione francese i monaci, volendo conservarne la ricetta, la diedero a un farmacista di Grenoble: Liotard. La ricetta tornerà loro solo alla sua morte, nel 1816. Nel frattempo si era sviluppata una seconda versione del liquore, meno erbacea e più speziata, chiamata Chartreuse gialla, commercializzata per la prima volta nel 1838.
La Chartreuse
Dolce, erbaceo, pungente, speziato: il sapore della Chartreuse è molto caratteristico, tanto da aver riconquistato oggi una certa notizierà tra barman e cuochi: bastano poche gocce per cambiare il profilo aromatico di una preparazione. Merito del suo sapore, peculiare come il colore – tra il giallo e il verde – eredità delle 130 erbe che ne compongono la ricetta.
Il museo Chartreuse
Il ruolo di questo liquore è tale che a luglio, presso Voiron, non distante dal monastero (nell’esatto luogo dove si trovava l’antica distilleria e dove tutt’ora sottoterra di trova la più lunga cantina d’invecchiamento liquori al mondo) ha inaugurato il museo dedicato a questo leggendario liquore. Uno spazio che ripercorre la storia dell’ordine e le sue vicissitudini, come quando i certosini vennero espulsi dalla Francia nel 1903 e la produzione della Chartreuse fu spostata a Tarragona in Spagna fino al 1929 (le bottiglie superstiti del periodo spagnolo hanno ormai raggiunto cifre da capogiro sul mercato dei collezionisti). Tra le altre informazioni, testimoniate dai giornali dell’epoca, c’è la storia dell’enorme impatto nella diffusione della Chartreuse oltre i confini francesi che seguì alla visita della Regina Victoria d’Inghilterra al monastero. Infatti bastò questo a rendere ambitissimo il liquore su tutte le tavole della nobiltà europea. Tra i più grandi estimatori vi fu lo Zar Nicola II - che della sovrana britannica era il nipote - che si innamorò della versione gialla, al punto da darle il soprannome con cui ancora oggi viene chiamata in tutto il mondo, ovvero Reine Des Liqueurs.
Chartreuse e Champagne: il cocktail perduto dello Zar
Dalle ricerche condotte per l’allestimento del museo, tra i vecchi giornali e i documenti, sono emerse nuove informazioni sul rapporto che univa lo Zar di tutte le Russie al liquore giallo, pare che fosse stato lo stesso Nicola II a creare un cocktail a base di Chartreuse e Champagne, che si era diffuso in brevissimo tempo su tutte le tavole della nobiltà russa. Un drink dettato dal gusto personale, ma anche un chiarissimo messaggio politico: proprio a cavallo tra i due secoli infatti si stava siglando l'Alleanza franco-russa, la Duplice intesa che aveva l’ambizione militare e politica di arginare la crescente affermazione della Germania. Che sulla tavola del Palazzo d’Inverno si bevesse dunque un drink a base d’ingredienti d’importazione transalpina poteva avere un significato politico oltre che gustativo.
Com’era il cocktail dei Romanoff?
Per capirne di più a proposito del cocktail dei Romanoff abbiamo parlato con Daniele Cancellara, bartender di (manco a farlo apposta) Rasputin a Firenze, che alla sua professione dietro al banco ormai da anni affianca un ruolo di divulgatore sul mondo dei distillati e dei liquori: “partiamo dal presupposto che all’epoca il concetto di cocktail non era quello che oggi noi conosciamo, e se già questo tipo di bevuta si era affermata negli USA e cominciava a prendere piede in Gran Bretagna e Francia, non ci sono particolari evidenze che ci portino a pensare a una vera e propria protocultura del bar in Russia” ci racconta “è quindi probabile che all’epoca si trattasse di poco più di una correzione di Chartreuse gialla in un bicchiere di Champagne, servita nel tipico calice. Se ci si pensa attentamente alcuni cocktail classici francesi come il Kir sono preparati proprio nello stesso modo con liquori e vini meno nobili” ma funziona questo accostamento? “A livello gustativo funziona perfettamente, la bolla dello Champagne eleva le note botaniche e floreali della Chartreuse, senza per questo perdere la propria anima. Se fosse in carta nel mio locale magari lo servirei con un cubo di ghiaccio in un tumbler basso, per mantenere la temperatura corretta, anche se mi sento di escludere che all’epoca lo si bevesse così: il ghiaccio infatti non era diffuso, e in un paese freddo come la Russia credo non fosse neanche prioritario. Si potrebbe servirlo anche come fosse una sorta di Spritz, con cubetti di ghiaccio, ma temo che non sia il modo migliore, inoltre vista il pregio dei due ingredienti temo che non sia il modo giusto di rendergli onore proponendolo in un cocktail di massa”.
a cura di Federico Silvio Bellanca