Mentre l'Italia, dopo 88 giorni, sembra aver risolto il rebus Governo, insieme a una delle peggiori crisi poltitiche di sempre, misurata a suon di spread, l'Europa – quella stessa che sembra essere diventata l'ago della bilancia della crisi politica italiana– va avanti e si appresta a disegnare gli scenari futuri per il settore primario, alla luce del nuovo bilancio comunitario post 2020, fortemente condizionato dagli effetti economici della Brexit (circa 15 miliardi di euro in meno nel bilancio Ue dal 2021) e dalle necessità di fronteggiare i temi dell'immigrazione e dei cambiamenti climatici in un'Unione a 27 Paesi. Ironia della sorte, a presentarne la bozza è proprio il commissario tedesco Günther Oettinger. Quello stesso Oettinger che in questi giorni è diventato tristemente familiare agli italiani per le sue affermazioni “a gamba tesa” (colpa della traduzione?) sul voto nel nostro Paese.
Gli scenari non sono dei migliori, ma c'è ancora tempo di recuperare. È molto improbabile, infatti, che entro questa legislatura si arrivi all'approvazione definitiva della bozza: le elezioni per il prossimo Parlamento europeo sono fissate per maggio del 2019 e, con la nuova legislatura, non è escluso che la discussione riparta praticamente dall'inizio.
Quali tagli per l'agricoltura?
"Purtroppo devo confermare che ci saranno dei tagli ai fondi destinati all'agricoltura", dice da Strasburgo il primo vicepresidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento Ue, Paolo De Castro. Mercoledì 30 giugno, l'Europarlamento in seduta plenaria ha votato la risoluzione non legislativa (firmata dall'italiano Herbert Dorfmann) sulla proposta di bilancio della Commissione Ue (circa 1700 emendamenti) chiedendo che il post 2020 agricolo mantenga un budget "almeno uguale". Ma sembra ormai chiaro che, nel complesso, i 420 miliardi totali stanziati dall'Ue per le politiche agricole potrebbero scendere a 365 miliardi. E i tagli all'agricoltura, contrariamente ad alcune anticipazioni circolate nei giorni scorsi, potrebbero arrivare al 15%. Come spiega a Tre Bicchieri De Castro, infatti, "il calcolo fatto dalla Commissione, che parla del 5%, è calcolato solo sull'ultimo anno – il 2020 – ma bisogna tener conto della riduzione che si è già avuta a partire dal 2014, senza contare il peso dell'inflazione. Complessivamente, quindi, l'inidicazione del 15% potrebbe essere quella corretta, ma noi ci batteremo affinché la riduzione sia della minore entità possibile". E ci sono già delle proposte nero su bianco che potrebbero, se non evitare i tagli, almeno ridimensionarli. "Per esempio" continua De Castro "la tassazione sulle transazioni finanziare europee che obbligherebbero i giganti del web a destinare una percentuale, seppur minima, all'Unione europea".
E se la Pac non fosse più "comune"?
Messo da parte il capitolo economico, c'è un altro passaggio della proposta che preoccupa l'europarlamentare ed è la cosiddetta “federalizzazione” delle risorse, ovvero la possibilità che non sia più l'Unione europea, ma ogni Stato membro, a decidere il proprio piano Pac, demandando all'Ue la sola funzione di controllo. La bozza, presentata a Strasburgo, infatti, prevede il passaggio dall'approccio definito "one size fits all" (che si adatta a tutti) a un approccio "tailor-made" (su misura) per ogni Stato. Un sistema "rischioso", secondo De Castro, per le possibili distorsioni della concorrenza.
"Il Parlamento europeo è favorevole alla flessibilità e alla semplificazione ma la relazione votata a grande maggioranza" spiega l'europarlamentare "chiede che il futuro della nostra agricoltura rimanga comune, garantendo crescita, produttività, sostenibilità e competitività a tutti i nostri agricoltori, senza rischi di distorsioni di concorrenza tra Stati o addirittura tra Regioni differenti". Per questo motivo, De Castro fa un appello al Commissario Ue per le Politiche, Philip Hogan: "Caro Commissario, la sola responsabilità dei controlli all'Unione europea non basta per definire la Pac una politica davvero comune. Serve invece un messaggio forte di ancora maggiore integrazione”.
Integrazione e politica comune, quindi. Due concetti che, oggi più che, mai appaiono al centro del dibattito italiano. Tant'è che, mentre in Italia si acuisce il dibattitto tra europeisti e non (con la complicità delle dichiarazioni dei vari commissari europei), De Castro lancia il suo messaggio: "Oggi più che mai abbiamo bisogno di più Europa, altro che uscirne. Non c'è nessun Paese che da solo possa affrontare le grandi sfide che abbiamo di fronte: dalla Pac, ai cambiamenti climatici. Il caso Brexit dovrebbe farci riflettere un po' di più".
Ocm Vino. Quali prospettive?
In questo scenario particolarmente delicato, la domanda è che cosa potrà accadere al settore vitivinicolo? Ogni anno, il comparto nazionale gestisce 337 milioni di euro di fondi europei attraverso il Piano nazionale di sostegno (Pns). Un taglio del budget da parte della Commissione ricadrebbe a cascata sulle risorse disponibili per l'Italia. In questi anni, le misure comunitarie hanno rappresentato un motore importante per lo sviluppo del prodotto sul mercato. Il valore della produzione di vino dell'Europa a 28, secondo un'analisi Mipaaf-Ismea, è cresciuto di quasi il 9% tra 2012 e 2017 (a 49,3 miliardi di euro) a fronte di una flessione media delle produzioni del 2%. L'Italia, che ha mantenuto stabile la media delle produzioni, ha visto crescere il valore del 14,4% (a 13 miliardi di euro). Non solo: secondo gli ultimi dati della Dg Agri di Bruxelles, le esportazioni agroalimentari comunitarie nei 12 mesi tra febbraio 2018 e marzo 2017 sono cresciute del 4,1% (a 138 miliardi di euro), con il comparto vino, vermouth e aceti a segnare una delle migliori performance in tutta la voce agri-food, con incrementi superiori al 10%, da 10,8 mld di euro a 12 mld di euro; con un'ottima progressione anche su base mensile: +44% in valore tra gennaio e febbraio.
E proprio perché il vino si è dimostrato virtuoso – è l'osservazione che fanno molti esponenti delle organizzazioni italiane di categoria – non è opportuno sia sottoposto a tagli, in particolare se questi andranno a incidere, come è probabile, su misure determinanti come la promozione o la ristrutturazione dei vigneti in ambito Ocm. Tuttavia, altri aspetti, più legati alle conseguenze ad ampio raggio di questa riforma, stanno mettendo in fibrillazione la filiera italiana.
Il parere delle associazioni
Alleanza delle cooperative, attraverso la sua coordinatrice vino, Ruenza Santandrea, accende i riflettori sulla cosiddetta rinazionalizzazione della Pac: "Rinazionalizzare può esporci al rischio di vedere reintrodotte regole nazionali, dopo la fatica fatta nella costruzione di un mercato unico, e al rischio che scelte nazionali, anche in termini di allocazione delle risorse, possano tradursi in una distorsione della concorrenza tra gli operatori europei". Santandrea allontana, però, l'ipotesi che le misure più efficaci dell'Ocm possano andare a corto di soldi: "Riteniamo che trattandosi di risorse pubbliche” osserva "la priorità vada data alle misure che hanno dimostrato di funzionare maggiormente in termini di efficacia di spesa, reddito prodotto, occupazione mantenuta e creata e, quindi, ristrutturazione e riconversione vigneti, investimenti e promozione". Inoltre, l'attenzione che la Commissione Ue "sembra riporre" in questa riforma Pac sui temi dell'ambiente "se ben tradotta in termini di strumenti di policy, potrebbe diventare un'opportunità per il nostro settore".
Dal canto suo, la Federvini, attraverso il suo direttore generale Ottavio Cagiano de Azevedo, mette in guardia sui principi di liberalizzazione che potrebbero nascondersi in questa nuova impostazione di Bruxelles: "Il nostro comparto, rispetto agli altri, è l'unico ad avere ancora dei sistemi di controllo della produzione. È vero che l'1% di incremento delle superfici tramite il sistema autorizzativo non è in discussione, si potrebbe introdurre maggiore flessibilità, ma non dimentichiamoci che la Commissione ha orientamenti differenti". Per quanto riguarda i possibili tagli al bilancio del vino, se questi ci saranno "apparterrà ai singoli Stati membri trovare il modo di gestirli salvaguardando certe misure dell'Ocm".
Secondo la Confagricoltura bisognerà tenere alta l'attenzione sul fatto che "con il nuovo regolamento il vino non sia trascinato nell'ambito di una normativa di tipo orizzontale invece che verticale, come l'attuale" avverte il presidente della Federazione vitivinicola di Confagri, Federico Castellucci. "Mi preoccupa inoltre" aggiunge "il fatto che nel testo stilato dalla Commissione colgo una certa tendenza a togliere alle Doc il collegamento al fattore umano, mentre proprio questo è uno dei pilastri su cui si basa il nostro vino. Ovvero, quel saper fare specifico, il genius loci, di una determinata area produttiva. In altre parole: una Doc non può assolutamente essere considerata un mero prodotto del food".
Superlavoro anche per Unione Italiana Vini che, con il Ceev, sarà impegnata a livello europeo in quella che si preannuncia una "lunga battaglia", come l'ha definita il segretario generale Paolo Castelletti: "Dato che i margini di trattativa sul budget sembrano ridotti, dobbiamo fin da ora attrezzarci per spendere ancora meglio questi fondi, trovando modalità più efficaci" sottolinea "soprattutto nell'ottica di un progetto nazionale che ancora oggi soffre, da un lato, i rischi di frammentazione e, dall'altro, le difficoltà di coordinamento tra Mipaaf e Regioni".
a cura di Loredana Sottile e Gianluca Atzeni
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 31 maggio. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. È gratis, basta cliccare qui.