Per un produttore di vino, lo abbiamo da sempre sottolineato (specialmente sul nostro settimanale Tre Bicchieri), la burocrazia è il nemico numero uno. Burocrazia intesa come proliferazione di norme che, ostacolando il lavoro quotidiano, generano dei costi, sia come malfunzionamento di uno Stato che mette troppo le sue mani sul mercato. Se si sposta questo discorso sull'Ocm vino, la domanda diventa questa: il sistema come lo conosciamo oggi è uno strumento di regolazione efficace o, piuttosto, un danno e un ostacolo alla competitività? Questione che si sono posti due accademici italiani, Davide Gaeta (Università di Verona) eÂÂÂ Paola CorsinoviÂÂÂ (Università della California – Davis), in un manuale di politica vitivinicola, in lingua inglese: Economics Governance and Politics in the Wine Market: EU Development, in cui vengono messi a nudo difetti e contraddizioni dell'atteggiamento europeo nei confronti del mercato del vino, che ha tratto certamente dei vantaggi dalla promozione e dalla regolamentazione del mercato, ma proprio per questo ha anche subito limitazioni al proprio sviluppo.
Perché un libro sulla burocrazia?
È finalmente il primo libro che entra nel cuore del complicato ingranaggio burocrate europeo e che ripercorre l’evoluzione storica dell’Ocm vino, con la particolarità che logiche di mercato si intrecciano a quelle politiche. Per capire la complessità si pensi che il sistema vino, come del resto la Pac, è soggetto a tre livelli decisionali: la Commissione Ue alla quale viene affidata l’esecuzione tecnica del regolamento; il Consiglio e Parlamento Ue anche loro con potere esecutivo e lo Stato Membro che ha sia il compito di rendere obbligatorio il diritto comunitario ma soprattutto ha il potere di completare e modellare secondo le proprie esigenze e su delega del regolamento comunitario, alcune norme che vengono volutamente lasciate incomplete dalla Commissione. Vogliamo metterne un quarto livello se pensiamo all’Italia e alle Regioni?
Considerando gli effetti della burocrazia sulla competitività, quali sono state più importanti limitazioni al settore vino?
La mancanza di scelte coraggiose, proiettate al futuro. Solo con l’ultima riforma dell’Ocm unica sono stati eliminati progressivamente gran parte dei sostegni europei che giustificavano anche un incremento della burocrazia. Si pensi che fino al 1990, venivano spesi circa 782 milioni di euro per la distillazione e 130 milioni per l’aiuto ai mosti ovvero il 73% e 12% del totale budget Ocm, valori “scesi” a 270 e 106 milioni tra il 2008 e il 2011.
Il vostro è un manuale "non eurocentrico". A questo proposito, quali sono le cose che l'Europa (e con essa l'Italia) non vuole sentirsi dire? Forse che il mercato in fin dei conti non è poi così libero? E che c'è stata troppa politica a condizionarlo?
Che la Pac rappresenta un modello protezionista verso l’esterno e interventista all’interno! Regolamentare la lunghezza delle banane per evitare il rischio di importazioni dai Paesi extra Ue più avvantaggiati, non è una forma di barriera all’ingresso? All'Italia invece direi: cara Italia purtroppo non ti rendi conto che tu sei solo nell'anticamera della stanza dei bottoni, perché la porta si è chiusa prima che tu arrivassi. Credo che a tal proposito l’esempio più eclatante nella storia sia stata la battaglia sullo zuccheraggio e l’aiuto ai mosti concentrati.
Il negoziato TTIP con gli Usa è in corso: il settore vino italiano teme anche stavolta di non riuscire a far passare e far rispettare il concetto di protezione delle Indicazioni geografiche. Qual è il vostro punto di vista?
Diciamo che al di fuori dei corridoi di Roi de Loi se ne sta parlando troppo poco, poi i nodi vengono al pettine e allora gridiamo allo scandalo. Il tema ruota attorno a due grandi problemi: da un lato al riconoscimento dei “nomi semi-generici” quelli con un significato geografico e contemporaneamente designano una categoria o tipologia come Champagne, Chianti, Marsala. Dall’altro la protezione delle Indicazioni geografiche e dei termini tradizionali. Gli Stati Uniti chiedono la riduzione dei termini soggetti a protezione. Il problema è che in Europa ci sono circa 359 termini tradizionali, un centinaio sinonimi di Dop e Igp il restante, circa 250, sono termini tradizionali che descrivono la qualità del vino o metodi di produzione come Riserva, Ripasso, Recioto, Novello, etc… Sembra davvero una battaglia difficile e con risultati incerti se l’Ue continua a fare parte del gatto che striscia anziché quella del leone che ruggisce.
Il vostro lavoro si rivolge agli studenti americani. Volete metterli in guardia dai rischi di un possibile investimento nel vino in un'Europa soffocata dalle regole?
No, correggo con un pizzico di modestia: il nostro libro è stato volutamente scritto in inglese e non nasce solo per gli studenti. È un libro che parla con un linguaggio europeo, ma non da burocrate, e che si rivolge ad un panorama internazionale. Tutt’altro che in guardia… se si pensa alle acquisizioni finanziarie di investitori esteri nel mondo del vino con cifre a sei zeri.
Una parte del libro tratta il ruolo delle lobby: a questo proposito, l'Ocm è stata a vostro parere una riforma veramente condivisa e collettiva oppure, per come è uscita, è frutto delle spinte di qualche particolare Stato membro?
Dedichiamo un capitolo alle interazioni tra gruppi di pressione e decisori pubblici, nel tentativo di comprendere come si è dipanata o complicata la matassa. Affermare che l'Ocm è stata una riforma condivisa è banale, ma è stata firmata da tutti gli Stati Membri. Piuttosto, che fine hanno fatto i propositi di libero mercato del Commissario Fischer Boel nel 2008 e quella degli industriali come Ceev negli anni successivi? E che dire di Ciolos, impegnato a firmare regolamenti prima della fine del suo mandato?
a cura di Gianluca Atzeni
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 20 novembre
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