“Altri cinque-dieci anni così e non avremo più Barolo e Barbaresco da imbottigliare”. Il monito è di Federica Boffa Pio, al timone di una delle realtà più strutturate e celebrate di Langa: la storica Pio Cesare. Classe 1998, rappresenta la quinta generazione di produttori. Il suo appello arriva all’indomani delle proposte di modifica del disciplinare annunciate dal Consorzio di tutela. “Ben vengano le modifiche al disciplinare, ma non si è centrato il problema che è il cambiamento climatico. Che ci dovremmo fare con l’esposizione nord, ma anche sud, ovest o est, se non abbiamo più acqua? Siamo nel 2024 usiamo tutta la tecnologia disponibile per studiare meglio il terreno, capiamo i punti più critici, ottimizziamo la raccolta e i flussi. E ragioniamo tutti insieme sulla possibilità di costruire una rete di irrigazione. Con i dovuti paletti e limitazioni”.
Rischio la siccità
Il Piemonte, lo ricordiamo, è tra le regioni a più alto fattore di rischio. Il 2022 è stato l’anno peggiore sotto il profilo idrologico degli ultimi 65. La Pio Cesare negli ultimi anni ha investito molto in capannine meteorologiche per una raccolta importante di dati, ma manca una risposta organizzata: “Il Consorzio che ci rappresenta deve investire su questi studi per capire come possiamo agire in gruppo. E lo deve fare subito, non possiamo aspettare altri 50 anni solo per modifiche al disciplinare”, aggiunge.
Venendo ai temi al centro della proposta, la Pio Cesare si trova in una condizione di eccezione. Grazie a un accordo storico viene infatti garantito il diritto di imbottigliare sia il Barolo che il Barbaresco nella storica cantina ad Alba. “Come noi ci sono altre cantine storiche che hanno questo tipo di accordo, realtà che hanno legato la loro storia sia al Barberesco che al Barolo. Bene la modifica, ma mettiamo qualche paletto sull’interscambiabilità, magari limitandola a chi è proprietario terriero o ha un accordo di affitti storico. Altrimenti si può scatenare una corsa incontrollata ad acquistare dall’altra parte”.
I vigneti a nord
Tutti d’accordo per le menzioni comunali sul Barbaresco, sarebbe di Treiso nel caso della Pio Cesare. E per quanto riguarda l’allargamento dei vigneti collinari esposti a nord per produrre Barolo? “Sono parzialmente d’accordo. Per produrre vini nei prossimi 50 anni dobbiamo cambiare e andare incontro al cambiamento climatico. I nostri nonni avevano capito che su alcuni versanti non si doveva piantare nebbiolo ma si può iniziare a valutare caso per caso. In alcuni casi il rischio di gelate a marzo e aprile è ancora concreto”.
La produttrice, però, mette sul tavolo un’altra proposta: “Al di là del cambio di esposizione, mi dispiace che non sia stata inserita la possibilità di innalzare la quota di altitudine dei vigneti. Ci sono tanti terreni in Alta Langa che possono essere il futuro come territorio da Barolo. Noi abbiamo preso 10 ettari a Cissone, siamo 550 metri, 150 in più rispetto a Serralunga. I terreni sono simili, credo che potranno dare soddisfazioni, il clima è molto più fresco e piove di più. Per dire abbiamo vendemmiato il 18 ottobre quest’anno”. Spostare la produzione lentamente in quota con verifiche su suoli microclimi può essere una parziale soluzione.
“Più che incaponirsi sulla zona d’imbottigliamento riflettiamo serialmente sul clima. Se continua così non avremo più viti. Questo è il punto, proteggiamo la zona ma gettiamo le basi per un futuro di qualità ai nostri nobili vini. Possiamo andare negli Stati Uniti per l’evento più figo del mondo, modificare il disciplinare, ma se non diamo una risposta al problema della siccità e delle temperature tra poco non avremo più nulla mettere in bottiglia”, conclude.