"Vorrà dire che sarà sempre carnevale...". Così si sarebbe potuto sintetizzare lo scetticismo e la diffidenza che pervasero Montalcino all'indomani dell'ufficializzazione del cambio di proprietà di Argiano, da Noemi Marone Cinzano al Leblon Investment Fund Ltd capitanato da AndrèSantos Esteves, finanziere brasiliano nella "rich list" di Forbes. Era la primavera del 2013 e si sospettava l'arrivo del miliardario di turno pronto a sfruttare l'unicità del Brunello e il suo prestigio: uno squalo in piscina. Ma in questi quattro anni le cose non sono andate così.
Esteves ha misurato le sue presenze ad Argiano, ha scelto di entrare con discrezione, si è mosso “sotto traccia” e col passo del lungo termine. Due le parole chiave della nuova strategia: rispetto, per la storia plurisecolare di Argiano, per quella terra così speciale; e valorizzazione, delle proprietà, del suolo e delle persone. Un approccio intelligente, affatto scontato, tutt'altro che predatorio e che dimostra anche di aver capito due cose essenziali di Montalcino che sfuggono ai più, ovvero che "contailmodo",e che capitali e conoscenze tecniche sono importanti ma nella terra del Brunello non bastano per riuscire.
Montalcino
Quella diffidenza Montalcino è come se la conservasse da quasi cinque secoli. I colli che oggi sono Patrimonio dell'Umanità a metà del sedicesimo secolo furono l'ultimo riparo della Repubblica di Siena alleata dei francesi contro l'assedio dei Medici alleati degli spagnoli, che poi prevalsero.
"Gloria a te, Montalcino ultima e forte rocca di Siena ed ultima minaccia, ribelle eroica che chiudesti in faccia al mediceo ladron l'ultime porte": questo è inciso nella lapide dentro la Fortezza al centro del paese. È come se la terra avesse memoria del tradimento delle speranze subìto da parte della Francia: solo un intervento di soccorso di Enrico II avrebbe potuto proteggere Siena, Montalcino e le guarnigioni francesi dal giogo degli spagnoli e dei fiorentini; intervento che non arrivò. Un dolore stemperato con le generazioni ma è come se nel tempo si fosse trasformato in diffidenza per chi non è indigeno.
E poi c'è la questione dello stile. Montalcino è sensibile ai modi, apprezza misura e discrezione, eleganza di comportamento; è prudente, non si concede con facilità. Montalcino non apre se suoni il clacson di una macchina rumorosa come una discoteca; ti accoglie se scendi, vai a bussare e chiedi permesso.
Argiano e le scelte in fatto di agricoltura
La potenza finanziaria della nuova proprietà sottolinea anche un'altra cosa. Un'azienda vinicola a Montalcino, magari anche con un agriturismo è certamente un'opportunità di profitto; ma se chi compra è solito a ben altri numeri rispetto a quelli del vino e gli investimenti e i profitti delle altre sue attività hanno dai tre ai sei zeri in più, si comprende la vera ragione, il vero movente dell'operazione Argiano, ovvero il prestigio che si riceve nel possederlo. Qui si parla di origini etrusche prima e romane poi; il nome deriva da Ara Jani, il leggendario tempio in onore del dio Giano, la divinità bifronte con le due teste in direzione diametralmente opposta a simboleggiare il passato e il futuro, lo sguardo indietro per mantenere il contatto con storia e radici e quello in avanti, quello della visione. A questo dio è anche dedicato il primo mese dell'anno, Gennaio, che rappresenta l'inizio di un nuovo ciclo, del futuro.
Per il nuovo ciclo la proprietà sembra volersi rifare al dio Giano: il segreto di un grande futuro in un grande passato. Due sono le dorsali principali del suo piano: il vino e il turismo, ma prima di tutto il vino.
Quando c'è stato da scegliere come arrivare a fare un Brunello da podio, Esteves ha puntato su una squadra di giovani dell'ultima generazione con idee chiare e nuove, grande competenza tecnica e soprattutto affidandosi alla loro visione del Brunello futuro, ovvero niente chimica e niente mode: solo la buona agricoltura naturale. Già, ma che vuol dire? E perché l'azienda non rientra nella certificazione bio? Francesco Monari, responsabile coltivazioni: "Per noi non è così centrale la certificazione bio; noi facciamo buona agricoltura. Certo, non siamo fuori dal mondo e lo usiamo l'aiuto della tecnologia ma il salto è mentale, ed il cambio di approccio, di mentalità è merito del nostro enologo Alberto Antonini. Consideri che per noi che ci siamo formati negli anni '90 è una rivoluzione a tutti gli effetti, perché siamo cresciuti con la fiducia nella chimica".
Quindi la certificazione bio cosa rappresenta per voi, una formalità superata? Poco credibile? Voi siete oltre?
Purtroppo c'è stata e c'è ancora la moda del biologico: certe aziende ci hanno puntato per motivi di etichetta, perché il bio vende, perché i buyers lo chiedono; ma alcune aziende l'hanno fatto più per non restare fuori da un mercato in continua evoluzione, ma senza credere davvero nella filosofia di un nuovo rapporto con la terra. Biologico è uno stato d'animo, un approccio alla vita prima ancora che all'agricoltura; bisogna crederci. Bio vuol dire partire dal suolo, dalla terra. La biodiversità crea equilibrio e l'equilibrio è la culla della qualità.
Quali sono i limiti della certificazione bio?
A volte i panel del bio diventano gabbie. Ma non parlo delle dosi massime, parlo di dosi minime. Prenda il rame: più che il quanto conta il quante volte. Ci sono casi, anche frequenti, nei quali basta un terzo della dose minima prescritta per coprire. Anche perché quando piove, che tu abbia dato tre o dieci chili per ettaro, in ogni caso si lava tutto e si deve ridare da capo. Ma il panel non ti autorizza a passaggi più frequenti, magari settimanali, pur rispettando le quantità autorizzate. Alla fine ti trovi a dover fare più passaggi, sempre rispettando i parametri quantitativi; il punto è che li devi registrare come trattamento singolo, quando invece hai dosato in altra maniera, quella giusta però.
Approccio naturale, niente chimica, rivitalizzazione dei terreni, nuove colture come orzo e avena. Ma cerchiamo di capire meglio: il nuovo proprietario, a dir poco esperto di finanza e profitti, che è venuto dall'altra parte del mondo ad investire 50mln di euro solo per rilevare la proprietà, ha scommesso sul naturale sia per alzare la qualità sia per aumentare i profitti? BernardinoSani (CEO): "Sicuramente la nostra strategia commerciale fin dal primo momento ha mirato ad alzare gradualmente il prezzo medio dei nostri vini e quindi anche i profitti. Per far questo era necessario non scendere a compromessi con la qualità e proporre qualcosa di unico con un legame forte con il nostro territorio. In questo il bio ha aiutato molto".
Come si concilia l'approccio naturale in vigne di confine con chi non lo fa, come ad esempio per voi che confinate con Sesti e Banfi?
ValoreItalia ci ha dato dei confini precisi dove non possiamo raccogliere come bio perché i vicini non lo sono.
Quali sono gli obbiettivi qualitativi e quantitativi che deve raggiungere il capo esecutivo di Argiano?
Nel breve e medio termine stabilizzare i nostri vini e in particolare il Brunello nella short list dei migliori e far crescere il fatturato; nel lungo fare storia. Già oggi Argiano è sempre sopra i 95 punti e col nuovo corso il fatturato è passato da 2,5 a 3,5 mln.
Cosa c'è nella sua lista delle priorità?
Stiamo lavorando sempre molto sulla mappatura dettagliata dei vigneti, facciamo "precision farm": i nostri trattori lavorano col GPS di precisione cosicché si possa trattare in ogni momento secondo le effettive e specifiche esigenze di ogni filare. Come ha visto la villa è fase di ristrutturazione, ci sono restauri delicati; un lavoro impegnativo che richiederà ancora mesi. C'è il controllo in cantina, sia quella storica sia quella nuova. I rapporti con l'estero e tutto ciò che comporta un'azienda come questa. Una lista lunga e larga.
C'è un lombrico sulla sua scarpa.
Ha visto...? (sorride sornione e soddisfatto)
Argiano | Montalcino (SI)| S. Angelo in Colle | tel.. 0577 844037| http://www.argiano.net/
a cura di Dario Pettinelli