"Il Trentodoc non ha saputo sfruttare il vantaggio territoriale". Intervista al vignaiolo Carlo Moser

22 Lug 2024, 09:45 | a cura di
A colloquio con il produttore, figlio del grande ciclista, che racconta pregi e difetti delle bollicine di montagna. L'altitudine, avvisa, non è sempre la cura migliore

Cinquantuno chilometri e 151 metri. Se lo ricordano in tanti quell’incredibile Record dell’Ora conseguito da Francesco Moser lungo le piste del velodromo olimpico di Città del Messico nel 1984. Quei numeri, oggi, campeggiano ancora in uno dei Trentodoc prodotti nella sua cantina trentina. In azienda i protagonisti sono il figlio Carlo Moser che, insieme al cugino Matteo, enologo, hanno costruito uno stile sempre più veloce e scattante, nella bevuta, e vincente sul mercato. La produzione si aggira sulle 150mila bottiglie annue e poggia su 20 ettari vitati di proprietà, oltre a 6 ettari gestiti tramite una rete di conferitori. Carlo è stato anche vice-presidente dell’istituto Trentodoc, la persona giusta per chiarire i temi più caldi.

La vendemmia del Pinot Nero. In apertura i cugini Matteo (a sinistra) e Carlo Moser

Identità: i Trentodoc sono troppo diversi tra di loro. Si ritrova in quanto detto dall’enologo di Ferrari Cyril Brun?

Le racconto un aneddoto. Qualche anno fa torno a Trento dopo qualche anno all’estero, mio cugino mi invita a una degustazione delle nuove basi Trentodoc. Prendo la parola e dico che rispetto ad altre zone c’è troppa eterogeneità. Vengo subito richiamato all’ordine da alcuni enologi. Mi spiegano che il punto è il territorio così diverso, la presenza di climi caldi e freddi: c’è la valle dei Laghi che ha un carattere, la Val di Cembra per la freschezza, la Valsugana. Insomma, che è impossibile richiedere ai Trentodoc un gusto comune perché ci sono troppe caratteristiche che influenzano il territorio. Oggi più vini assaggio, più mi rendo conto che è vero.

L'intervista di Moser e le dichiarazioni polemiche dell'enologo francese Cyril Brun (Ferrari-Lunelli) sono sul Gambero Rosso mensile di luglio, in edicola

Ma non sempre è un punto di forza.

Noi abbiamo vigneti sulla collina di Trento, in Val di Cembra e uno anche in Valdisuga. Quando testiamo le basi non li puoi mai confondere: cambiano l’acidità e la struttura in bocca. E, rispetto alla Champagne, a Trento non abbiamo la stessa cultura dell’assemblaggio: difficile mettere insieme un unico stile.

I cugini Moser al lavoro in una delle loro vigne in alta quota

Rispetto ad altri territori, il Trentodoc ha il vantaggio dell’alta quota. La produzione si sposterà sempre più in alto?

Con queste estati così calde, le vigne a 700 e 800 metri sono una salvezza per l’acidità e per quella freschezza che cerchiamo. È vero che ci sono zone inesplorate, ma ci vuole tempo. E ci sono anche rischi.

Per esempio?

I miei cugini avevano piantato Pinot Nero a 700 metri, con esposizione nord ovest. In quel vigneto abbiamo avuto un sacco di mortalità invernale per il troppo freddo, perdevamo il 20-30% di piante. Mio padre diceva che erano matti, in effetti ora al posto delle vigne abbiamo messo le mele.

A proposito di Pinot nero, il Trentino ha un problema di cloni? C’è chi sostiene ci siano cloni tedeschi poco adatti alla spumantistica.

Chiariamo, non sono cloni tedeschi. Sono stati sviluppati all’Istituto San Michele all’Adige. In tanti li abbiamo utilizzati dove il clima non è sempre così favorevole. Magari è vero che sono cloni relativamente generosi, ma quando ti alzi e vai in quota fai viticoltura estrema: magari portano un po’ più di uva, ma in altre annate raccoglieremo poco e nulla. E negli ultimi millesimi la maturazione non è mai stata un problema, così come l’amaro nei vini.

Parliamo di stile, cosa ricercate?

Cerchiamo freschezza e pulizia: il primo calice deve richiamare subito il secondo. Non usiamo il legno, non cerchiamo concentrazione o affinamenti troppo lunghi sui lieviti. Non è che se scrivi 10 anni sui lieviti, il vino in bottiglia diventi automaticamente più buono. Vedo che anche voi del Gambero avete cambiato scelte: anni fa nei Tre Bicchieri si cercavano sempre maturità, ricchezza, evoluzione. In ogni caso, vanno rispettate le scelte di tutti i produttori. Come dicevo, non può esistere un metodo unico per il Trentodoc.

Senza girarci intorno, i vostri Trentodoc sono molto più buoni di prima. Cosa avete cambiato?

Siamo migliorati sotto tanti punti di vista, a partire dalla raccolta in cassetta, scarichiamo uva intera in pressa, da 7 anni abbiamo una Willmes-sigma 80. Abbiamo vasche refrigerate in vendemmia, spremiture soffici, abbiamo abbassato le rese, siamo sempre intorno al 55%. E abbiamo aumentato le quote delle uve della Val di Cembra e della collina di Trento, intorno ai 550 metri di quota. Dopo diversi viaggi nella Champagne, abbiamo deciso di aumentare i vini di riserva nelle cuvée, ora siamo intorno al 15%. Diciamolo, il merito è di Matteo, l’enologo: è cresciuto anche lui.

La vostra idea di Rosé? L’abbiamo segnalato tra i migliori in Italia.

Il Trento Rosé proviene da un vigneto della collina di Trento dove abbiamo il maso, non siamo molto alti, sui 370 metri. La sua peculiarità è l’età delle vigne, con un’alta percentuale di vecchie piante a pergola. Le rese sono basse, solo una parte delle uve viene pigiata, l’altra va in pressa direttamente. Parliamo di massimo 3-4 ore di macerazione, solo per estrarre una punta di colore e poi vinificazione in bianco. Siamo contenti.

Uno scorcio panoramico della Val di Cembra, in Trentino

Allarghiamo il campo. In Italia manca del tutto un confronto tra i grandi territori del Metodo Classico. Ce ne siamo accorti anche all’ultimo Vinitaly...

Vero, tra i territori c’è poco confronto. Nella nostra cultura manca un confronto tra regioni diverse, c’è sempre questa sensazione di sentirsi antagonisti e non la curiosità di apprezzare o studiare le differenze. In Trentino Assoenologi crea momenti degustazione e di condivisione, in cantina riceviamo tanti enologi giovani. Magari le cose cambieranno con le nuove generazioni.

Cosa serve al Trentodoc per una piena affermazione?

Un passo indietro. A Trento diciamo spesso che la Franciacorta non è un territorio vocato e questo non ci fa onore. Anche perché noi abbiamo un vantaggio competitivo dettato dal territorio e non siamo stati capaci di valorizzarlo negli anni. La Franciacorta ha vinto: è stata più forte di noi sul piano della capacità imprenditoriale, degli investimenti, del marketing. Si vede che c’è dietro un’idea strategica radicata. La mia impressione è che qui a Trento dobbiamo investire di più sulle tecnologie in cantina. Perché nella spumantistica il fattore umano e le scelte di cantina sono ancora più decisive.

Il successo di vendite del Trentodoc oscura le altre etichette. Quale futuro per i vini fermi trentini?

Viviamo due mondi paralleli, il Trentodoc sta vendendo forte e ci consente di arrivare in locali dove altrimenti non entreremmo. I vini fermi soffrono, anche perché lì manca un po’ d’identità. Abbiamo tanti vini e varietà, ma quale è il vino fermo principe del Trentino? Il Teroldego? Ok, stacca sui rossi, ma abbiamo ancora tanti internazionali anche sui bianchi. E gli autoctoni in volume sono sempre meno. Inoltre ogni cantina sceglie di valorizzare una tipologia: tutto questo crea una gamma eterogenea, a volte confusa.

E il Trentodoc si è impossessato del palcoscenico?

Sì, oggi quando qualcuno viene qui pensa a un Trentodoc, a Chardonnay e Pinot nero. C’è una vera e propria corsa, sono tantissime le nuove cantine neonate che si sono associate nell’Istituto. Attenzione, però, servono costanza e qualità nel lungo termine.

Vede rischi?

Non dobbiamo commettere l’errore di pensare che il mercato delle bollicine sia facile. Oggi è di moda, ma se non si continua a migliore la qualità, a ricercare i territori più vocati e a tutelare la doc, vedo un rischio. Il successo c’è, si vende bene, ma deve essere gestito con consapevolezza. Dobbiamo mettere qualche paletto, trovare una stilistica costante e non dare mai nulla per scontato. Siamo una denominazione piccola: non ci devono interessare i numeri, ma l’ossessione di fare un vino fatto bene.

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