titola proprio “Brunello di Montalcino”, è stato appena presentato in America (pubblicato dall'University of California Press; 39,95 dollari; pagg.312). In Italia potrebbe arrivare nei prossimi mesi, anche se non risulta che qualche editore abbia acquistato i diritti. Tre Bicchieri lo ha letto in anteprima.
Già dal sottotitolo “understanding and appreciating” (capire e apprezzare) si capisce che l'autrice, storica collaboratrice di Decanter, è una vera appassionata di Brunello . E infatti, nel libro cerca di spiegare l'unicità di questa prima docg italiana (indissolubilmente legata al suo territorio) partendo dalle origini: dalla storia di Sant'Antimo che si insediò nella zona di Montalcino nel Medioevo, all' “invenzione” del Brunello (fine '800) ad opera di Ferruccio Biondi Santi, farmacista e viticoltore (nonno di Franco a cui la O’keefe dedicò il suo primo libro sul vino italiano: “Biondi Santi: the gentleman of Brunello”).
Nel libro non mancano curiosità e aneddoti ti come la leggendaria origine del nome Sangiovese,
“Sangue di Giove” (sanguis Jovis) o quella cena all'Ambasciata italiana a Londra del '69 che passò alla storia perché per la prima volta un presidente italiano, Giuseppe Saragat, grande appassionato di vino, scelse il Brunello Biondi Santi per
brindare alla Regina Elisabetta. Ma non manca neppure, arrivando a tempi più recenti, un lungo excursus sulla vicenda più controversa e spinosa della storia enologica italiana: Brunellopoli, o “Brunellogate”, per dirla con Mrs O'keefe.
“To be Brunello or not be Brunello”, si chiede con humor anglosassone la giornalista nel capitolo dedicato allo scandalo. La ricostruzione dei fatti è più che certosina, dalle prime avvisaglie del 2003 quando giornalisti e degustatori cominciarono a capire che qualcosa non andava, al propagarsi dello scandalo nel 2008 con l'inchiesta giudiziaria della Procura
della Repubblica di Siena (ancora aperta per alcuni imputati).
Inutile soffermarsi su fatti noti. Più interessante
forse vedere le posizioni dei produttori sulla possibilità di modificare o meno il disciplinare. Tra i pro Ezio Rivella, oggi presidente del Consorzio e allora dg di Castello Banfi e Angelo Gaja, che ritenevano troppo rigido il disciplinare e proponevano di abbassare le percentuali di Sangiove fino all' 85%. Nel partito dei contrari il conte Francesco Marone Cinzano e Franco Biondi Santi che avanzano, invece, la proposta di cambiare non il disciplinare del Brunello, bensì quello del Rosso di Montalcino (“his junior partner”).Tra tutte le posizioni quella più purista è sicuramente quella della stessa giornalista:
“Fortunatamente (thankfully) le modifiche non passarono […] - scrive la O'Keefe - E alla fine fu uno il messaggio: i produttori di Brunello volevano aggiungere altre varietà per fare un vino diverso che andasse incontro alle esigenze dei consumatori. Ma quei consumatori probabilmente erano proprio i pochi che non volevano il Brunello, bensì un altro tipo di vino”.
Archiviato il caso Brunellopoli, con un'altra freddura molto anglosassone,“Inconclusive conclusion”, la giornalista passa all’attualità. E anche sul punto, sembra avere le idee chiare e fa una nuova proposta sulla gestione del territorio: dividere la zona del Brunello in sette sotto-zone distinte, che rispecchino, ciascuna, le differenti caratteristiche dei vini prodotti (Moltacino, Bosco,Torrenieri, Taver nelle,Camigliano, Sant'Angelo e Castelnuovo dell'Abate).
Possilbile? Si vedrà, anche se l'anno scorso i produttori hanno votato per il no. Ma la domanda chiave è un'altra: perché il toscano 100% Sangiovese è così apprezzato nel mondo e soprattutto in America? La risposta è: “Tipicità”. O'Keefe usa proprio il sostantivo italiano per rendere meglio il concetto e poi continu a : “Consumers are looking Italy for his unique wines, not Australian imitations. And here in Montalcino there are all the right conditions to make a unique world-class wine”. Il messaggio è chiaro: produttori di Montalcino, basta errori.
di Loredana Sottile
24/04/2012