nno usare in etichetta la dicitura “vino biologico” (al posto di “vino da uve biologiche”) e inserire il logo “Euro-leaf”, il bollino verde ideato nel 2010 dallo studente tedesco Dusan Milenkovic.
Ma per chi volesse, vi è anche la possibilità di etichettare come bio il vino delle annate precedenti, purché se ne possa dimostrare la conformità alle norme europee (saranno gli enti certi-ficatori a fare da garanti).
Fino ad ora, il pomo della discordia era stato l'uso della solforosa: ognuno dei 27 Paesi membri, infatti, ha sempre rivendicato diverse esigenze di vinificazione, in base ai diversi climi. E se l'Italia è sempre stata favorevole ad abbassare l'uso dei solfiti, i Paesi nord europei hanno sempre sostenuto di doverne usare di più per stabilizzare il vino anche a temperature più basse. Il regolamento approvato oggi cerca una mediazione: i nuovi limiti, uguali per tutti i Paesi, scendono da 150 mg/l a 100 per i vini rossi e da 200 mg/l a 150 per i bianchi. Ovvero, una riduzione di 50milligrammi/litro rispetto ai limiti attuali (che diventano 30 per i vini dolci, quelli in cui il tenore di zucchero residuo è superiore a 2 g/l). Ma rimane qualche deroga per i Paesi del Nord Europa (tra cui, stranamente, anche la Francia) che possono, solo in casi particolari, mantenersi sui 120 milligrammi per litro per i rossi e 170 per i bianchi. Un compromesso insomma.
“Sono lieto che sia stato finalmente raggiunto un accordo su questo tema – ha dichiarato a caldo Dacian Ciolos - È importante garantire un’offerta chiara ai consumatori, con norme trasparenti e rigorose che stabiliscono in modo netto la differenza tra vino convenzionale e vino biologico”.
Anche l'Italia ha accolto positivamente la nuova normativa: “Non possiamo che essere favorevoli. Oggi a Bruxelles si è fatto un grande passo in avanti per tutto il comparto del vino bio”, dice soddisfatta a Tre Bicchieri Cristina Micheloni, coordinatrice del comitato scientifico Aiab, l'Associazione italiana per l'agricoltura biologica. “Certo – ammette – ci sono ancora tante cose da cambiare: come tutti i compromessi politici il risultato non fa felice nessuno, ma rende tutti un po' meno scontenti”.E aggiunge: “Sarebbe stato inutile far saltare la trattativa per qualche dettaglio dopo che finalmente si era giunti a fatica a una proposta sensata. Oggi, si può parlare di vino biologico e da domani si potrà lavorare al regolamento apportando le dovute modifiche”. Tra queste, la possibilità di aggiungere alcuni additivi, a cui l'Italia non vuole rinunciare e che sono state tra le ragioni del voto contrario di Spagna e Austria stamattina.
Ma ripercorriamo le tappe di questo difficile cammino del vino bio lungo ventun anni.
In principio fu il vuoto normativo. E mentre in Italia la superficie coltivata a biologico cresceva (oggi siamo primi in Europa per superficie vitata con 44mila ettari, seguiti da Francia e Spagna) quel vuoto pesava sempre più. Fino alla nascita degli enti certificatori (in Italia sono una decina tra cui Icea, che fa capo ad Aiab, Imc e Bios, ognuno con un proprio disciplinare) che nel 2010 approvarono la CeVInBio, la carta europea sulla vinificazione biologica per stabilire gli standard.
Poi, il susseguirsi di proposte per cercare criteri condivisibili. L'ultima lo scorso luglio, quando il commissario Ciolos propose una zonizzazione sull'uso della solforosa: limiti diversi per le tre aree (A-B-C) previste dall'Ocm vino. Ma i produttori dei Paesi del Sud (tra cui Italia, Spagna, Portogallo e Francia del sud), in pratica gli unici che avrebbero dovuto abbassarne la quantità, lottarono per bloccare la bozza.
Seguirono mesi di stasi, che Tre Bicchieri ha raccontato (vedere storia di copertina del 19 maggio scorso) fino ad arrivare al via libera di oggi che chiude il cerchio (giuridico) di tutte le produzioni bilogiche in Europa. Il vino era l'unico a non essere regolato a differenza di Usa, Cile, Australia e Sudafrica.
di Loredana Sottile e Gianluca Atzeni
08/02/2012
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