La puntata di Report sul vino ha sollevato un vero polverone natalizio. C'è chi si è scagliato contro il metodo scandalistico e chi ha preferito analizzare i temi portati all'attenzione. La prima risposta è arrivata dall'Unione Italiana Vini, poi è stata la volta di Assoenologi e la stoccata del ministro delle Politiche agricole Francesco Lollobrigida. Abbiamo intervistato Lorenzo Cesconi, presidente della FIVI. La presa di posizione è chiara, a partire da una riforma sempre più urgente del sistema vinicolo.
La pratica dell’arricchimento con il mosto concentrato è ammessa in quasi tutti i disciplinari italiani (all’estero si può addirittura aggiungere zucchero). È un tema da rivedere?
Siamo da sempre contrari alle deroghe sull’arricchimento dei vini che ormai sono una costante, anno dopo anno. La ratio di una deroga è la sua eccezionalità, se la si applica ogni anno diventa invece una pratica strutturale che nulla ha a che vedere con le condizioni climatiche di una particolare annata, come sarebbe previsto dalla normativa europea. Tanto più che ormai è davvero difficile, anche nell’estremo nord del Paese o alle altitudini più elevate, incontrare difficoltà nella maturazione delle uve, con rese in vigneto “sostenibili”: al contrario, il problema è ormai l’opposto. Dobbiamo invece lavorare seriamente a una vera e propria transizione qualitativa del modello produttivo del vino italiano: una viticoltura improntata alla qualità e alla sostenibilità del sistema, superando l’ormai strutturale sovrapproduzione con conseguenti giacenze e perdita di valore delle uve e del vino.
Siete favorevoli all’elenco di tutti gli ingredienti utilizzati (anche coadiuvanti o additivi) sulle etichette dei vini italiani? Cosa si può fare per dare una maggiore trasparenza al consumatore?
Lo abbiamo già detto e lo confermiamo: il problema principale è la confusione nell’emanazione delle norme, con troppe zone grigie, interpretazioni equivoche e conseguente caos applicativo. In molti casi le nuove norme si trasformano purtroppo in meri orpelli burocratici e, in questi casi, non possiamo essere d’accordo. Noi siamo per l’assoluta trasparenza nei confronti del consumatore, e pensiamo che l’introduzione dell’etichetta nutrizionale possa rendere il consumatore più consapevole, portandolo a farsi delle domande sulla qualità del prodotto. Per noi Vignaioli, che produciamo vini frutto di un processo fedele all’origine, che tende sempre alla qualità, in campagna e in cantina, può essere un bene. Ribadiamo però che forse la trasparenza più importante sarebbe proprio quella sulla filiera produttiva: bisognerebbe rendere chiara al consumatore la differenza tra chi si limita a comprare vino e imbottigliare e chi invece completa l’intero ciclo produttivo, dalla vigna alla bottiglia. La dicitura “Integralmente prodotto” evidentemente non è sufficiente: dovremmo copiare dalla Champagne, in questo senso, indicando in modo chiaro in etichetta le diverse categorie di produttori, a partire da “Vignaiolo”.
Le denominazioni italiane sono tra le più restrittive a livello geografico e non solo, ma sono ammessi lieviti commerciali. Vedete all’orizzonte limitazioni in questo senso?
Il sistema delle denominazioni purtroppo non basta a garantire la qualità del vino e la trasparenza della filiera. Si è investito tanto sulla promozione e quasi nulla sulla tutela. Ma la promozione non basta, se il modello produttivo alle spalle è fragile e insostenibile. Ci troviamo quindi di fronte a vere e proprie emergenze, in tanti territori, per valori dell’uva che sono talmente bassi da non ripagare nemmeno il lavoro. C’è un problema ormai sempre più evidente di governance dei Consorzi, nei quali troppo spesso le decisioni le prendono pochi grandi gruppi, orientando ovviamente gli indirizzi non certo verso la tutela e la valorizzazione. Bisogna partire da qui: se al tavolo delle decisioni non ci sono tutti gli attori, equamente rappresentati, nessuna riforma del sistema vitivinicolo sarà possibile.
Da Report viene fuori un quadro dei controlli pieno di lacune e conflitti d’interesse. I vignaioli indipendenti hanno fiducia negli organi deputati al controllo?
Non entro nel merito del servizio, le inchieste le fa chi di dovere, e se ci sono irregolarità saranno sanzionate. Non si può per questo mettere in discussione l’intero sistema dei controlli, che agisce con serietà e professionalità. Per quanto ci riguarda, i Vignaioli sono tra i soggetti più controllati e sottoposti a verifiche di tutto il mondo agricolo. In proporzione alle dimensioni delle nostre aziende, riceviamo un numero altissimo di controlli da parte di organismi diversi, che spesso controllano le stesse cose, facendo moltiplicare inutilmente il carico di lavoro per giustificare l’ovvio: la nostra, infatti, è una filiera produttiva talmente chiara che si spiega da sola. Facciamo vino con le nostre uve, al massimo integriamo la produzione con uve territoriali e di qualità, perché il nostro prodotto ha nella qualità il suo parametro di valutazione assoluto. Per questo motivo sì, abbiamo fiducia negli organismi di controllo, quando ci controllano: non abbiamo nulla da nascondere, perché nei nostri vini ci mettiamo la faccia, oltre che le mani.