Sembra ancora di sentirlo il rombo del jet della famiglia reale del Kuwait che rompe il silenzio eterno delle vigne. E sembra ancora di vederli quei ricchi signori vestiti all’occidentale che attraversano ossequiosi i vialetti scanditi dalle siepi nella tenuta di Argiano a Montalcino, amministrata da Bernardino Sani.
La notizia della proclamazione come “miglior vino del mondo” da parte della rivista internazionale più prestigiosa era appena uscita. E loro erano già lì. A Sant'Angelo in Colle. A comprare tanto Brunello del 2018 quanto ne riuscissero a stivare sul loro jet.
La proclamazione di Wine Spectator
«Nei giorni successivi sono arrivati gli altri, vip, parvenu, clienti storici. Anche LeBron James si è fiondato qui… Anche lui, che di solito beve “Vigna del Suolo”, voleva provare ‘sto Brunello”. Bernardino Sani, racconta e ride di gusto. E c’è da capirlo. Ha stravinto la partita della vita e adesso se la gode. Dire che lui è l’amministratore delegato della Cantina, sarebbe una sintesi sciatta della situazione. Lui la cantina se l’è un po’ inventata. L’ha trovata che era ridotta letteralmente a un cumulo di macerie e l’ha portata sul tetto del mondo. Ma siccome è un uomo intelligente, nonché parecchio senese (contrada della Selva, su internet si trova una eloquente fotografia del 2010 in cui pare intento a baciare Fedora Saura, cavalla leggendaria del palio, vincitrice di tre edizioni), sa bene che c’è solo un errore che potrebbe commettere in questo momento, e sarebbe un errore esiziale: prendersi sul serio. Così racconta di LeBron James, della famiglia del Kuwait e gode e ride: “Che poi a essere sinceri secondo me il “Vigna del suolo” era meglio del Brunello ‘18».
Tant’è. Wine Spectator dice che non è così. E non resta che adeguarsi. Come del resto faranno nei prossimi giorni centinaia di migliaia di consumatori - pardon wine lovers - in tutto il mondo (ma soprattutto in America).
Ok. Partiamo da qui. Davvero è il vino migliore del mondo?
Be’ è venuto bene. Dieci minuti dopo la proclamazione non si trovava più una bottiglia online. Siamo stati inondati di richieste.
Ma è il più buono?
Personalmente penso che il “Vigna del Suolo” esprima meglio il valore del territorio. Ma considerando i criteri utilizzati da Wine Spectator penso che sia una scelta corretta. E soprattutto meritata.
Come si fa il vino più buono del mondo?
È una storia che comincia da lontano. Nel 2013 questa dimora, oggi perfetta in ogni dettaglio, era ridotta malissimo. La cantina era inutilizzabile, nelle cisterne dell’acqua c’era una discarica, e nelle bottaie c’erano i resti di decenni di abbandono e incuria. La tenuta è del 1580, ha attraversato gloriosamente il Rinascimento, è decaduta, poi è tornata in auge. È stata persino requisita dall’esercito nazista che ne aveva fatto una sorta di casamatta…
(Sani si ferma e indica un muro crivellato da una manciata di fori. È il ricordo di una raffica di mitra lasciato lì dagli americani).
Nel 2013 è stata acquistata da André Esteves (il banchiere brasiliano, uno degli uomini più ricchi del mondo, ndr) che decise acquistarla dalla contessa Noemi Marone Cinzano e dall'enologo di Bordeaux Hans Vinding-Diers e di rilanciarla.
“Siamo ripartiti da zero. Gli investimenti non sono stati da subito ingenti. Prima di svenarsi Esteves voleva capire se aveva fatto un buon investimento, insomma: ci dovevamo auto finanziare la produzione. Ma non potevamo utilizzare le cantine originali che erano ridotte malissimo. Quindi ne abbiamo creata una nuova, scavando sotto quello che è l’attuale parcheggio. Volevo produrre un vino che avesse un suo stile riconoscibile, che fosse pulito, essenziale, il risultato di una gigantesca sottrazione (di formazione, Sani è un enologo). Mi serviva un ambiente altrettanto pulito ed essenziale. Per fare un vino pulito, occorre una cantina pulita. E l’abbiamo creata da zero. Brutta, per carità. Priva di ogni fascino. Ma funzionale. E pulitissima.
I risultati sono arrivati subito?
Ovviamente no. C’è stato da soffrire. I vini di Argiano erano spariti dai radar della critica da circa trent’anni. Non si inverte la rotta in un secondo. Però da subito abbiamo capito che stavamo andando nella direzione giusta.
Quando è arrivata la svolta?
“La prima vera svolta è del 2021 e, questa non la racconto per piaggeria, ed è arrivata grazie al Gambero Rosso. Come dicevo, Argiano era fuori dal circuito delle grandi guide da quasi trent’anni. E di colpo il Gambero si accorse di noi e premiò con i Tre Bicchieri il Vigne del Suolo del 2015. Ricordo ancora quando ce lo comunicarono. Eravamo commossi. Per noi quel premio è stato il più importante in assoluto. La conferma che avevamo ragione, che stavamo lavorando bene. Il primo vero obiettivo raggiunto. In un certo senso anche più importante del riconoscimento di Wine Spectator.
Adesso non esageri, per carità!
Dico davvero. Lei può immaginare l’invidia, la competizione che c’è tra produttori, tra distributori, in un mondo come quello del vino. Mi creda. Se non fossimo stati battezzati per prima dagli esperti del Gambero, oggi ci avrebbero detto che avevamo vinto un premio per americani, che avevamo avuto un premio per palati yankee. Invece non è così. E la vostra scelta sta lì a certificarlo.
Scelta per altro confermata…
L’anno successivo. Quando il nostro Vigne del Suolo ’16 venne premiato vino dell’anno. Gambero Rosso-Wine Spectator, per noi è stata una combo perfetta.
Poco dopo la proclamazione da parte degli americani il prezzo del vostro Brunello è salito alle stelle… Da 60 euro a 300. Vale davvero così tanto?
Mi ha fatto ricordare che devo rintracciare Tittia (il fantino del Palio, ndr). L’anno scorso gliene avevo regalato una 6 litri… Ma non è un grande intenditore, devo avvertirlo di usarla con cautela. Non vorrei che me la bevesse con spuma.
Come si è ritrovato un enologo di Siena alla guida di un’azienda come questa, che quest’anno supera gli 8 milioni di euro di fatturato?
Anche questa è una storia piuttosto lunga. Dopo la laurea avevo lavorato nel mondo del vino, prima qui a Col d’Orcia poi ho scelto di fare esperienze all’estero. Mi ero specializzato nella commercializzazione. Ho lavorato in America, nelle Antille, a Santo Domingo, dove mi sono sposato e ho avuto una figlia. Poi quando ho sentito il bisogno di tornare a casa, ho cominciato a cercare un lavoro qui ad Argiano dove nel 2012 stavano cercando un direttore commerciale.
Come è nato il suo rapporto con Esteves?
Dopo l’acquisto di Villa Bell’Aria, non veniva tanto spesso a vedere come andavano le cose. Qui la tenuta era a pezzi, inospitale, c’erano stanze piene di roba vecchia, rimasugli d’epoca fascista, trofei racimolati da vecchi nobili in chissà quali safari, pelli d’orso, candelabri, pezzi d’arredamento abbandonati, immondizia. Le cantine come detto stavano peggio. A lui non piaceva tanto venire. Ma quando arrivava c’era bisogno di qualcuno che gli facesse da cicerone che gli spiegasse bene i segreti di un luogo tanto antico e prestigioso come Argiano. Abbiamo avuto da subito un grande feeling, ci siamo capiti. Due anni dopo quando decise di cambiare i vertici aziendali, le cose proprio non andavano, mi chiese di prendere il ruolo di amministratore delegato.
E lei accettò subito?
Mi dissi: “peggio di così non può andare”, e accettai.
Be’ in fondo le competenze le aveva tutte, conosceva l’azienda, il territorio, il mercato… aveva fatto esperienza internazionale…
Sì ma il vero uomo chiave è stato un altro. Francesco Monari, l'agronomo, conosce ogni centimetro di questa terra. Credo conosca la storia di ogni singola pianta, filare per filare. Con i sonar ha fatto mappare tutta la vigna differenziando le parcelle per composizione della terra. Questo ci ha permesso di differenziare tutta la fase di lavorazione in vigna. Qui è pieno di argilla e calcare di origine marina. Il calcare dà ricchezza ma l’argilla, specie quando arriva il secco, spacca la terra e permette alle radici di andare in profondità, in alcune zone fino a tre metri… Ovviamente le uve che danno risultati migliori sono quelle cresciute dove le radici vanno più giù.
E Monari come è finito a lavorare qui?
Lui era già qui. Faceva l’operaio. Ma bastava parlarci un minuto per capire che la sua conoscenza di questa terra era probabilmente l’asset più prezioso dell’azienda.
Dopo anni d’oro qualcuno comincia a intravedere qualche segnale di crisi intorno a Montalcino. I prezzi sono saliti tanto, il comune non sembra però splendere.
Crisi forse è troppo. Quello che è vero è che manca una visione chiara del futuro e mancano i meccanismi di sistema. A Montalcino manca una politica, la città non è attrattiva per i turisti, ma nemmeno per i giovani appassionati e per chi dovesse venire a lavorare. Per diversi mesi dell’anno è semplicemente spettrale. Ognuno va per conto suo, mancano infrastrutture e orizzonti. Anche la ristorazione non trova nuova energia, manca una regia.
E l’ospitalità?
Alla cena di gala di Benvenuto Brunello quest’anno un giornalista è dovuto scappare di corsa perché la struttura chiudeva i battenti alle 11. Dormiva in una zona dove non prende il cellulare e temeva la notte all’addiaccio. Credo sia significativo. Io oggi potrei fare come il Sassaroli di Amici miei, quando alza le spalle davanti alla devastazione di Firenze dopo l’alluvione… “Sto in collina!”. Io ho vinto, vendo, aumento le produzioni, sono seduto su un territorio benedetto da dio che ho avuto la fortuna di riuscire a valorizzare. Ma non ha senso dire sto in collina: prima o poi l’acqua arriva dappertutto.
Adesso che Argiano è sul tetto del mondo. Che si fa?
Adesso ci si resta. E si continua. Abbiamo parecchi progetti ancora per la testa. Vogliamo continuare con il Brunello per i percorsi ormai chiari che abbiamo intrapreso. In primavera avremo la certificazione Equalitas di “Sostenibilità”. Poi con Esteves vorremmo provare ad espanderci, replicare lo schema altrove.
Acquisizioni in vista? Dove?
Mah, ci stiamo pensando… L’idea è Sicilia o Piemonte, la prima sarebbe una sfida più affascinante, la seconda più razionale sul piano aziendale e quindi molto più probabile. Poi puntiamo molto sulla crescita del Rosso. Dall’America è partita una specie di chiamata alla sostituzione del Brunello con il Rosso, al grido un po’ provocatorio di: “Viene dalla stessa uva ma costa la metà”. Ovviamente è un approccio che non ha senso. Però è chiaro che il prodotto ha grandissimi margini di crescita, sotto tutti i punti di vista, anche qualitativi. Sul 2019 scommetterei.