A Bangkok il mercato del vino si fa strada, ma le tassazioni e le sfide culturali fanno vincere ancora birra e superalcolici

24 Set 2024, 11:45 | a cura di
Luca Appino, ristoratore piemontese a Bangkok, analizza alcune criticità del mercato del vino in Thailandia, dove il consumo è ancora limitato ma promette una crescita significativa

Il clinking dei bicchieri nei ristoranti di Luca Appino, fondatore di Bottega e della pizzeria Massilia, si mescola all'atmosfera vibrante di Bangkok, in un mercato vinicolo in lenta ma continua evoluzione, ancora caratterizzato da regolamenti stringenti e un pubblico scettico. La Thailandia infatti registra un consumo medio di alcol di 12,3 litri per persona all'anno, con il vino che rappresenta ancora solo una piccola frazione del mercato degli alcolici (appena l’1 per cento del consumo totale). Tuttavia, il mercato mostra segni di vivacità, con previsioni di crescita annuale del +7,7 per cento fino al 2026, soprattutto grazie all’aumento del potere d’acquisto e all’interesse crescente verso i prodotti di qualità.

Vino di lusso o birra economica?

«In Thailandia, il vino è percepito come un bene di lusso», afferma Appino. Questo è evidente anche nel fatto che solo il 23 per cento della popolazione consuma alcolici, e tra questi, la birra rappresenta il 73 per cento del volume totale. Tuttavia, la situazione sta lentamente evolvendo. «Quando sono arrivato più di dieci anni fa, il consumo pro capite era decisamente più basso rispetto a oggi, è praticamente quadruplicato», spiega. Il motivo? L’aumento del benessere e la crescita di una classe media sempre più interessata a prodotti occidentali di alta qualità. Inoltre, le recenti riforme fiscali che hanno ridotto i dazi d'importazione sul vino potrebbero dare ulteriore impulso al trend. Questo, però, non sembra portare i thailandesi a sostituire birra e superalcolici, i veri protagonisti del loro mercato.

Nonostante i progressi,  spiega il ristoratore piemontese, il consumo di vino in Thailandia resta limitato anche per ragioni economiche e culturali. «La Thailandia ha 70 milioni di abitanti, ma solo il 7 per cento ha la possibilità di acquistare beni non di prima necessità», dice amareggiato, «La birra, per esempio, costa molto meno rispetto al vino. Una bottiglia di Nero d’Avola arriva a costare quanto una bottiglia di Black Label». Il vino è ancora considerato un bene di lusso, un prodotto per pochi: «Qui (a Bangkok, ndr), acquistare una bottiglia di vino è un po' come comprare un vestito dai grandi marchi».

Tassazioni e tendenze

Oltre alle ragioni economiche e culturali, il contesto fiscale in Thailandia è notoriamente complesso per quanto riguarda l'import, ma qualche segnale positivo è arrivato di recente. «Hanno ridotto un po' la tassazione, che prima arrivava anche al 300 per cento del valore della merce», spiega Appino, e il Governo prevede di abolire i dazi del 54 per cento, «Questo per cercare di fermare il mercato nero e rendere più accessibili i prodotti importati». Tuttavia, il ristoratore evidenzia come la riduzione delle tasse non abbia ancora portato a un boom nel consumo di vino: «La bottiglia più economica che posso comprare costa almeno 20 euro, e questo resta un ostacolo per molti consumatori locali».

Ma la domanda di vini italiani è in crescita. «I vini più venduti sono quelli rotondi e morbidi, pensati apposta per il mercato asiatico», spiega, e si nota un certo cambiamento nell'aria nei gusti dei consumatori thailandesi: «In passato si preferivano vini più strutturati, ma ora il trend è verso i vini bianchi, con meno contenuto alcolico, più delicati, anche se il rosso continua a dominare con il 65 per cento delle vendite». Tra i vini italiani, Luca Appino segnala una particolare crescita di interesse per i bianchi dell’Etna, che hanno raggiunto le vendite dei celebri bianchi del Friuli. Mentre la fetta di mercato per i vini naturali internazionali rimane limitata. Sebbene siano presenti nella carta dei suoi ristoranti, non riscuotono successo a Bangkok, e in più, il costo del trasporto con container ultra refrigerati rende queste bottiglie poco appetibili in termini economici.

Vino e superalcolici: due mondi diversi

Oltre al vino, Appino gestisce anche il cocktail bar Vesper, specializzato in superalcolici, un mercato che in Thailandia ha numeri decisamente superiori rispetto a quello del vino. «In Asia, non si beve analcolico», sottolinea. «Se si acquista una bottiglia, è perché contiene alcol». Questa preferenza per gli alcolici ad alta gradazione ha radici culturali profonde, e anche durante la pandemia, quando il governo ha vietato la vendita di alcol nei ristoranti, il consumo di birra analcolica non ha mai preso piede. «Le avevamo acquistate, ma ne vendevamo una cassa a settimana, al massimo».

Il mercato dei superalcolici continua dunque a dominare, e anche la politica governativa, con le sue regolamentazioni ancora rigide, non sembra destinata a cambiare radicalmente nel breve termine. Le lobby che controllano la produzione e la distribuzione di alcolici sono ancora molto forti e mantengono alti i dazi sui prodotti importati. «Con l’aumento del reddito pro capite, noi ristoratori potremmo spingere verso un maggiore consumo di vino», spera Appino, «ma per ora il mercato resta molto saturo e difficile da penetrare, soprattutto per i piccoli produttori».

L'Italia e il sogno di nuove aperture

Per Luca Appino il vino italiano nei suoi ristoranti (pizzerie comprese) è una cosa seria. Piemontese di origini, con un passato nelle cucine dei resort alpini e nei villaggi turistici estivi, si è ritrovato a Bangkok quasi per caso. «Venti anni fa, lavoravo nelle cucine dei resort sulle piste da sci, poi d’estate insegnavo vela. Un giorno, a Firenze, un signore cercava un ragazzo per aprire un ristorante con cucina a Bangkok. Ho accettato un contratto di sei mesi, ed eccomi qui, al posto giusto nel momento giusto». Oggi, oltre alla Bottega e alla Pizzeria Massilia, di cui cura personalmente insieme ai rispettivi sommelier la carta dei vini, Appino ha aperto un franchising in Indonesia, con un menu halal pensato per il mercato musulmano. «È stata una sfida interessante», racconta, «ma anche in Indonesia la cultura moderna del cibo italiano è in crescita, proprio come a Bangkok». E il futuro? Tornare a investire in Italia sarebbe un sogno romantico per Appino, ma le difficoltà burocratiche lo fanno esitare. «Qui a Bangkok fare impresa è molto più agevole, tutto è più lineare. Per ora non mi vedo in Italia, magari in altre parti d'Europa, ma l’Italia, al momento, è solo un sogno lontano».

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