Brexit e export: gli inglesi non rinunceranno al vino italiano. Ma a quale prezzo?

8 Lug 2016, 15:00 | a cura di

Tante ipotesi e poche certezze. A pochi giorni dal referendum destinato a cambiare le sorti dell’Europa, il mondo del vino si interroga: le reazioni da Londra e dall’Italia. Ma per gli economisti il nostro Paese non ha nulla da temere: ecco perché

Brexit, sono passate esattamente due settimane da quando questa parola è entrata - quasi come uno tsunami - a far parte del nostro vocabolario quotidiano. Eppure nessuna sa ancora bene cosa stia davvero a significare e quali reali conseguenze avrà nel lungo periodo sulla vita di tutti noi. Le uniche certezze al momento sono che Londra non sarà più la capitale cosmopolita che è sempre stata e che la sterlina, in caduta libera, influenzerà da qui a tempo indeterminato gli scambi commerciali. Abbiamo provato a fare il punto con chi il mercato inglese del vino - almeno com’è stato fino ad ora - lo conosce bene, o perché lo frequenta o perché ci vive dentro. E, come ci si può immaginare, ne vengono fuori poche certezze e tante preoccupazioni.

 

Prosecco: Il presidente del Consorzio: “No ai facili allarmismi”

In questi giorni di incertezza il primo pensiero per quanto riguarda l’export di vino italiano è immediatamente andato al Prosecco, che da solo rappresenta una quota di 275 milioni di euro di export verso la Gran Bretagna (sui 745 milioni di export del comparto vino in totale verso l'Inghilterra). Per questo il presidente del Consorzio della Doc Stefano Zanette ha cercato di rassicurare i produttori, con un invito a non cedere a facili allarmismi: “La Brexit rappresenta sicuramente un motivo di preoccupazione, stante ilfatto che l'Uk è il nostro primo mercato per l'export, d'altrocanto il nostro secondo mercato d'esportazioneè rappresentato dagli Stati Uniti che non hanno mai fatto parte dell'Ue”. Non solo. Prova a vedere il bicchiere mezzo pieno Zanette: “Il prezzo medio a bottiglia del Proseccoesportato inGran Bretagna, non è certamente il più alto tra i Paesi europeidi esportazione.Cosa ci riserverà il futuro lo scopriremo solo nei prossimigiorni, quello che è certo èche comunque l'export verso il Regno Unito non potrà venir menoin un attimo".

 

Quanto vale il comparto food&wine italiano in Uk?

Il Regno Unito, secondo i dati Ismea, rappresenta il quarto mercato di sbocco (dopo Germania, Francia, Stati Uniti) dell'export complessivo agroalimentare italiano, con un giro d'affari di 3,2miliardi di euro, con una crescita del 9% nel 2015. In modo speculare, l'Italia si è posizionata all'ottavo posto tra i clienti del mercato britannico con una spesa di oltre 650 milioni di euro. Il saldo 2015 dell'interscambio agroalimentare col Regno Unito, è stato pari a un attivo di 2,6 miliardi (+88% sul 2014). Relativamente al vino, il Regno Unito rappresenta per l’Italia il terzo mercato di sbocco con 745 milioni di euro incassati nel 2015 e, secondo gli ultimi dati dell'Osservatorio del Vino, nel primo trimestre 2016, il valore dell'export ha raggiunto quota 152 milioni di euro (+7% rispetto all'anno precedente), in controtendenza rispetto all’import generale dell’Uk che nello stesso periodo ha ridotto le importazioni del vino dal mondo di quasi il 7%.

 

Broker e buyer

Al momento non cambierà molto” commenta a Tre Bicchieri Alessio Noè, wine broker italiano che da anni vive e lavora a Londra. “Il crollo della sterlina” spiega “dovrebbe essere una naturale flessione momentanea dovuta anche al fatto che le borse del mondo avevano scommesso sul ‘Remain’. Detto ciò, è prevedibile un assestamento che la riporterà a valori più vicini a quelli pre-Brexit, mentre è assolutamente imprevedibile l'andamento del mercato import. A mio avviso per ora a non avere contraccolpi sarà il mercato extra europeo in Uk. Pensiamo al vino dalla California che, magari, con una minore competizione europea, potrebbe trarne vantaggio. Tuttavia rispetto all’Ue, al momento il Regno Unito ha tutto l’interesse a non alzare barriere, anzi è probabile che cercherà di facilitare ancor di più l'import. E nell’ambiente vino, girano perfino voci di tax free import, ma probabilmente è solo fanta-economia”. Dall’altra parte c’è anche chi è pronto a giurare su un incremento della produzione interna … fantascienza anche questa?“Non si esclude un aumento dei prodotti locali” risponde Noè“ma parliamo sempre di un Paese che ha imparato ad apprezzare la scelta, in termini di prezzi e di qualità, ma anche di provenienza: sarebbe un passo indietro, anzi più di un passo. Non dimentichiamoci che Brexit o meno, qui continuerà a vivere una popolazione davvero multietnica che ha quindi anche esigenze variegate nel panorama enogastronomico”.

 

Poche parole, ma molto esplicative quelle di Pierpaolo Petrassi, head of buying - beers, wines, spirits & tobacco della grande catena di supermercati inglesi Waitrose, che non nasconde le sue preoccupazioni: “Non mi soffermo sugli aspetti politici, anche perché la John Lewis Partnership non ce lo permette. Posso solo dire che non c’è precedente per il voto della scorsa settimana e non si può sapere quali saranno le conseguenze. Quel che è certo è che il Regno Unito vorrà continuare a fare affari con i Paesi della comunità europea alle condizione attuali. Ma la vera questione sarà se i Paesi della comunità vorranno continuare ad avere un rapporto economico con il Regno Unito, una volta che non sarà più membro di essa”.

 

Il parere dell’economista

Abbiamo riproposto questa stessa domanda all’economista Denis Pantini, direttore di Nomisma Wine Monitor: l’Europa sarebbe pronta a perdere il suo secondo mercato a valore per il vino? “Molto improbabile” risponde senza esitazioni“sarebbe solo un gesto autolesionistico. Difficile fare ipotesi a livello quantitativo e soprattutto a breve termine. L’Inghilterra - sembra ormai chiaro - non ha alcun interesse ad accelerare la procedura per uscire dall’Ue e ora anche l’Europa sembra aver rallentato. Ciò significa che il periodo di transizione rischia di essere più lungo del previsto e questo finirà per aumentare la volatilità. Cosa accadrà in questo intermezzo? Esclusa l’ipotesi autosufficienza inglese, impossibile da raggiungere, mi sentirei di escludere anche quella dazi: introdurli nell’interesse di chi? Teniamo presente che l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea non significa automaticamente che uscirà dall’Unione doganale. Quale altra ipotesi? Che rinunci al vino per tornare alla birra? Sarebbe una retromarcia difficile da realizzare”.

Esclusi tutti gli scenari più catastrofici, tuttavia, rimane una certezza con cui, già nell’immediato bisogna fare i conti: la svalutazione della sterlina. “Certo” continua Pantini“ma anche su questo bisogna fare una riflessione: a guardare bene oggi la moneta inglese è ai minimi storici rispetto al dollaro, non rispetto all’euro. Le performance peggiori nei confronti della moneta unica europea, la sterlina le aveva raggiunte cinque anni fa. Ma le conseguenze per l’Italia allora erano state positive: fu proprio nel 2009 che cominciò a crescere il Prosecco sul mercato inglese, a dispetto dello Champagne. Ricordiamo, infatti, che l’Inghilterra importa dall’Italia più vini di fascia media che premium. Altro discorso per Brunello o Amarone, ma ripeto, a bocce ferme, in termini macroeconomici, l’Italia, in Europa, è quello che ha meno da temere. Non a caso nel primo quadrimestre 2016 è stata l’unica ad essere cresciuta, grazie alle bollicine. Avrebbero più motivi per preoccuparsi i francesi”.

Allora mettiamo da parte l’Europa e guardiamo oltre: se la concorrenza, in questo momento, arrivasse in manieramassiccia dai Paesi del Nuovo Mondo?“Non è escluso” spiega Pantini“che per affinità ex colonialiste ci possa essere un avvicinamento inglese ai Paesi del Commonwealth, come Australia e Nuova Zelanda. Ma ripeto, la svalutazione della sterlina è più forte nei confronti delle altre monete, non dell’euro: se tra giovedì e lunedì la sterlina inglese ha perso l’8,1% nei confronti dell’euro, è altresì diminuita dell’8,3% nei confronti del dollaro australiano, dell’8,7% rispetto a quello neozelandese e dell’11,1% rispetto a quello statunitense. Più contenuto ma sempre negativo il calo nei confronti del rand sudafricano, -4,8%. Insomma, siamo tutti sulla stessa barca.In questo momento di recessione, tutt’al più, il crollo della sterlina potrebbe far incrementare l’acquisto di vino sfuso da utilizzare per le private label, già molto utilizzate nel mercato Uk. Ma, al di là di questo, a mio avviso l’unico elemento davvero preoccupante e variabile potrebbe essere l’effetto panico su cui potrebbero giocare i buyer inglese alla ricerca di prezzi migliori, con la minaccia di rivolgersi altrove. Il resto sono più paure teoriche che pratiche”.

 

Le reazioni delle associazioni italiane

Ma come hanno reagito in questi giorni le maggiori associazioni di categoria italiane? Dai più allarmistici a quelli ottimistici, ecco alcuni commenti.

Per la prima volta da 40 anni, le imprese italiane potrebbero trovarsi per un certo tempo ad affrontare dazi sul mercato britannico, in linea con quanto fanno oggi gli esportatori giapponesi o statunitensi” fa presente Ismea eventualità questa che si tradurrebbe in prezzi meno competitivi o in una riduzione dei margini per le imprese esportatrici”. Tuttavia, riporta sempre Ismea, secondo le previsioni sviluppate dalla Sace, basate su uno scenario macroeconomico proposto dalla Oxford Economics, se l'uscita del Regno Unito dalla Ue potrebbe comportare nel 2017 una contrazione generale delle esportazioni italiane d'oltremanica di entità compresa tra il -3% e il -7%, sul fronte agroalimentare non dovrebbero esserci flessioni. Anzi, sia che si fosse verificato lo scenario "Remain" sia in questo "Leave”, il food and beverage made in Italy sarebbe destinato a crescere del 7% nel 2016 e di circa il 5,5% nel 2017.

Sul fronte prettamente vitivinicolo, non nasconde la sua preoccupazione la Federvini: “Esprimiamo enorme dispiacere per il voto a favore della Brexit” sono le parole del presidente Sandro Boscaini“Tale risultato sottolinea come i valori legati alla presenza ed esistenza dell’Unione Europea siano ancora molto lontani dall’avere raggiunto il cuore dei cittadini europei, nonostante oltre 50 anni di storia comune e condivisa. Le conseguenze che più ci preoccupano non sono quelle immediate, ma quelle di medio-lungo periodo. A queste si lega una grandissima incertezza che accompagnerà il periodo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, creando ripercussioni interne allo stesso Paese e a tutti gli Stati membri: una situazione di grande allarme quindi, sia per i Paesi produttori di vino che per i mercati di consumo”.

Invita alla cautela, Maurzio Danese, presidente di Veronafiere: “L'unico problema che vediamo, se continua la svalutazione della sterlina, è l'avvicinarsi di una possibile scelta del consumatore verso vini di altri Paesi. E anche se siamo attualmente in incremento del 7% nel primo trimestre potremmo magari subire un po' questa cosa. Ma francamente non siamo così pessimisti”.

E intanto c’è chi reagisce alla Brexit, guardando con rimpianto verso altri lidi. Nello specifico verso la Russia: la settimana passata gli agricoltori italiani, sotto l’egida della Coldiretti, sono scesi in piazza, a Verona, per protestare contro il rinnovo delle misure che hanno azzerato completamente le esportazioni dei prodotti agroalimentari nel mercato russo. Significativi i cartelli esposti: “Putin facciamo la pace”, “La guerra fredda uccide il Made in Italy”, ma anche “Brexit+embargo=Italia in letargo”. “Un costo” è il commento dall’associazione di categoria “insostenibile per l’Italia e per l’Unione Europea soprattutto dopo il voto sulla Brexit con la svalutazione della sterlina che rischia di mettere in crisi anche i rapporti commerciali con la Gran Bretagna”. Insomma, il messaggio arriva forte e chiaro: se rischiamo di perdere un mercato, per lo meno cerchiamo di recuperarne un altro.

 

Le reazioni delle associazioni inglesi

Vediamo, infine, i commenti random delle maggiori associazioni inglesi di categoria che abbiamo raccolto sulle testate di settore più influenti in Uk: “Siamo di fronte a un nuovo capitolo nella storia della nostra nazione e senza dubbio ne verranno cambiamenti e opportunità ", dicono dalla UK Vineyards Association.

"Il processo di lasciare l'Ue inevitabilmente genererà notevole incertezza" dice David Frost ad della The Scotch Whisky Association: “Ci sono problemi seri da risolvere in settori di particolare rilevanza per la nostra industria e urge molta attenzione, in particolare per quel che riguarda la natura degli accordi commerciali futuri sia con il singolo mercato sia con il resto del mondo".

Diageo fa un appello al Regno Unito per mantenere il suo accesso commercio nell'Ue: "Adesso dobbiamo lavorare a stretto contatto con i nostri corpi del settore per chiedere chiarezza sul processo di transizione”.

Non ha nascosto la sua delusione la Food & Drink Federation: Nel mese di marzo, abbiamo reso noti i risultati di un sondaggio tra i nostri membri che hanno mostrato il supporto del 70% a favore del ‘Remain’ della Gran Bretagna" afferma il direttore generale Ian Wright. "Alla luce di questi risultati è inevitabile che la maggioranza dei membri consideri la Brexit un risultato deludente per l'industria alimentare e delle bevande”.

È fondamentale che adesso il Governo agisca rapidamente per garantire la stabilità economica e proteggere la fiducia dei consumatori", dice Brigid Simmonds, ad della The British Beer & Pub Association "Saremo vigili per garantire che i negoziati Brexit non danneggino le nostre esportazioni all'estero”.

 

Di sicuro i colpi di scena dell'ultima settimana non giovano.

 

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 30 giugno

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